QUANDO LA LEGALITA' E' SENTITA COME UNA MINACCIA Stampa
Scritto da Redazione   
Domenica 20 Marzo 2011 02:39

 

per_il_bene_comune 
Nicola Magrone con Elisa Springer
[foto sudcritica]

La corruzione

l’indipendenza dei giudici

il martirio ambientale

Intervista della rivista
IL BENE COMUNE 
a Nicola Magrone
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Il torbido affaccendarsi della politica su ipotesi di riforma della Costituzione italiana e su riforme realizzate mi sembra, quello sì, un attentato alle ragioni stesse che fondarono la Repubblica e la sua unità. [...] Certo che si può “aggiornare” la Costituzione; il fatto è che per farlo bisogna rispettare precise e rigorose regole e percorsi ordinamentali. La nostra è una Costituzione “rigida” proprio per questo 

 

   IL BENE COMUNE

L'intervento del giudice Ingroia a Roma durante la manifestazione a difesa della Costituzione, ha sollevato un dibattito acceso fra gli schieramenti politici, ma anche all'interno dell'Associazione Nazionale Magistrati; adesso, a cose fatte, lei ritiene opportuno che un giudice coinvolto in indagini di particolare rilievo politico, assuma posizioni pubbliche così nettamente antigovernative?

 

MAGRONE 

 

Io sono dell’avviso che il magistrato è libero di manifestare il proprio pensiero. Io non conosco il vissuto del magistrato Ingroia e nemmeno quale sia stato il suo contributo alla difesa della Costituzione al cospetto di ripetuti interventi sedicenti “riformatori” della Costituzione da parte di Parlamenti a diversa maggioranza e di Governi teoricamente più “conservatori” dell’assetto costituzionale del nostro Paese. Posso dire, per parte mia, che la Costituzione è ormai vittima di “attenzioni” disgregatrici da parte di quasi tutte le forze politiche. Quella di oggi - questo è certo - è ormai lontana da quella del 1948 e la cosa mi sembra insopportabile. Non so nemmeno di quali indagini si occupi il magistrato Ingroia e se queste indagini coinvolgono il Presidente del Consiglio, membri del Governo o il Governo stesso. Mi immagino - vista la pubblica esibizione - che egli si occupi d’altro e che comunque parli a nome suo e non - come spesso accade di fare a magistrati in vista - a nome della magistratura.

 

Nel suo intervento, Ingroia, rivolto alla folla che gremiva Piazza del Popolo, ha detto di aver preso parte alla manifestazione perché la riforma della Giustizia presentata dal Ministro Alfano mette a repentaglio il fondamento costituzionale dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge; lei è d'accordo?

 

Bisognerebbe analizzare la proposta di riforma della giustizia con la massima attenzione ed il massimo equilibrio. Quello che propone il Governo attuale non è molto lontano da quello che prospettava la ormai famosa “Bicamerale”. Non tutti i punti della proposta governativa di oggi violano principi costituzionali. Le cose vanno viste con serena attenzione e senza pregiudizi. Io, per quel che vale e che conta, ritengo, e non da oggi, che il massimo di conservazione e il massimo di rivoluzione stanno, ancora oggi, nell’assetto costituzionale che la Repubblica italiana si dette nel ’48. Il torbido affaccendarsi della politica su ipotesi di riforma e su riforme realizzate mi sembra, quello sì, un attentato alle ragioni stesse che fondarono la Repubblica e la sua unità.

 

           Il Ministro Alfano sostiene che per riformare la Giustizia bisogna separare le carriere dei giudici da quelle dei Pubblici Ministeri e ridurre drasticamente il tempo dei processi. Anche lei ritiene che così si risolvano i problemi della giustizia italiana?

 

No. E tuttavia, la cosiddetta separazione delle carriere a me non sembra - ripeto, non da oggi - un attentato ai principi costituzionali. Che il compito del pubblico ministero e quello del giudice siano cose del tutto diverse e la necessità di una più netta visibilità di questa differenza mi sembrano concetti addirittura ormai banali. Quel che conta, però, è la garanzia di autonomia e di indipendenza per l’uno e per l’altro magistrato. Intendiamoci: autonomia e indipendenza anche se non soprattutto “interna” alla struttura giudiziaria che invece si va sempre più gerarchizzando, nel silenzio della magistratura associata.

 

 

La manifestazione di sabato 12 marzo aveva per obiettivo la difesa della Costituzione; ma pur essendo il fondamento e l'impianto della nostra democrazia, non potrebbe aver bisogno anch'essa di un aggiornamento?

 

Questa storia della Costituzione italiana immutabile e “ingessata” per l’eternità è una menzogna ormai rivoltante. E’ la Costituzione stessa a mettere ragionevolmente in conto la sua stessa modificabilità, essa stessa detta le regole per essere, come Lei dice, “aggiornata”. Certo che si può “aggiornarla”; il fatto è che per farlo bisogna rispettare precise e rigorose regole e percorsi ordinamentali. La nostra è una Costituzione “rigida” proprio per questo. Non bisogna dimenticare le ragioni che ispirarono la Carta, le premesse storiche e tragiche che portarono alla sua approvazione. Chi ha la forza e la voglia di modificare quel testo deve stare alle regole scritte. Quelle regole - devo aggiungere -  non consentono modifiche di intere parti della Costituzione ma solo di specifiche norme. Insomma, la Costituzione non va in ogni caso stravolta nella sua complessiva struttura. E invece, e da tempo, si cerca di fare proprio questo, con leggerezza e approssimazione disarmanti, non di rado eversive.

 

Come giudica la situazione del nostro Paese riguardo al rispetto della legalità?

 

Pessima.

 

Quali responsabilità ha Berlusconi col suo carico di processi in corso?

 

Io non so se Berlusconi si è reso colpevole di reati; non sono tra quelli che confondono indagini con processi, lo status di indagato con quello di imputato o di condannato. E non sono nemmeno tra quelli che pensano che le vicende giudiziarie siano quelle raccontate dai giornali e dalle televisioni. In linea generale, resto convinto della saggezza e dell’equilibrio dell’originario art. 68 della Costituzione (uno degli articoli “aggiornati”, appunto, controvoglia da un legislatore atterrito).

 

 

Maroni non manca di sottolineare i risultati conseguiti da questo Governo sul terreno del contrasto alla criminalità organizzata; lei come commenta?

 

Tutti i ministri reclamizzano ed esaltano il loro operato. A volte a ragione; a volte. Le ripeto, però: legalità, in Italia, è ancora una parola inflazionata ma percepita come minaccia.

 

Per anni, la politica molisana ha diffuso l'idea che la nostra regione fosse un'”isola felice” perché al riparo da fenomeni come la droga e la malavita organizzata; dagli anni di questo “Molisolamento” dorato è cambiato qualcosa?

 

A sentir loro, quelli della politica, l’Italia intera sarebbe un’”isola felice”. L’illegalità è sempre altrove. Il Molise certamente non è una regione violenta se per violenza si intende una scia di morti e di attentati (che pure non mancano). E tuttavia, in Molise l’illegalità, non meno che in Puglia per non dire della Campania, è nelle relazioni con le istituzioni e con i poteri economici e politici. La prima vittima di questa inclinazione alla scorciatoia, alla semplificazione grossolana del concetto stesso di “interesse pubblico” o di “bene comune”, è l’ambiente. Uno splendido patrimonio virtuale è stato divorato da autentici predatori.  Nel mio foro interno, ho eletto il vostro sfortunato e coraggioso fiume Biferno a simbolo delle vittime senza giustizia come i poveri cristiani massacrati a Piazza Fontana, e prima e dopo.

 

E infine, lei è stato molti anni nel Molise e ha condotto indagini delicatissime, che hanno coinvolto anche personaggi di primo piano della nostra scena politica. Che idea si è fatto della nostra piccola e marginale regione, riguardo al rispetto della legalità?

 

Io ho vissuto in Molise un pezzo della mia vita professionale che mi è costato, quanto a fatica e a solitudine, più dei miei ventitre anni di pubblico ministero a Bari (tra sequestri di persona e clan sanguinari) o degli otto di presidente della Corte di assise di Potenza (dove la criminalità organizzata non aveva molto da invidiare a quella storica calabrese o siciliana) o degli anni di Pretore a Monza (dove mi sono imbattuto, per primo come magistrato, nelle primissime applicazioni dello statuto dei lavoratori, per giunta in un territorio il più industrializzato d’Italia; o nella Edilnord, in Milano 2, nel San Raffaele di don Verzé, insomma nei rumorosi primi passi dell’imprenditore Berlusconi). Ecco, la fatica e la solitudine vissute in Molise sono addirittura imparagonabili con quelle. Soprattutto, solitudine istituzionale: una struttura, quella della Procura di Larino, desertificata, precaria, deliberatamente lasciata morire. Dove, dunque, il dovere professionale si è trasformato in testimonianza personale; dove l’obbligatorietà dell’azione penale, della quale tanto si parla oggi, è una parola vuota e ingannevole; dove devi scegliere se esibire il volto severo dello Stato solo con i poveri cristi e lasciar perdere i potenti di ogni tipo oppure di affrontare il mare agitato dei reati economici, amministrativi, per così dire politici. Io credo che il suo volto peggiore lo Stato lo abbia mostrato proprio a quell’Ufficio di Procura, lasciandolo impazzire di impotenza, di povertà di mezzi, di solitudine; nel silenzio di tutti. Il resto, del Molise - le persone e i luoghi -  è per me semplice e per qualche verso struggente nostalgia.

Ultimo aggiornamento Sabato 26 Marzo 2011 23:10
 
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