LA NAVE DEI FOLLI E IL NON LUOGO DEI PAZZI CRIMINALI Stampa
Scritto da Redazione   
Mercoledì 30 Marzo 2011 01:17

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"L'unica differenza fra me e un pazzo è che io non sono pazzo" (S. Dalì)

 

di Tony Tundo 

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LUCREZIO - De Rerum Natura- VI (98 a.c.)


Per prima Atene dal nome illustre dispensò un giorno 

i frutti delle messi ai mortali infelici

e rinnovò la vita e istituì le leggi[...]

Difatti, quando egli vide che gli uomini potenti

abbondavano di ricchezze e onore e fama,
e s'ergevano orgogliosi per il buon nome dei figli,

e tuttavia nessuno nell'intimità aveva meno inquieto il cuore,

e, a dispetto dell'animo, affliggevano la propria vita ‹senza alcuna›

tregua ed eran costretti a smaniare con penosi lamenti,

comprese che lì il vaso stesso cagionava il male

e che dal male d'esso eran corrotte nell'interno

tutte le cose che giungevano raccolte di fuori, anche i beni;

in parte perché lo vedeva screpolato e forato,

sì che non si poteva mai riempire in nessuna maniera;

in parte perché scorgeva ch'esso al suo interno contaminava,

per così dire, di un repellente sapore qualsiasi cosa avesse accolta.

Purificò, dunque, gli spiriti con veridici detti

e stabilì il termine del desiderio e del timore,

e additò la via per la quale su breve sentiero

possiamo ad esso puntare con diritto cammino,

e quanto male sia diffuso nelle cose mortali,

che sorge e variamente vola per naturale caso

o forza, perché tale è l'assetto di natura,

e da quali porte convenga far sortite per affrontare ogni male;

e provò che per lo più vanamente il genere umano

agita nel petto amari flutti di affanni.

Difatti, come i fanciulli trepidano e tutto temono

nelle cieche tenebre, così noi nella luce talora abbiamo paura

di cose che per nulla son da temere più di quelle che i fanciulli

nelle tenebre paventano e immaginano prossime ad avvenire.

Questo terrore dell'animo, dunque, e queste tenebre

non li devono dissolvere i raggi del sole, né i lucidi dardi

del giorno, ma l'aspetto e l'intima legge della natura. 


Sono splendidi versi eterni del più grande dei poeti che hanno creato per intervalla insaniae.

La profondità di Lucrezio nel De rerum natura, pietra miliare del pensiero filosofico-scientifico, è la conferma che la lucidità di pensiero è tanto più folgorante e rivelatrice, quanto più è sciolta dai lacci delle convenzioni sociali, ma la malattia mentale è ancora tanto oscura e il viaggio per capire si fa interessante, soprattutto in un momento, come questo della modernità, in cui i confini fra razionale e irrazionale appaiono sempre più labili.
Fra il '400 e il '500 venivano raccolti i folli in un'imbarcazione e venivano fatti vagare attraverso i canali del Reno-Acheronte, questo vagabondaggio raffigurato nella tela di Bosch, La nave dei folli (nella foto) anticipa l'internamento ma rappresenta - allo stesso tempo - il viaggio insensato, il vagare nel nulla della mente allucinata, da "curare" omeopaticamente.
La follia è la fuga dalla vita, una forma disperata di difesa, disperata e inutile, un'esperienza radicale che coincide per alcuni con l'arte, la poesia, la pittura: rifugio, porto, cura.
E in fuga fu sempre Dino Campana: smarrito, vittima di motivi ossessivi, arrestato e più volte ricoverato e trattenuto in osservazione presso istituti per malattie mentali, sempre a caccia di se stesso (è la sua poesia che lo conferma) Ma dopo l'ultimo internamento il definitivo silenzio: la privazione della libertà? le "cure"?


 da Viaggio a Montevideo:

 


...Verso l'inquieto mare notturno.

Andavamo andavamo, per giorni e per giorni: le navi

gravi di vele molli di caldi soffi incontro passavano lente...


L’invetriata:

Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra

E mi lascia nel cuore un suggello ardente,

Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha

A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? – c’è

Nella stanza un odor di putredine: c’è

Nella stanza una piaga rossa languente.

Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:

E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è

Nel cuore della sera c’è,

Sempre una piaga rossa languente.


Aveva scritto solo pochi anni prima Munch, affetto da una sindrome schizoide, per

illustrare il suo celebre autobiografico:

 

L' Urlo:

Una sera passeggiavo per un sentiero,

da una parte stava la città e sotto di me il fiordo.

Ero stanco e malato.

Mi fermai e guardai al di là del fiordo

- il sole stava tramontando –

le nuvole erano tinte di un rosso sangue.

Sentii un urlo attraversare la natura:

mi sembrò quasi di udirlo.

Dipinsi questo quadro,

dipinsi le nuvole come sangue vero.

I colori stavano urlando.


Versi visionari che evocano la medesima struggente angoscia.

Erano i primi del '900, il manicomio criminale era stato istituito nel 1904, Lombroso aveva anche teorizzato la pericolosità del malato, egli doveva perciò essere non soltanto curato ma anche segregato in strutture che più che ospedali apparvero subito carceri.
L'immagine della malattia come vagabondaggio, disordine sociale, inutilità insidiosa per lo Stato spiega il diffondersi del metodo "curativo" dell'internamento.

 

Poi , nel 1978, la legge Basaglia. Sono molto interessanti gli scritti di Mario Tobino - il medico che ha raccontato la follia - perché attraversano il mondo dei malati psichiatrici anche nella fase del radicale mutamento ordinamentale. Le libere donne di Magliano 1953, Per le antiche scale, 1972 Gli ultimi giorni di Magliano 1982.
Tobino sa che la pazzia ha una sua assennatezza, quasi un modo naturale che talora ha la vita di manifestarsi libero dai vincoli delle convenzioni: "è la mente, quella sola, che si altera, sia nei malinconici, sia nei maniaci, sia negli schizofrenici. I sentimenti non si ammalano. Essi sono l'uomo e lo fanno eterno", ma ha una posizione critica nei confronti della chiusura dei manicomi, ne ha fatto esperienza da medico: usciti fuori arrivano a morire di libertà, la famiglia li rifiuta, la struttura ospedaliera li respinge e muoiono in tanti abbandonati a se stessi, qualche volta suicidi. Il bastimento della follia è ormeggiato saldamente alle bitte di un porto sommerso.


Eppure affascinano le ragioni progressiste di Franco Basaglia, il suo assoluto NO alla cattiveria sociale dei manicomi:

 


"Noi neghiamo dialetticamente il nostro mandato sociale che ci richiederebbe di considerare il malato come un non-uomo e, negandolo, neghiamo il malato come non-uomo. Noi neghiamo la disumanizzazione del malato come risultato ultimo della malattia, imputandone il livello di distruzione alle violenze dell'asilo, dell'istituto, delle sue mortificazioni e imposizioni; che ci rimandano poi alla violenza, alla prevaricazione, alle mortificazioni su cui si fonda il nostro sistema sociale. La depsichiatrizzazione è un po' il nostro leit-motiv. [...] Nel momento in cui neghiamo il nostro mandato sociale, noi neghiamo il malato come malato irrecuperabile e quindi il nostro ruolo di semplici carcerieri, tutori della tranquillità della società".

Gli artisti, divisi fra genio e sregolatezza, vissero in molti l'esperienza della malattia. Nella Maison du docteur Blanche, un' isola di pazzia per malati di lusso, finì, imprigionato in una camicia di forza, Guy de Maupassant; era essa un luogo di dolore ma di selezione nell' orrido mondo degli asili psichiatrici. Si praticava l' idroterapia - docce gelate - una sorta di elettrochock, e vi finirono anche Nerval, Gounod, Théo Van Gogh, fratello di Vincent, la contessa di Castiglione e Charles Baudelaire, ma solo un giorno perché non poteva permetterselo. Il caso più tragico fu proprio quello di Maupassant. Prima la sifilide, poi il delirio: le sue urla risuonavano nella vallata. Blanche sosteneva anche che la follia era una sorta di delinquenza della ragione. Il poeta Nerval fu portato nella clinica dopo essersi spogliato e aver girovagato tutto nudo per le strade di Parigi in una sera del 1841. Manie aiguë, la diagnosi di Blanche: mania acuta, la follia. Gounod aveva spaventose crisi di furore legato mani e piedi al letto di contenzione. Théo Van Gogh , dopo il suicidio del fratello Vincent, 1890, precipitò nella notte infinita della pazzia.

Francisco Goya fu affetto da un'encefalopatia.

La depressione afflisse Michelangelo. Richard Dadd, pittore inglese dell'Ottocento, passò ben quarant'anni in manicomio, dove morì.

Vincent Van Gogh che disse di sé: " sono un pazzo o un epilettico" faceva uso, come molti artisti dell'epoca, dell'assenzio.

Così lo smarrimento e la follia segnano e distruggono le vite di tanti grandissimi - soltanto dopo il rifiuto e la morte grandissimi - persi in un labirinto di genialità, paranoia e ossessioni.


Spietata è la storia di Janet Frame, scrittrice neozelandese morta nel 2004, rinchiusa nel lager di una clinica psichiatrica fra donne spogliate di tutto, indumenti intimi, ricordi, dignità; tutte - prima o poi - lobotomizzate "per il loro bene". - Un'istituzione sanitaria dove mille donne dipendono da un dottore e mezzo, un problema di calcolo umano rimasto senza soluzione - scrive la Frame. L'infelice malcapitata in siffatto non-luogo, da persona diventa e rimane paziente. Lei, la scrittrice, subirà duecento elettroshock e sarà solo un fortunato incontro con un medico illuminato a risparmiarle la lobotomia e la farà uscire dalla condizione di malata in cui, col suo tacito consenso, era stata relegata. Nel libro Dentro il muro racconterà la sua, la vera, verità: aveva paura del mondo, non era schizofrenica. Ma era stata molto vicina alla totale perdita di sé nella bolgia infernale di un O.P.G., moderno manicomio.

La sua autobiografia in Nuova Zelanda ha riscosso uno straordinario successo


La sera fumosa d’estate
Ultimo aggiornamento Mercoledì 30 Marzo 2011 09:20
 
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