=LA SCUOLA AD OSTACOLI= Stampa
Scritto da Redazione   
Mercoledì 06 Marzo 2013 11:48

di Giuseppe De Liso

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"selettivamente" verso la bocciatura

evasione_scolasticasMolti anni fa Don Lorenzo Milani denunciava la natura classista della scuola italiana.

Diceva: “La scuola non è più scuola. E’ un ospedale che cura i sani e respinge i malati. Diventa uno strumento di differenziazione sempre più irrimediabile”.

Il grande educatore metteva il dito nelle due principali piaghe del sistema educativo: la motivazione, spesso assai scarsa, degli insegnanti (chi insegna, sosteneva, non deve essere il funzionario di una scuola fine a se stessa, ma “chi non ha nessun interesse culturale quando è solo”) e la selettività crudele che porta alla bocciatura, alla dilatazione dei tempi di recupero (dopo i quali il discente si ritrova allo stesso punto di prima), e, in definitiva, alla perdita dello scopo dell’apprendimento, nonché alla fuoriuscita dal sistema formativo. Oggi più che mai le affermazioni di Don Milani sono attuali, tant’è vero che la dispersione scolastica per ogni ordine e grado d’istruzione è sempre più diffusa e sovente va a braccetto con la devianza minorile. Se a ciò si aggiunge che la scuola ha perso ormai da tempo il ruolo di fonte prevalente di formazione ed educazione (la costruzione della personalità di un preadolescente oggi si gioca attraverso altri canali intrecciati insieme - mass-media, tecnologia etc. - e insomma si pone sempre altrove), il quadro è ben presto completo nella sua tragica evidenza. Si fa un bel parlare di patti formativi di corresponsabilità coi genitori degli alunni, e si moltiplicano i social learning negli istituti scolastici e nelle sedi di pubbliche conferenze: ma gli appartenenti alle fasce sociali a rischio, che i problemi li hanno addosso, come fanno a rimuovere gli ostacoli e a oggettivare le soluzioni?

 

le vittime sacrificali

Si può stabilire quasi una proporzione, confortata peraltro da seri studi scientifici: la dispersione scolastica diventa devianza minorile, quest’ultima porta al bullismo, e, di conseguenza,  alla criminalità vera e propria. Si assesta così un colpo duro e fatale ad istituzioni già alla deriva (nessuna istituzione attua nella prassi ciò che formalmente dovrebbe rappresentare  - si pensi alla politica, per esempio - né dà il corretto riscontro ai rappresentati della sua sussistenza). Per non parlare del fatto che molte famiglie, già dissestate da un punto di vista economico, sono lasciate sole nell’affrontare forti difficoltà derivanti dal degrado sociale. Occorre quindi un approccio decisamente diverso che parta dal personale scolastico. Ha scritto Benedetto Vertecchi, sociologo dell’educazione: “Gli insegnanti si attendono che vi sia chi apprende di più e meglio e chi di meno e meno bene, e che tra questi estremi vi sia un’ampia zona di variazione, entro cui si collocano le prestazioni della grande maggioranza degli allievi. Ne viene l’accettazione di una scuola che programmaticamente ritiene di poter fornire un servizio soddisfacente solo per una parte ristretta della popolazione, mentre la parte restante deve accontentarsi di ottenere risultati più o meno mediocri, quando non del tutto negativi”. Come giustificano gli insegnanti a se stessi e agli altri queste dinamiche di apprendimento? Tirando fuori il discorso dell’attitudine. Ma, ricorda Vertecchi: “E’ questo un argomento solo apparentemente ben fondato; in effetti, esso è da respingersi per almeno due ragioni: la prima è che non si sa bene cosa sia l’attitudine cui in questo caso si fa riferimento, l’altra che viene ad essere di fatto negata la stessa validità dell’istituzione scolastica, dal momento che essa non è capace di altro se non di riprodurre una situazione già esistente”. Ed ancora: “Si stabilisce una sorta di corrispondenza affettiva tra insegnanti ed allievi, che è tra i fattori che determinano in modo più diretto una condizione di vantaggio per gli allievi appartenenti a famiglie culturalmente ed economicamente più favorite. E’ probabile che questi fattori siano difficilmente eliminabili, almeno finché non si generalizzi tra gli insegnanti una precisa consapevolezza, anche politica, degli obiettivi della scuola di massa”. Qual è il risultato di questa situazione? “Obiettivo del lavoro scolastico non è più per gli allievi l’acquisizione di determinate abilità culturali ma l’ottenimento di un giudizio positivo: il profitto scolastico coincide insomma col voto ottenuto”. Ed infine: “Nella sua attuazione pratica la reiezione strisciante si affida o alla espressione formale di un giudizio negativo (in sostanza alla bocciatura), o alla formazione negli allievi e nelle famiglie di una previsione pessimistica circa le probabilità di proseguire con successo gli studi: in entrambi i casi si attiva una motivazione che conduce all’uscita dal sistema formativo”. In altre parole, la logica che si nasconde dietro questi meccanismi è la discriminazione di classe, la stessa contro la quale Don Lorenzo Milani si era sempre battuto. Allora, un conto è dire genericamente che i tempi tumultuosi di oggi lasciano parecchie vittime dietro di sé ed un altro è dire che il sistema produce sistematicamente dall’interno vittime sacrificali che non hanno alcun diritto a partecipare alla vita di tutti (Don Milani sapeva che una persona di umili condizioni, solo per il cattivo esito di un elaborato, era condannata a non poter più aprire un libro in vita sua e le cose oggi non sono tanto diverse perché ad un analfabetismo letterale è subentrato uno spaventoso analfabetismo culturale).

Sicché, una scuola che vuole dirsi di massa deve imporsi una serie di obiettivi primari, uno dei quali è proprio quello di far conseguire ai discenti una sicura consapevolezza del linguaggio e un padroneggiamento delle abilità tecniche. Trattasi di un obiettivo raggiungibile senza procedere ad un deteriore livellamento e senza acuire le differenze. Inoltre, la produttività culturale della scuola consiste nella sua capacità di saper mediare tra i contenuti formativi e le esigenze degli allievi che apprendono per garantirsi un futuro dignitoso.

 

gli abbandoni della scuola in Puglia

Oggi le scuole basano tutte le loro strategie contro la dispersione scolastica attraverso i PON (programma operativo nazionale) che sono finanziati con i fondi strutturali europei del POR (programma operativo regionale). Dicono nei seminari che la battaglia sta raggiungendo risultati positivi. Ma l'impressione è che i dirigenti scolastici si preoccupano più degli strumenti che hanno a disposizione e del monitoraggio dei medesimi, onde evitare sperperi di risorse, che delle persone effettivamente da raggiungere. Si dice che si sta predisponendo uno sforzo enorme per inventare soluzioni capaci di motivare gli allievi, di offrir loro modalità di apprendimento personalizzate e quant’altro proprio nel momento in cui ci sarebbe bisogno del raggiungimento di una maggiore credibilità e del funzionamento vero dei normali canali di comunicazione.

Uno studio del Censis, nell’ambito del progetto “Di.Sco. Bull” svoltosi nella prima metà dello scorso anno, cui hanno aderito alcuni istituti scolastici di Bari, ha evidenziato che i pugliesi che abbandonano precocemente i percorsi formativi sono il 23.4%, un dato che pone la Puglia in una posizione molto distante dalla soglia del 10% fissata da Lisbona 2020. Ed è comunque, si è fatto notare, una quota maggiore di quella riferita all’Italia nel suo complesso (18,8%). Per giunta, ben il 40% degli studenti della scuola secondaria di primo grado è incorso in episodi di bullismo. Non sono pochi gli istituti scolastici di Bari (soprattutto gli istituti tecnici di istruzione secondaria superiore di secondo grado, sempre a rischio) che devono contrastare il fenomeno del bullismo all’interno e all’esterno: da una parte gruppi di ragazzi di vita, esprimiamoci così, rendono impossibile il normale svolgimento della quotidianità scolastica, dall’altra gruppi di ragazzacci irrompono nelle scuole dalla città quando sono in corso le attività didattiche o in tempi morti, provocando vandalismi e quant’altro. Come va la situazione a Modugno? Diciamo che tuttora i piccoli esercizi commerciali e artigianali (il barbiere, il meccanico etc.) sono pieni di piccoli apprendisti ben determinati a conseguire una precaria indipendenza in famiglie in piena crisi di podestà tutoriale.

 

il meccanismo inceppato

Affidiamo le conclusioni allo stesso Don Milani che avevamo citato all’inizio dell’articolo, un educatore oltremodo spietato nel suo candore: “La scuola è l’unica differenza che c’è fra l’uomo e gli animali. Il maestro dà al ragazzo tutto quello che crede, ama, spera. Il ragazzo crescendo ci aggiunge qualche cosa e così l’umanità va avanti”. Quando ciò non avviene, è facile dedurre, il meccanismo si inceppa e nulla di buono può scaturirne. Anzi, viene fuori tutto il male possibile. Perché la scuola, l’educazione sono il nostro futuro.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 06 Marzo 2013 12:31
 
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