=SCUOLA. Insegnare e apprendere fuori dalle vigne padronali= Stampa
Scritto da Redazione   
Lunedì 01 Agosto 2011 00:10

 “Ma che ci faccio, in questa scuola?”

 

di Rita Ceci

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L’estate è ancora calda pur se le piogge annunciate lasciano intendere che il cambiamento climatico è ormai alle porte: mi tiro sugli occhi il lenzuolo come per rubare un altro po’ di tempo al sonno. Il primo giorno di scuola comincia come sempre gaio e luminoso per il sole che filtra impertinente senza lasciarsi scalfire dai primi brividi autunnali: aria fresca nei polmoni che si allenano già alle nuove gare da intraprendere per l’inverno. Vocalizzi di base per ora, esercitazioni innocenti buone per una prima chiacchiera con i proff. appena ritrovati, prima di affrontare l’Arena dei collegi, i dibattiti, i consigli, le assemblee… Anche la mente pigramente si risveglia a cercare sotto la sabbia dei castelli estivi qualche buona idea da mettere in campo al primo suono della campanella. Mi rigiro tra le lenzuola e non trovo posizione né spunti per la mia ricerca: non sarà che alla luce degli ultimi dibattiti sulla scuola, qualcosa davvero non mi torna? E sì che avverto una vaga confusione, una certa ansia comincia ad assalirmi: ma cosa mi mette tanta agitazione?

 

Ah, ora che ci penso, devo assolutamente rivedere dei dati fondamentali prima di riprendere il lavoro: e precisamente il mio bagaglio dialettale! La Lega ha infatti proposto, durante la calura estiva, che il dialetto dei padri venga “promosso” a disciplina scolastica, salvo che i padri se ne sono andati da tempo, e con loro l’autenticità di quella lingua (madre in verità), che nessuno può più restituirci, né tantomeno insegnarci. Non vorrei dunque che i miei docenti mi trovassero impreparata ad argomentare su una Unità di Apprendimento sul dialetto, magari rigorosamente in dialetto, definendo come sempre: L’obbietteive, i’ contenout, u’ met’d, icomptenz, e… c’ cos’ ‘ma ‘nzgnè! Così gli alunni, non ancora in grado di districarsi nei meandri della lingua italiana (mi ossessionano i dati OCSE che vedono l’Italia sempre agli ultimi posti nella competenza linguistica…ma quando risaliremo la china?), quando appena cominciano a riscattarsi da una condizione di inferiorità linguistica che rende sempre più difficile il loro accesso alla cittadinanza europea, devono rinunciare alla riscossa. Ma ora, a parlare di promozioni sento che un nuovo senso di ansia mi assale facendo agitare con me anche il lenzuolo! Non è stato quello delle promozioni o meglio delle bocciature il tormentone della chiusura dell’anno scolastico? “basta un cinque, anzi un 5, in una sola disciplina per bocciare; specie se trattasi di 5 in condotta”, recitano le circolari ministeriali di fine anno gettando i docenti nello scompiglio valutativo, proprio in periodo d’esami! E così se ne sono andati in fumo anni di dibattiti sull’antidispersione, lotte al bullismo, passerelle per recuperare un mese, un anno, una disciplina, per rimettersi in carreggiata; i PON, i Collegi, i Consigli, le reti e i patti formativi: e cosa valutiamo, e come valutiamo, e le competenze? Le culture? I valori?... Di tutto ciò la Scuola era il Tempio, e tutto è precipitato all’improvviso e senza storia in un minuscolo segno grafico, un piccolo voto, un “cancellino” che come un colpo di spugna ha portato con sé il pensiero di tanti grandi pedagogisti e l’azione di tanti docenti in trincea che tale pensiero hanno faticosamente studiato ed applicato! Per fortuna, mi consolo, nella nostra scuola le buone prassi ci hanno consentito di raggiungere il nostro obiettivo: dispersione zero!

 

Ma ora, che fare? In tanto precipitare, per poco non finisco giù dal letto anch’io, madida di sudore e affranta per tutti quei pensieri: aiuto, aiuto, ma che ci faccio in questa scuola? E la sveglia si mette improvvisamente a trillare…liberandomi così dall’incubo. Ma sì, è stato solo un brutto sogno: oggi, primo giorno di scuola, la campanella non suonerà per me! E mi stiracchio sorridendo e sbadigliando… la mia sveglia da oggi riprende i suoi tic tac biologici, sospingendomi senza strappi verso altri cantieri: ho da riscoprire la dimensione ludica, creativa, affettiva e solidale della vita; ho da ritrovare la coerenza dei miei passi di nuovo in sintonia con il pensiero e le emozioni; ho da continuare il mestiere di dare e di avere, di insegnare e di apprendere ma questa volta in campo aperto, fuori dalle vigne padronali, davvero libera di scegliere e di decidere! E lo sguardo, affacciato sull’alba del giorno che nasce si perde a dismisura e si confonde con i suoni del risveglio: il vagito di un bambino, l’abbaiare di un cane in lontananza, il ritmo del bastone di un vecchio sul selciato, la filastrocca della bimba che prepara lo zainetto, la fresca allegria di un gruppo di giovani in corsa per il tram che li attende, la voce di una donna che canticchia lietamente: “canta donna, il sole è alto…”.

Ultimo aggiornamento Lunedì 01 Agosto 2011 00:26
 
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