CONVERSAZIONI SU IGNAZIO SILONE. 5 - FABRIZIO CANFORA Stampa
Scritto da Redazione   
Giovedì 30 Giugno 2011 23:16

Pubblichiamo il QUINTO di una serie di dialoghi di Sudcritica con testimoni e protagonisti della storia del Novecento.

Temi e questioni di oggi 

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STALIN, TROTSKY, TOGLIATTI, SILONE

Le ragioni della storia e i torti dell'eresia

“Ma un bambino-marionetta è di troppo”

 

 

[1991, foto sudcritica]

di Nicola Magrone e di Clara Zagaria

 

 

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Una conversazione sul fascismo, sul comunismo, sullo stalinismo, sul cattolicesimo, sulla borghesia, sul proletariato, sull'antifascismo meridionale; insomma, una conversazione su tutto?

Siamo andati da Fabrizio Canfora per chiedergli di potergli chiedere una, due, tre cose; non di più, perché non sapevamo, noi, chiedergliene di più. E lui ci ha detto subito che sulle due o tre cose che gli avremmo chiesto, chissà se sarebbe stato in grado di dare una sua risposta ad almeno una di esse. Ne è venuta la conversazione che pubblichiamo, nella trascrizione la più fedele possibile alle parole che ci siamo scambiate.

Tutto è detto, da Canfora, con semplicità e con serena convinzione; di ogni dubbio nostro, egli tien conto con rispetto e franchezza; e di ogni dissenso.

Noi siamo lieti di aver pensato di andare da lui e di esserci andati; di aver parlato proprio con lui di Ignazio Silone. Siamo lieti di poter raccontare ad altri le cose che lui ha dette a noi precisando puntigliosamente il suo timore che non interessassero nessuno.

Questo senso del limite, dentro alla rivendicazione pacata, ragionata e ragionevole della propria identità e della propria storia, ha - a parer nostro, soprattutto in questo momento così "ricco" di oculati camuffamenti trasformistici - importanza e valore senza limiti.

Nicola Magrone, settembre 1991

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Io ero un ragazzo quando il fascismo prese il potere

SUDCRITICA - Noi vorremmo ragionare un po' con Lei sul come, sul perché il fascismo prese il potere in Italia.

Ma vorremmo farlo, se permette, non guardando ai fatti del “ palazzo ”, alle vicende, per così dire, ufficiali; no. Più “ silonianamente”, vorremmo da Lei, se è d'accordo, un approccio più ravvicinato, la concreta osservazione del fascismo vincente e vittorioso, del fascismo-Stato, dal punto di vista della quotidianità di un intellettuale meridionale.

Che cosa fu? Che cosa accadde? Com'erano gli italiani che si videro sfilare davanti i fascisti e finirono col diventare fascisti essi stessi?

CANFORA - «Io ero un ragazzo quando il fascismo prese il potere; avevo appena nove anni, sono del '13, ero un ragazzino, il fascismo prese il potere il '22, Loro capiscono...

Il fascismo io l'ho conosciuto quando era già insediato nel paese, e stabilmente.

Che cos'era? L'accettazione supina del regime da parte dell'uomo medio, piccolo borghese, medio borghese. Niente di drammatico, per la verità. Almeno nel mio paese, nella mia città.

Come il democristiano, oggi, è l'uomo comune, così il fascista era l'uomo comune. Così come continua ad avere voti la democrazia cristiana, oggi, otteneva consensi il fascismo.

L'opposizione era di un gruppo ristretto di persone: tra il ceto operaio da un lato e tra gli intellettuali dall'altro. Senza che, però, operai e intellettuali avessero un contatto gli uni con gli altri.

Gli intellettuali erano, in fondo, il futuro Partito d'Azione; gli operai, il futuro, o già operante, Partito Comunista.

Questa era la situazione, anche al Sud, anche a Bari.

E io, piccolo borghese, studente universitario, professore, avevo avuto l'occasione di conoscere il prof. Fiore, noto come persona ed intellettuale “non ortodosso”.

Ecco, io appartenni a questo gruppo». 

Un gruppo per cosi' dire informale, a quanto pare.

 «Informale, sì. Ci si incontrava a casa del prof. Fiore. Fiore era ospitalissimo, molto socievole; creava proseliti molto facilmente. Io avevo, quando l'ho conosciuto, 17-18 anni. Poi, ho continuato ad avere rapporti con lui. Finché arrivammo alla cospirazione. Ma questo termine, per la verità, oggi mi fa un po' ridere.

 E perché?

«Perché eravamo veramente ingenui; non avevamo affatto l' esperienza e la stoffa dei “cospiratori”. Quella che invece avevano i comunisti. I quali infatti ci hanno

sempre guardati con molta simpatia ma al tempo stesso con molta diffidenza. Essi avevano timore, appunto, di qualche nostra “imprudenza”».

In che senso “imprudenza”?

«Per esempio, l'imprudenza che nel '42 causò una serie di arresti a Bari: il prof. Tommaso Fiore, mio cognato Michele Cifarelli, i figli di Fiore, i figli di Giovanni Laterza, Franco e Peppino, e, siccome collegati al “gruppo barese”, i nostri amici di Napoli e di Roma: Calogero, De Ruggiero e così via.

Eravamo, insomma, i frequentatori della casa Laterza, la villa sulla via di Carbonara, quella dell'editore Laterza. Lì ci si trovava tra di noi, o con Croce, con De Ruggiero, con Omodeo...

Io non “potetti” essere arrestato perché in quei mesi nei quali gli altri furono arrestati ero militare.

Gli arresti avvennero così, ed ecco l'imprudenza di cui dicevo: un giovanotto doveva andare a Roma per portare un plico di carte compromettenti, insomma propaganda antifascista. Si fermò però a Gaeta per salutare un suo parente che stava in carcere. Dovette naturalmente lasciare le carte al custode; il custode non potette naturalmente non guardarle e così venimmo scoperti.

Ma queste cose accadevano anche nella lotta partigiana. I più attivi ed eroici - anche lì - furono appunto i compagni di Giustizia e Libertà e i compagni comunisti. Ecco: anche lì, però, chi veniva “preso” era al solito di Giustizia e Libertà. Proprio per quell'imprudenza e inesperienza di cui dicevo.

I comunisti, per questo, ci guardavano con simpatia e con grande stima ma anche, diciamo la verità, con una certa preoccupazione e ci tenevano ad una certa distanza».

E voi, nei confronti dei comunisti?

«Beh, noi qui, al Sud, avevamo certo simpatia per i comunisti. Nonostante che ci ammonisse, a questo proposito, Benedetto Croce; dico ammonisse tra virgolette. Egli fu sempre critico nei confronti del partito comunista. Ciò che lui non comprendeva, non voleva comprendere, non intendeva che si comprendesse, era la necessità di porre in rapporto il problema morale, quello politico, il valore della libertà, con il problema sociale. Il socialismo, il comunismo, Giustizia e Libertà, il Partito d'Azione (che era il partito liberalsocialista), per lui erano cose assurde. Insomma, per Croce la libertà era una cosa, il problema sociale tutt'altra cosa.

Stavo dicendo che io non “potetti” essere arrestato insieme ai miei amici perché, nel '42, io, per problemi alla vista, ero stato valutato, come altri, “idoneo ai servizi sedentari”. Senonché il regime, proprio per scoraggiare il diffondersi del dissenso tra gli intellettuali, richiamò alle armi anche noi. Certo, non seppe, poi, cosa farsene di noi. La stessa cosa successe ad Aldo Moro anche se Moro, non so come, diventò ufficiale dell'aeronautica (stava all'amministrazione); non so come fece; e poi, son fatti suoi...»

Si trovò meglio, però, Moro...

«Sì, va bene, fatti suoi...

Io, dunque, come militare non potevo essere giudicato dal tribunale civile, come si dice?, insomma dal tribunale normale, ordinario; dovevano deferirmi al tribunale militare.

Fui interrogato dai funzionari dell'Ovra. Quando però mi videro arrivare vestito da soldato, rimasero un po' imbarazzati. Comunque, mi interrogarono e mi deferirono al tribunale militare di Bari.

Nelle more, tra l'interrogatorio in questura e il deferimento al giudice militare, fummo congedati; penso perché veramente non sapevano cosa farsene di noi...

E così, io mi sottrassi sia alla giustizia civile che a quella militare. Subii però un provvedimento amministrativo e fui cacciato da Bari. Mi mandarono a Locri.

Stetti lì fino al luglio '43, fino alla caduta del fascismo. Insegnai in un piccolo liceo, l'unico che esisteva lungo tutta la costa, da Taranto a Reggio Calabria; almeno allora.

Lì, per la verità, mandavano la gente peggiore possibile. Un mio collega siciliano vi era stato mandato perché aveva tentato di violentare una sua alunna; io..., peggio ancora, antifascista...

Ma a Locri fui trattato da principe. Arrivavo in Calabria, nel cuore della Calabria, come “il ribelle”. Per un calabrese, un ribelle è persona da rispettare...; stetti bene, come stettero bene tutti quelli che vi furono mandati. Fummo circondati di affetto e di considerazione...»

Si. Ma qual era la molla che muoveva questo atteggiamento nei vostri confronti? Era solidarietà politica?

«Non so, in realtà, fino a che punto politica. Di più, fu la stima che i calabresi avevano per l'uomo indipendente che si oppone all' autorità costituita».

“Lei perché diventò comunista?”

Tutto questo accadeva quando Lei era di Giustizia e Libertà.

Quando divenne comunista? E perché proprio comunista?

«Già: come si diventa comunisti, perché si diventa comunisti...»

Silone s'intrattiene forse per tutta la vita su questa domanda e sul come e sul perché si esce dal comunismo.

«C'è la fase romantica dell'adesione al comunismo. Silone entrò nel Partito comunista alla sua fondazione...»

Sì, ma Lei perché  diventò comunista?

«Perché il problema era come collegare l'ideale di libertà e l'ideale di giustizia. In realtà, si tratta di concetti antitetici. Quello di libertà finisce con l'incidere negativamente sull'ideale di giustizia e viceversa. Perché più giustizia significa minore libertà di ciascuno nell' interesse comune. E questo è il grosso dramma, a mio modo di vedere.

Non so se dico delle banalità ma a me pare che sia questa la questione fondamentale.

I liberali sono “liberali” e perciò rispettabili per la loro attenzione ai valori morali, alla persona e così via.

Ma sul piano sociale, sono di una miopia, di una cecità anzi, estrema; come ben vediamo dalla struttura capitalistica della società con tutti gli aspetti negativi che ad essa si ricollegano per i ceti inferiori e per i paesi sfruttati sui quali ed a spese dei quali prospera la classe dominante, liberale appunto.

Ma la giustizia, se si ha veramente sete di giustizia, porta inevitabilmente alla limitazione della libertà, nell'interesse comune.

Ecco, questo è stato il grande tormento per noi tutti, giovani allora: la soluzione di questo problema; piano piano questo travaglio ha portato me, allora, dal Partito d'Azione al Partito Comunista negli anni immediatamente successivi alla guerra.

E c'era, sicuramente, un aspetto romantico nella scelta dei giovani: vedevano nel comunismo la grande utopia del dio “messo sulla terra”».

Ma di utopie ce ne sono molte...

«Sì. Il cristianesimo non credo sia stato mai, come si dice, realizzato. E tuttavia il suo ideale non può, non deve spegnersi. Così l'ideale di giustizia».

Ma di utopie ve ne sono molte, come Lei stesso chiarisce. Perché allora uno fa la scelta del comunismo o viene “catturato” dal comunismo? Qual è il motivo specifico di quella scelta? “Per caso”, uno diventa comunista, cristiano, socialista, musulmano?

«Molto dipende dall'ambiente e dalle condizioni in cui uno vive».

Va bene. Ma Lei non ha mai avuto momenti di crisi?

«A dir la verità, no».

Anche nei momenti più terribili e discussi di quello che lei chiama comunismo-utopia? Stalin...?

«Io ho una grande considerazione per la personalità di Stalin. E' forse la personalità politica di maggior rilievo del secolo XX, secondo me.

Occorre considerare dove il comunismo ha cercato di realizzarsi, bene o male, più male che bene: nei paesi poveri.

Secondo me, una verità apparentemente lapalissiana ma in realtà di grande profondità è quella che disse Lenin. Costruire il comunismo nei paesi capitalistici è estremamente facile perché lì c'è già tutto, tutto; difficile è però demolire le strutture capitalistiche perché esse sono così aggressive che noi non ce la facciamo ad abbatterle. Nei paesi arretrati, demolire le strutture capitalistiche è facilissimo; esse sono di una debolezza estrema; ma lì è davvero difficile costruire il comunismo perché lì non c'è nulla, tutto va creato dal nulla.

Secondo me, questa è una verità profonda.

Se Lei toglie Ford in America e socializza tutto quel che hanno signori come lui, Lei crea una società comunista perfetta; ma provi a toglierli questi signori...»

E certo... Ma loro direbbero che intanto lì “c'è tutto” perchè ci sono loro... In che cosa, dunque, è consistita la genialità di Stalin, alla quale Lei accennava?

«Stalin, con tutti gli errori che ha compiuto, anche con la sua efferatezza che, vista così, non si può dire...»

...che sia stata “leggera”

«...che sia stata “leggera”, certamente. Ma Stalin non ha commesso più reati di Cesare. Napoleone? Noi oggi non lo giudichiamo per le sue colpe ma per quello che in definitiva ha fatto».

Ma, credo, possiamo dire di Napoleone, con sufficiente legittimità, che fu un colonialista, un imperialista.

«Appunto. Ma nonostante questo, egli ha portato, volendolo e forse anche senza volerlo, le idee della rivoluzione fuori della Francia.

Un cinico, senza dubbio. Dopo una battaglia, al cospetto di decine di migliaia di morti, non disse: di soldati, in una notte, Parigi me ne dà altrettanti?

Sotto questo aspetto, Napoleone non è molto lontano da Stalin.

Ma Stalin non è solo questo.

Un rivoluzionario che assume la direzione della rivoluzione nel suo paese non può non essere cinico con i suoi nemici e nella sua azione. Stalin ha dovuto creare dal nulla, ha dovuto cercare di rendere indipendente il suo paese dai paesi capitalistici e di difenderlo da loro, ha dovuto costruire l'industria pesante che è la base per le industrie che, poi, producono beni di consumo.

Se non si fa così, si rimane sempre schiavi, come tutti i paesi colonizzati i quali non possono vivere se non hanno i beni di consumo che hanno invece i paesi capitalistici.

Ma per rendere autonomo il suo paese, Stalin ha dovuto sacrificare, e per decenni, le condizioni di vita della sua popolazione. Con animo fermo, deciso. Con cinismo, certo; ma ha creato, Stalin, le condizioni per fare del suo paese un paese forte, autorevole.

Si trattò di un'utopia che Stalin non riuscì tuttavia a realizzare ma che non realizzarono nemmeno i suoi successori, uomini certamente meno capaci.

Non so, può darsi che Le sembri strano il mio ragionamento...»

Ed oggi? oggi Lei è comunista? posso chiederglielo?

«Si, si. E' come se Lei chiedesse a papa Wojtyla: Lei è cristiano?»

“Oggi? Certo, sono comunista”

“E perché mi fa questo paragone? Per la verità, io penso che potrei proprio chiederlo al papa se egli è cristiano. Non è detto che anche lui, nonostante la sua cattedra, benché inchiodato nel suo ruolo, sotto sotto qualche incertezza e qualche dubbio non ce l'abbia...; chi lo sa...; a Lei, io lo chiedo allo stesso modo, se permette.

«Lei sa, però, quante forme di cristianesimo realizzato ci sono state; oggi, certamente, non potremmo che giudicare, per esempio, negativamente il cristianesimo delle crociate, il cristianesimo dei pregiudizi e delle streghe: uomini di alta sensibilità morale, e non perché fatti santi dalla Chiesa, hanno, loro, mandato al rogo le donne considerate streghe in commercio carnale col diavolo. Carlo Borromeo, una persona di altissimo livello morale: ma quante povere donne ha mandato al rogo? Non so se rendo l'idea...»

Come no?

«Stalin, l'Unione Sovietica, vanno viste dentro alla storia di quel paese, fino alla guerra fredda; che, a mio parere, non è affatto finita. Anzi.V'è oggi una guerra fredda ancora più audace perché pensa di poter andare a fondo nel demolire quel che l'Unione Sovietica ha rappresentato e rappresenta. Con l'aiuto, va detto, di uomini che si prestano: fuori dell'Unione Sovietica, i vari ex comunisti o postcomunisti; nella stessa Russia, uomini che io non so ancora giudicare perché non so fino a qual punto essi siano sinceri in quel che dicono o se invece usano quel che dicono per cambiare proprio tutto; non lo so, non ho elementi per giudicare.

L'Unione Sovietica ha agito, per quanto riguarda la costruzione dello Stato socialista, in una situazione di perenne assedio. Dagli anni della rivoluzione, '17-'21, e della guerra civile, con le formazioni anticomuniste dei “russi bianchi” sostenute, e armate, dall' Inghilterra, dal Giappone, dalla Francia eccetera, via via fino alla seconda guerra mondiale, il popolo russo ha vissuto letteralmente assediato.

Dalla seconda guerra mondiale, poi, la Russia si è salvata grazie a quel capolavoro che fu il patto di non aggressione Ribbentrop-Molotov. Quella fu un'azione geniale...»

...Lei pensa?

«Un'azione geniale, certo; sulla quale oggi si ride e alla quale si irride.

Lei sa dei contatti continui, assillanti, prima che la guerra scoppiasse, tra l'Inghilterra, la Francia e l'Unione Sovietica per giungere ad un'alleanza che fermasse Hitler che minacciava la guerra. Il patto di non aggressione Stalin-Hitler fu un gioco di furbizia da parte di Stalin. Il progetto inglese era quello di portare per le lunghe le trattative con l'Unione Sovietica, senza farle andare in porto. E questo perché l'Inghilterra sperava che Hitler attaccasse l'Unione Sovietica finendo con l'indebolire sia la Germania che l'Unione Sovietica a tutto vantaggio dell'Inghilterra e della Francia. Stalin cercò di sottrarsi a questa insidia: visto l'atteggiamento degli inglesi e dei francesi, Stalin tentò contatti diretti al più alto livello con Inghilterra e Francia ma, da questi paesi, venivano sistematicamente mandati a discutere uomini di second'ordine, naturalmente non abilitati ad assumere impegni vincolanti per fermare Hitler. Un Hitler, Lei saprà, che nel frattempo tentava di giungere ad un accordo con l'Inghilterra rassicurando l'Inghilterra che egli avrebbe rispettato il suo impero coloniale in cambio dell'espansione tedesca ad est, l'Ucraina, il Caucaso, e così via, popoli “inferiori” da sottomettere all'egemonia della razza ariana».

Sì. Ma oggi, a sua volta Lei sa bene, quei popoli rivendicano la loro autonomia e la loro indipendenza proprio dall'Unione Sovietica...

«Sì. E' un dramma, questo; proprio un dramma. Ci fu anche nel '17-'21 un'esplosione simile per l'autonomia delle varie etnie, che poi furono dallo stesso Stalin, incaricato del problema da Lenin, ricondotte nell'ambito dell'Unione Sovietica.

Ora il fenomeno è riesploso. Ma non solo lì; stesse cose accadono in Jugoslavia, in Inghilterra, in Irlanda...»

La “genialità di Stalin” e la crisi di Silone

Però, professore, a me pare che Lei veda i problemi sempre dal punto di vista dell' “alta  " politica, insomma dei rapporti tra gli Stati. Da questo punto di vista, mi consenta di formulare un paragone che potrà apparirle stupido e che probabilmente stupido è: dal punto di vista dal quale Lei si pone, anche il viaggio del Papa in Cile ed il suo incontro non con il popolo cileno ma con Pinochet, il suo affacciarsi al balcone del tiranno a fianco del tiranno, potrebbe venir giudicato, come Lei dice di Stalin, un colpo di genio. Mi chiedo, però: ma i popoli, quando parliamo dei popoli, quando operiamo per i popoli? Forse la crisi di Silone ebbe proprio in questo le sue radici, in quella cinica genialità che Lei riconosce a Stalin.

«Silone si distaccò dal partito comunista perché assunse posizioni filotrotskiste...»

...e questo è sicuro, secondo Lei?

«Questo risulta dagli atti ufficiali. Quando al Comintern Stalin fece prevalere la sua decisione di lotta al trotskismo, Togliatti seguì Stalin ma Silone passò dall'altra parte.

Trotzsky fu una figura bellissima di rivoluzionario e di ideologo; senza dubbio. Ma sul piano politico, le sue posizioni erano assai rischiose...»

Perché?

«Per la sua idea della rivoluzione permanente; la quale, in verità, lo ponevano più di Stalin in linea con le tesi di Lenin. Lenin, infatti, ragionava così: abbiamo colpito il capitalismo nel suo elemento più debole, la Russia; ma ora ci tocca sostenere la rivoluzione nei paesi capitalistici; quella sarà la rivoluzione definitiva e compiuta. Poste così le cose, Trotzsky era un leninista ortodosso; e bisogna dire che, certo, esportare la rivoluzione in Inghilterra, in Francia, ...negli Stati Uniti, sarebbe stata una grande cosa.

Ma, del tutto ragionevolmente, Stalin pensava in modo opposto: tentare di esportare la rivoluzione nei paesi capitalistici avrebbe esposto inevitabilmente la Russia al rischio fondato di essere schiacciata dai paesi capitalistici coalizzati. Di qui, la tesi di Stalin del “socialismo in un solo paese”.

Fra i due, chi aveva ragione?»

Non so, veramente...

«...i fatti hanno dato ragione a Stalin. Ed è logico. Solo se realizzi il socialismo in un paese, questo paese diventa il polo di attrazione per gli altri paesi. Cosa che, in realtà, è successa: in Cina, in Vietnam e così via.

Insomma, bisognava che il socialismo fosse reso solido e sicuro in un paese, storicamente la Russia; dopo, certo, si sarebbe guardato più in là».

Comunque, le ricordo che Silone ha sempre contestato di essere stato, per così dire, trotszkista...

«Può aver cambiato idea, ma la sua scelta la fece...»

è stato accusato di essere divenuto trotzskista, questo sì...

«I documenti ufficiali ed i testi ufficiali dicono esattamente l'opposto, per quanto io ne so...»

Se Lei dice che Silone fu critico rispetto alla decisione di Stalin di metter fuori dal partito comunista Trotzsky e poi di perseguitarlo fino alla sua fine, questo mi pare del tutto vero; ma, da questo, a definire Silone semplicisticamente trotzskista, ce ne vuole. Per la verità, aggiungerei che se davvero le cose stessero come le dicono le fonti ufficiali, il "problema Silone” non si sarebbe posto e non si porrebbe, quanto meno dal punto di vista della ricostruzione storica. Per tacere, poi, dell'approdo di Silone, lontano non dall'uno o dall'altro leader ma dal comunismo storicamente realizzato e storicamente conosciuto.

«Quel che Lei dice mi induce a questa riflessione: oggi stiamo attraversando una fase davvero difficile della storia, sotto un certo aspetto interessantissimo. Ed è quella che può sembrare, e nella coscienza comune è, della crisi delle ideologie. Forse sto parlando a ruota libera, non so; ma in realtà sembra che i problemi dei giovani si esauriscano nelle discoteche, nei problemi del calcio...; e del resto, abbiamo un competente in discoteche nel nostro ministro degli esteri [Gianni De Michelis; ndr], dicono che ha scritto un trattato sulle discoteche in Italia, io non l'ho letto, non so Lei...»

no, certo; ma perché ora mi tratta così?

«Non so; ma come si fa? un ministro degli esteri...

Comunque, dicevo, pare che ci sia questa crisi delle ideologie. E invece io vedo un grande fermento, un grande impegno critico sul come si può uscire da questa situazione; e non solo in Italia, nel nostro paese, in questa piccola parte del mondo dove noi viviamo: in tutto il mondo.

Io credo che il grande travaglio di oggi è quello, per un verso dei paesi occidentali, dei paesi a struttura capitalistica in genere, che sentono l'istanza di affrontare e di risolvere la questione sociale; per l'altro verso, i giovani che, uomini mediocri, sono succeduti a Stalin hanno sentito il problema della libertà; non so come lo stiano risolvendo; certo lo affrontò in modo ridicolo Krusciov e lo va affrontando in maniera più saggia Gorbaciov, non so come lo risolverà anche se mi auguro che ci riesca. Il problema dei paesi a struttura socialista è oggi quello di inserire nella struttura socialista, come dire: dispotica, tirannica, totalitaria, le istanze di libertà.

Insomma, si torna al problema di come conciliare la libertà con la giustizia, con il quale abbiamo iniziato questa nostra conversazione.

Non so se è chiaro quello che dico. Io ne sono convinto, però. Sarà un'ingenuità ma io la penso così.

D'altra parte, il più grande economista del primo '900, Keynes, cercò di salvare le strutture capitalistiche della società inglese, americana, eccetera, inserendo in queste strutture le istanze di carattere sociale.

Se ci pensa, che cos'è il New Deal di Roosvelt? E in Italia, in regime fascista, che cosa è l'Iri se non una forma statale di direzione della produzione? Ma dico di più: anche Hitler finì per avere ammirazione per Stalin e anche nell'ordinamento economico si ispirò in qualche misura a lui, naturalmente in vantaggio della razza eletta, quella ariana; insomma, un socialismo per gli eletti.

Ora, i Gorbaciov che cosa vogliono fare in Russia? Introdurre istanze di libertà ed anche di vero e proprio mercato, guidato e limitato quanto si vuole nell'interesse comune, s'intende.

C'è, dunque, oggi questa curiosa situazione nel mondo: paesi che, sia pur lottando gli uni contro gli altri, si avvicinano e si imitano. Io questo vedo... Lei ride scettico? Io credo tuttavia che il fascismo ed il nazismo hanno mutuato, sotto certi aspetti, alcune idee del comunismo...»

ma è qui il problema...

«Non per nulla dal socialismo viene un Mussolini. Solo che fascismo e nazismo non hanno perseguito un fine di giustizia bensì di dominio, di egemonia».

Già; ma questo è uno dei problemi; quello del fascismo, del nazismo che mostrano venature e pretesti, come Lei dice, mutuati dal socialismo...

«Ma Lei vede che anche l'ultima enciclica del Papa è sulla via di mezzo, almeno così sembra voler essere. Come, del resto, era il grande, veramente grande, sublime Papa Giovanni XXIII...»

ma non aveva nulla a che fare con il comunismo...

«Certo, ma mostrava un'apertura. Egli distingueva l'errore dall' errante. Con l'errante, secondo il suo punto di vista, si ragiona se ci si può intendere su alcune cose...»

Ma il partito comunista non discute molto con l'errante. Io questo non capisco molto; anzi vedo una contraddizione in quel che lei dice...

«Si, certo; il partito comunista è dogmatico...»

Appunto. Quando Lei ricorda la distinzione forte tra errore ed errante, come segno del rispetto per l'uomo comunque e sempre, anche quando egli dovesse essere in errore; insomma, al di sopra degli atti e dei fatti nei quali l'uomo è coinvolto; quando Lei giustamente ricorda questo, non mi pare che Lei affermi una cosa facilmente conciliabile, appunto, con il dogmatismo comunista. Anzi, io vedrei proprio in quella distinzione, diciamo così per schematizzare, molto di siloniano.

In fondo, la polemica di Silone con il comunismo, con il partito comunista, è tutta qui.

«Sì. Ma ai tempi ai quali Lei si riferisce non si poteva fare diversamente; non si poteva fare diversamente. Si sarebbe, se no, commesso un errore fondamentale, basilare: si sarebbe distrutta sul nascere l'opera di costruzione dello Stato socialista. A mio modo di vedere.

Che poi il comunismo fosse dogmatico, allora, è vero. Oggi non lo è più».

Ma come si realizza, oggi, il comunismo?

E oggi, dunque, come si fa a realizzare il comunismo?

«Non lo so; non sono io che posso risponderle; io posso guardare quello che accade e cercare di capire».

D'accordo. Io però intendevo chiederLe una cosa diversa da quella che ho detto.

Oggi, insomma, che ormai vediamo, e da alcuni anni, come la nostra società, il nostro Stato stiano diventando, ridiventando lentamente...

«fascisti...»

non so, ma certo vanno approdando a forme autoritarie...

«sì, c'è anche l'uomo adatto; di origine socialista anche...»

insomma, oggi che ci sta toccando in sorte di vedere ancora meccanismi e processi per svolte autoritarie che il nostro paese ha già conosciuto...

«si va utilizzando, per questo scopo, anche l'attuale capo dello Stato...»

ecco, oggi, per contrastare tutto questo, sarebbe ancora una volta un errore, secondo Lei, assumere una posizione di tipo, per così dire, siloniano? che cosa si deve fare, dunque, in una situazione che riecheggia quasi puntualmente il clima che portò al fascismo? non vede anche Lei gli strappi ormai sistematici alla Costituzione, prima materiali ora anche formali? Se dipendesse da noi tre elaborare una strategia per opporci a tutto questo, alla seconda Repubblica, alla selvaggia privatizzazione dell'economia e della vita di ciascun uomo, al ritorno irrefrenabile del mito del mercato; se dipendesse da noi tre opporci e contrastare questo processo al quale assistiamo e che ci va portando non dico al fascismo in quanto tale ma certamente ad un assetto sociale e statuale autoritario, se dipendesse da noi tre e comunque se noi tre volessimo reagire a tutto questo e non volessimo rimanere testimoni muti ed inerti, che cosa potremmo fare, che risposta dovremmo trovare al nostro travaglio? La risposta che sta in un partito monolitico che assuma per intero la direzione della lotta, di nuovo dogmaticamente? Che cosa, Lei, ci direbbe di fare, che cosa farebbe con noi?

«Lei descrive il ripetersi della storia dell'umanità. Che, però, è un apparente ripetersi: di fatto, i problemi e le situazioni sono sempre nuove. Io potrei dire che tentativi di opposizione a queste forme di fascismi in embrione nel nostro paese ci sono già: una, di carattere liberalsocialista, alla La Malfa; un'altra, nel partito comunista ricostituito. Sono piccoli germi che, certo, possono svilupparsi o appassire. Formalmente, siamo alle stesse forme di opposizione al fascismo di allora, in forma del tutto diversa, è chiaro».

Sì, si vedrà. Ma possiamo chiederci, intanto, se un'aggregazione sociale e politica comunista, qui ed ora, nel contesto che abbiamo rievocato, ci voglia o no...

«Io, ma glielo dico senza fanatismo, credo che sia tutt'altro che esaurita la funzione del partito comunista nel mondo; anzi, l'istanza comunista mi pare ancora più viva. Non bisogna certo intendere il partito in modo dogmatico. Il marxismo, è alla base della concezione comunista; come il Vangelo è alla base della concezione cristiana. Nel corso dei secoli anche il cristianesimo si è arricchito di tanti altri elementi senza distaccarsi dalla sua origine che sta nel Vangelo...»

Il Vangelo, nel corso dei secoli, si è arricchito o si è invece impoverito?

«Appunto. E' un'utopia che si è realizzata nella maniera in cui si è saputo realizzarla.

Così il comunismo: ha alla sua base Marx ma Marx è del secolo scorso; sa quante altre istanze si sono sviluppate via via da allora ad oggi e quante se ne svilupperanno ancora domani, non sappiamo».

E che cosa si è sviluppato di più a proposito del dualismo dal quale siamo partiti nella nostra conversazione: libertà-giustizia? Lei ci ha ricordato: più libertà meno giustizia; più giustizia meno libertà. A che cosa dobbiamo guardare, oggi, di più? In Italia, oggi, ci vuole più giustizia o più libertà, per essere brutali?

«La libertà è anche troppa. Ad essere polemici, si può dire che in Italia ci vuole più giustizia che libertà. Di libertà ce n'è anche troppa, naturalmente per taluni..., i mafiosi, molti politici...»

Secondo Lei, i fenomeni criminali sono conseguenza di un eccesso di libertà?

«Sono l'effetto di un eccesso di garantismo che finisce con il ridicolizzare anche le condanne, come si è visto».

Ma questo esplodere di criminalità e di corruzione privata e pubblica non La fa riandare con la mente a Giolitti, con tutto quello che la rievocazione di quel periodo storico significa ai fini della comprensione delle vere ragioni e delle vere motivazioni del fenomeno?

«Giolitti è stato rivalutato».

Da chi?

«Da Togliatti, per esempio. E sotto un certo aspetto, a ragione».

Sotto quale aspetto a ragione?

«Giolitti ha aperto alle istanze operaie, nel nord. Certo, nel sud sappiamo invece come si comportava..., i mazzieri...; e oggi, nel sud, boss mafiosi, intreccio tra criminalità comune e affarismo politico, Bobbio scrive proprio oggi di tangentocrazia...»

Appunto. E allora, che cosa c'entra il garantismo, l'eccesso di garantismo al quale Lei si riferiva prima?

«L'eccesso di garantismo non alimenta la criminalità ma certo la favorisce...»

Mi permetto di non essere d'accordo. Se, come Lei stesso riconosce, l'esplodere attuale della criminalità non ha cause del tutto proprie, come dire? autonome, rispetto agli assetti politici e sociali dati, se insomma questo è il suo proprio modo di essere e di giustificarsi dell' attuale assetto, che cosa risolveremmo con una maggiore severità, contro chi la dovremmo esercitare?

«Non risolveremmo niente, lo capisco».

O Lei intende dire che c'è troppo garantismo a favore di chi utilizza la criminalità, di chi se ne serve per zittire la gente, per spegnere ogni senso critico?

«E' così, proprio così. Negli anni di Scelba, ai comizi comunisti le piazze erano vuote perché la mafia impediva alla gente di uscire...»

“Stalin ebbe ragione con Trotski, Togliatti con Silone”

Conclusivamente, professore, e tornando a Silone, alla sua crisi politica ed umana, al suo allontanamento dal comunismo, al suo approdo ad una sorta di cristianesimo laico, insomma tornando alla vicenda Silone e al partito comunista, secondo Lei, allora, in quel contesto dato, per quei motivi dichiarati, fu giusta l'espulsione sua dal partito comunista?

«Non saprei dire; bisogna tener conto della situazione del momento; quella che Stalin fece prevalere fu, secondo me, in quel momento, la linea giusta. In assoluto, è chiaro, no. Ma in quel momento, penso che la linea giusta sia stata quella. Senza dimenticare che, giustamente, Silone ha pur continuato a dire ed a scrivere quel che pensava; e questo è stato un bene. Sul piano politico, resta il fatto che, come non fu possibile far convivere il trotskismo con lo stalinismo nella realizzazione del primo stato socialista, così fu necessario allontanare, espellere uomini orientati come Silone. Altri furono mandati in case di cura o in campi di concentramento; anche questa fu una necessità; beninteso, dal punto di vista storico obiettivo. Dal punto di vista umano, personale, sarei stato io capace di farlo? non lo so».

Allora, dal punto di vista storico obiettivo come Lei dice, è stato giusto che il fascismo mandasse Lei al soggiorno obbligato; e che il fratello di Silone fosse fatto morire nelle carceri fasciste...

«Ricordo l'ingegnere Calace. Fece anni di carcere e poi di confino all'isola di Ponza. Fu liberato all'indomani del 25 luglio '43. Tornò a Bari e fu subito la mente direttiva del costituito partito d'azione. Un uomo di grande, assoluta dirittura morale. Era il nostro maestro. Ricordo un episodio, per esempio: quando si formò il governo Parri, uomo ingenuo anche lui  tanto che fu subito eliminato, si diceva dalle nostre parti che anche noi dovevamo mandare un uomo nostro al governo. Calace non accettò alcuna delega: il mio compito è qui, rispose: formare il partito, crearne le basi. La cosa fece stupire parecchi dei nostri compagni di allora, a cominciare dallo stesso Fiore. Calace, avuta l'offerta di un incarico di sottosegretario, mandò un telegramma a Parri sdegnato: non ho fatto l'antifascista per fare il ministro ma per combattere il fascismo.

Per rispondere a Lei, Calace usava dire: io non sono stato un perseguitato dal fascismo; sono stato un persecutore del regime! Ed è profondamente vero quello che diceva: che cosa ho fatto io, niente di speciale: ho cercato di formar coscienze tra i giovani correndo il rischio che dovevo correre. Eravamo persecutori noi del fascismo; non provocavamo, certo, se non la puntura di una zanzara; che cosa si fa con una zanzara che ti punge? la si schiaccia. Il regime schiacciava quanti lo perseguitavano.

Calace non volle assolutamente iscriversi all'associazione dei perseguitati dal regime. Anche a me diceva: avete visto mai Lenin iscritto all'associazione dei perseguitati dallo zarismo?

Persecutori del regime siamo stati, non perseguitati. La risposta di Calace è molto bella. E questa è la mia risposta».

Si, è molto bella. Ma temo che la possano utilizzare in molti, e da molti punti di vista...

«Certo, dipende da chi lo dice...»

Il 28 luglio del '43 che cosa accadde a Bari, esattamente. Lei l'ha scritto da qualche parte?

«No, non ho scritto mai nulla di quegli accadimenti. Sa, un po' mi dà fastidio».

Allora lo dica a noi, se non Le dispiace.

«Il 28 luglio del '43, noi, che eravamo il partito d'azione appena costituito ufficialmente, facemmo pressione presso la prefettura, il tribunale, la corte d'appello perché si liberassero subito dal carcere i detenuti politici. Si andò in delegazione alla prefettura, poi al palazzo di giustizia, dal questore. Ci dissero: ma noi non abbiamo ordini. Non occorre aspettare ordini, replicammo con il fervore proprio degli entusiasti che ormai vedevamo tutto risolto e facile. Comunque, finimmo con l'ottenere l'ordinanza di scarcerazione dei detenuti, tra i quali c'era Calogero, De Ruggiero, vari avvocati. Si organizzò così un corteo di giovani studenti entusiasti che partì dal liceo. Erano giovani che avevano subito l'influenza mia e di altri miei colleghi. Volevano andare al carcere ad accogliere e a festeggiare gli scarcerandi. Lungo il percorso, altri si aggregarono al corteo e si passò davanti alla sede della federazione del partito fascista. Arrivati lì, trovammo una formazione, un plotone comandato da un commissario di pubblica sicurezza, messo lì per impedire che si entrasse nella federazione fascista. A quel punto, si aggiunse al corteo un sergente del battaglione San Marco, il quale mostrava di essere dalla nostra parte, e con entusiasmo. I soldati a loro volta si disposero dinanzi alla federazione, armi in pugno, per impedire che si salisse nella sede fascista. Chiarimmo che non era nostra intenzione aggredire o rapinare nessuno. Chiedemmo però che si desse soddisfazione ai giovani disponendo che venisse tolta l'insegna del partito fascista dal balcone; dopo di che, ce ne saremmo andati al carcere. Mentre questo io dicevo al tenente, si cominciò a sparare e a sparare per primo fu proprio il sergente del battaglione San Marco che si era unito con entusiasmo al corteo dei giovani. Sparò provocatoriamente verso il corteo. I soldati che presidiavano la sede fascista, a quel punto, cominciarono a sparare anche loro sul corteo. Molti colpi d'arma da fuoco vennero dal balcone della federazione fascista: molti colpi vennero proprio dall'alto. Io ne rimasi ferito ma non gravemente; e caddi a terra come molti altri. Ci furono una ventina di morti e parecchi feriti. Tra i morti ci fu il figlio minore di Tommaso Fiore.

Ne seguì un processo, naturalmente a carico nostro perché avevamo fatto una dimostrazione proibita.

Il processo non finì male per noi; insomma, non ce ne derivò una condanna. Il processo fu istruito da Aldo Moro che faceva parte del tribunale militare di Bari…»

Come si comportò in quella circostanza Aldo Moro?

«Mah... insomma...»

E com'era allora, quando l'ha conosciuto Lei? che atteggiamento ebbe nei confronti del fascismo?

«Era molto abile, molto cauto. Non credo che abbia svolto attività politica, cospirativa, antifascista. Per la verità, Moro neanche voleva per conto suo far politica. Fu il vescovo locale ad indurlo ad iscriversi al partito democristiano, se non sono male informato...»

“Se insegnassi oggi? Spiegherei le mie idee di comunista”

Professore, se Lei adesso svolgesse ancora la sua attività di docente, se domani dovesse andare alla Sua scuola a far lezione, cercherebbe, certo con il garbo e l'attenzione che conosciamo, di fare in modo che i giovani diventino comunisti?

«Direi le mie idee...»

Oggi, intendo...

«Oggi, certo...; direi le mie idee. Sono convinto della bontà di certi ideali, nonostante i fallimenti che vi sono stati».

E qual è, oggi, l'avversario e l'ostacolo maggiore per la realizzazione delle Sue idee?

«E' sempre lì, alla Casa Bianca; viene sempre di là. E del resto, lo dimostrano i fatti: l'insidiosa azione politica nei confronti dell'Unione Sovietica e dei paesi del socialismo...»

Concludendo, professore, vorrei leggerle un breve passo di “Uscita di sicurezza” di Silone; apparentemente banale ma a mio modo di vedere estremamente importante. Glielo vorrei leggere. Mi pare un passo importante se si vuol capire una sorta di vocazione di Silone ad affrontare ed a rispondere ai grandi problemi della storia e degli uomini attraverso la narrazione, per così dire, di fatti minimi. Ricorda “Fontamara”?

Vorrrei rileggere con lei questo punto:

Il diavolo e il bambino

““Ricordo una vivace discussione sorta un giorno nella classe di catechismo, tra noi ragazzi e il parroco. Ne fu causa una rappresentazione di marionette alla quale noi ragazzi, assieme al parroco, avevamo assistito il giorno prima. Il soggetto, lo ricordo benissimo, esponeva le drammatiche peripezie d'un bambino perseguitato dal diavolo. A un certo punto il bambino-marionetta era apparso sul proscenio tremante di paura e per sfuggire alle ricerche del diavolo si era nascosto sotto un lettino che occupava un angolo della scena. Poco dopo era sopraggiunto il diavolo-marionetta e l'aveva cercato invano.

“Eppure dev'essere qui”, diceva il diavolo-marionetta, “sento il suo odore. Adesso chiedo a questi bravi spettatori”. E rivolto a noi, aveva chiesto:

“Cari miei ragazzi, avete forse visto nascondersi in qualche posto quel bambinaccio che io cerco?”

“No, no, no”, immediatamente gli rispondemmo in coro e con la più grande energia.

“Dove si trova dunque? Perché non lo vedo?”, insistè il diavolo.

“E' partito è andato via”, noi gli rispondemmo, “è andato a Lisbona” (nel nostro parlare e nei nostri proverbi, Lisbona è ancora oggi il punto più lontano del globo).

Devo spiegare che nessuno di noi, andando allo spettacolo, prevedeva di essere interpellato da un diavolo-marionetta; e il nostro comportamento era stato pertanto del tutto istintivo e spontaneo. E suppongo che, probabilmente, in qualsiasi altro paese del mondo, davanti all'identico spettacolo, i bambini reagirebbero alla stessa maniera. Ma il nostro curato, una colta e pia persona, con nostra sorpresa, non fu interamente soddisfatto. Ce lo spiegò con rammarico nella piccola cappella di Santa Cecilia ...”” 

«E cioè? con quali argomenti?»

Lo dice, lo dice:

““...ove di solito egli impartiva le lezioni di catechismo. Quel luogo a noi ragazzi era assai gradito perché la martire romana vi era raffigurata sull'altare, assorta e melanconica, e con un oggetto tra le braccia somigliante in modo strano all'utensile domestico, chiamato “chitarra”, che nelle nostre case serve a fare gli spaghetti all'uovo. L'immagine ci attirava a tal punto che, per sottrarci a quella seduzione, almeno durante l'ora di catechismo, il curato era stato costretto a disporre i banchi di noi ragazzi in modo da costringerci a voltare le spalle a Santa Cecilia.

“Il vostro comportamento durante la rappresentazione delle marionette”, egli ci disse dopo averci imposto di sedere, “mi è dispiaciuto”.

Noi avevamo detto una bugia, egli ci avvertì preoccupato.

L'avevamo detta a fin di bene, certo, ma era pur sempre una bugia. Non bisogna dir bugie.

“Neppure al diavolo?” domandammo noi interdetti.

“Una bugia è sempre un peccato”, ci rispose il curato.

“Anche davanti al pretore?” domandò uno dei ragazzi. Il parroco ci redarguì severamente.

“Io sono qui per insegnarvi la dottrina cristiana e non per fare pettegolezzi” ci disse. “Quello che succede fuori della chiesa non m'interessa”.

E tornò a spiegarci la dottrina sulla verità e sulle bugie, con bellissime e difficili parole. A noi bambini però non interessava, quel giorno, la questione delle bugie in generale; noi volevamo sapere: “Dovevamo rivelare al diavolo il nascondiglio del bambino, sì o no?”.

“Non si tratta di questo”, ci ripeteva il povero curato veramente sulle spine. “La bugia è sempre peccato. Può essere un peccato grande, uno medio, uno così così, e uno piccolino; ma è sempre un peccato”.

“La verità è”, dicevamo noi, “che da una parte c'era il diavolo e dall'altra c'era un bambino. Noi volevamo aiutare il bambino, quest'è la verità”.

“Ma avete detto una bugia”, ripeteva il parroco. “A fin di bene, lo riconosco, ma una bugia”.

Per farla finita io gli mossi un'obiezione d'una perfidia inaudita e, tenuto conto dell'età, piuttosto precoce.

“Se invece d'un bambino qualsiasi si fosse trattato di un prete” gli chiesi “che dovevamo rispondere al diavolo?”

Il parroco arrossì ed evitò una risposta, imponendomi, come punizione per la mia impertinenza, di restare tutto il resto della lezione in ginocchio accanto a lui.

“Sei pentito?” mi chiese alla fine della lezione.

“Certo”, gli risposi. “Se il diavolo mi chiede il vostro indirizzo, glielo darò senz'altro””.

«E' stupendo. E' stupendo».

Lei naturalmente coglie più di me la profondità, a dispetto delle apparenze, del racconto di Silone e le sue complesse implicazioni anche sotto il profilo propriamente politico, se possiamo dire così.

Se io avessi aiutato Trotzsky? Avrei aiutato, credo, un uomo perseguitato, punto e basta.

«Stalin, certo, è quel parroco lì».

E allora?

«In certe circostanze occorre quel parroco...; purtroppo».

Insomma: “quando ci vuole ci vuole”.

«Purtroppo è così. Anzi ...no ..., non è così. Non è così, perché bisogna vedere, bisogna vedere chi si tratta di salvare; salvare Trotsky, dicendo che non ci sta?»

...per esempio...

«...e certo, per esempio».

E così venendo meno, però, al dovere di un militante...

«...di un militante, se il militante è convinto della giustezza della sua scelta...»

...di un militante, però, che vuole aiutare l'uomo. Il bambino, come ha visto, non metteva in discussione le regole che il parroco gli ricordava ma, come si dice, storicizzava la questione e replicava: già, è vero che non si devono dire bugie e che le regole dell'istituzione-chiesa (o dell'istituzione-partito, possiamo aggiungere) vanno rispettate...

«...certo, è bellissima questa cosa...»

...e Lei che dice? io dico che bisogna salvare quel bambino, sempre.

«Bisogna vedere che bambino è; questo, il punto».

Io dico: sempre.

«Sempre?»

Tenga presente che il diavolo non era un avversario qualsiasi; era un avversario che il bambino lo ammazzava. In quel caso il diavolo, il bambino, l'avrebbe “mangiato vivo”. E allora, che cosa fa un uomo dinanzi ad un altro uomo che si trova in quella situazione? Rispetta ciecamente le regole che gli vengono imposte o, “sotto sotto”, aiuta quell'uomo?

«Il problema non si può porre in astratto. Bisogna vedere quest'uomo che si nasconde che uomo è...; se è un uomo che va salvato per una causa superiore che tu condividi o se è un uomo che minaccia le condizioni del successo della causa nella quale credi».

E chi decide questo?

«Ognuno, sulla base della propria coscienza, della propria idea; nessun altro può decidere».

Ma il concetto di coscienza non sempre coincide con le idee che si hanno. Diventa, così, la coscienza, un valore universale? Come faccio, io, a  “controllare” la Sua coscienza?

«Si, capisco, certo...»

...anche chi mandava alle camere a gas, per esempio: il soldatino che apriva la fornace delle camere a gas, poteva ben ritenere di rispondere in quel modo alla sua coscienza...

«ma lì non c'era nessuna ragione che giustificasse quell'azione...»

...tutte le ragioni raccontate da Hitler, alle quali il soldatino credeva. Anche quella sarebbe la “propria coscienza”.

«Ma, per la verità, Hitler fingeva di ignorare che tutte queste cose accadessero. Il che, naturalmente, è molto grave».

Comunque, professore, se io Le avessi detto, segretamente: lo salviamo quel bambino? Lei, da uomo a uomo che cosa mi risponde, ora? L'avremmo salvato, noi due?

«Dipende..».

Io ho l'impressione che Lei lo avrebbe salvato.

«Probabilmente».

Avrebbe detto: è scappato veramente.

«Mah... Sto pensando. Sì, è così. E' proprio bella questa storia. Sì, sto pensando».

Va bene; io continuo a pensare che ci saremmo messi d'accordo per vedere come farlo scappare questo bambino...

«...quasi certamente è così...»

...ci saremmo messi d'accordo per farlo scappare...

«...a meno che non si fosse trattato di un delinquente della peggiore specie; e allora...

Insomma, bisogna vedere chi è esattamente questo bambino».

Ma il diavolo se lo mangiava proprio!

«Quest'idea del diavolo che si mangiava il bambino mi fa pensare di risponderLe ricordandoLe l'ultimo film di Ferrero, “La carne”.

Ferrero dice e fa cose pazze, davvero. Ma credo di poterLe rispondere ricordandoLe quel suo ultimo film. Io non l'ho ancora visto; ma ho letto com'è.

Il protagonista è un tale che non vive più con la moglie. Convive con una ragazza, della quale è innamoratissimo. Tanto che i due si ritirano in una villa in campagna e non escono mai di casa se non per acquistare il necessario. Vivono nella villa, da soli, e non hanno rapporti con nessuno. Vivono del loro amore. Arriva però il momento in cui la ragazza lascia intendere di volersene andare. Lui non lo tollera e, memore della prima comunione e dell'ostia carne e corpo del Signore, decide di uccidere la ragazza, di nutrirsi di lei ed averla così sempre con sé. Questo è il film: la uccide e se la mangia.

Ecco: lei dice che il diavolo vuol mangiare il bambino; ma, vede, c'è anche chi per amore vuol mangiare il suo prossimo.

Vede? C'è questo pericolo anche; non si deve desiderare di essere molto amati; si può finire col venire mangiati».

Bari, 8 maggio 1991

Ultimo aggiornamento Venerdì 01 Luglio 2011 10:06
 
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