=IL MATTONE DI CALVINO. 60 ANNI DOPO= Stampa
Scritto da Redazione   
Lunedì 22 Settembre 2014 09:35

LA SPECULAZIONE EDILIZIA*

Credits-LaPresse h partb

“Un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri, spigoli e lati di case, di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi per servitù contigue con solo i finestrini smerigliati dei gabinetti uno sopra l’altro”.
La febbre del cemento s’è impadronita della città.

di  Nicola Sacco

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Un’iniziativa presa contro la natura umana, e contro la natura tout court, che naufraga su un terreno che pure avrebbe dovuto esserle favorevole, quello dove “il mattone” s’è fatto religione e i suoi apostoli prevalgono, vincono e impongono una cruenta trasformazione paesaggistica.

Nel breve romanzo di Calvino, la parabola di Quinto, un uomo che torna nel suo paese e, trovandolo stravolto dal “cemento”, decide di adeguarsi allo spirito dei tempi: fare soldi costruendo palazzi e costruire palazzi per fare soldi, prescindendo da qualunque bisogno reale, individuale e sociale.

“Un sovrapporsi geometrico di parallelepipedi e poliedri, spigoli e lati di case, di qua e di là, tetti, finestre, muri ciechi perpalazzi full servitù contigue con solo i finestrini smerigliati dei gabinetti uno sopra l’altro.”

La febbre del cemento s’è impadronita della città. Questo è ciò che Quinto deve ammettere a se stesso dopo l’ennesimo ritorno al suo paese natale. Palazzi uno addosso all’altro, casamenti di sei otto piani, castelli di impalcature, betoniere che girano e al loro fianco i cartelli dell’agenzia per l’acquisto dei locali. E la mamma che gli illustra i cambiamenti: “Vieni da questa parte, ora; qui a levante, vista da toglierci non ne avevano più, ma guarda quel nuovo tetto che è spuntato: ebbene, adesso il sole alla mattina arriva qui mezz’ora dopo”.

Insomma, un paese che se ne va sotto il cemento.

Nel congegno narrativo, se Quinto, il protagonista de La speculazione edilizia di Italo Calvino, si limitasse a provare fastidio per un paesaggio che imbruttisce a colpi di ruspa e successive smisurate edificazioni, la storia sarebbe ben conclusa prima ancora di cominciare: un mondo scompare per lasciare posto ad un altro determinato dalla Storia che avanza col suo ritmo tumultuoso foriero di cambiamenti inevitabili, apparentemente necessari. E si avrebbe niente altro che la meditazione patetica di un nostalgico dei “bei tempi andati”.

genovaInvece, Calvino costruisce il suo protagonista intorno a quel tipo umano che rifiuta il ruolo di colui il quale ha già avvistato un destino di sciagure e, sdegnoso, lo segnala da lontano al popolo (e quindi ai lettori) senza niente altro aggiungere di suo che una sterile aura di sapiente quasi veggente; l’autore, cioè, vuole un protagonista che si immerga nella Storia, ne partecipi o se ne assuma il peso e, ove possibile, goda i frutti rivenienti dall’essere colui che fa cavalcando la voga, il gusto, il costume e il malcostume del suo tempo.

E dunque, sul presupposto che un uomo che non svolge un’attività economica non è un uomo che vale, si fa largo la domanda “se tutti costruiscono perché non costruiamo anche noi?”.

Dalla decisione di mettersi a costruire scaturirà il confronto di Quinto con la realtà, cioè con un universo popolato da pescecani: imprenditori edili, liberi professionisti, politici e tra questi ultimi finanche quelli che fanno discorsi di sinistra con la coscienza di essere uomini d’ordine. Spregiudicatezza e sordidi interessi occupano il territorio prima ancora del cemento che verrà poi a ingrassare il nuovo ceto dominante “sceso dalla montagna coi calzoni rattoppati, mezzo analfabeta, che adesso impianta cantieri dappertutto, maneggia milioni, fa la pioggia e il bel tempo col Comune, coll’Ufficio Tecnico …”. Pezzi di società, amorali e antiestetici, vanno modellando un paesaggio a loro immagine e somiglianza: amorale quello umano, antiestetico quello fisico.

Ecco, quindi, Quinto con suo fratello Ampelio alle prese con i metodi dei costruttori, nel tentativo (fallimentare) di assimilarli.alluvione Disponendo di alcuni terreni fabbricabili, li vediamo e sentiamo congetturare come gli ingegnerini d’ogni tempo: “Ora stammi a sentire: una costruzione sull’area a preclude ogni eventualità di vendita o di costruzione sull’area b. Quindi noi, vendendo a Caisotti l’area a per il suo valore di terreno fabbricabile x, priviamo il terreno b del suo valore d’area fabbricabile y. Dunque, per il prezzo x noi ci alieniamo del valore x+y. Ossia, ora possediamo a+b; venduto a potremo disporre solo di b-y.

Il fallimento è annunciato senza tuttavia pregiudizio per il lettore che si addentri nelle pagine de La speculazione edilizia. Il fallimento è già nelle cose, nella vicenda di un individuo che decide di contrastare la sua natura, nel falso vitalismo dell’imprenditore che si appresta a stendere un sudario di cemento laddove la vita, invece, affiora ostinata, in un commosso controcanto, pure dai cumuli di terra ribaltati dallo scasso per le fondamenta (il terriccio umido, le radici dei vegetali, i lombrichi).

abusi-edilizi-300x179Quinto, infine, sarà colto dall’intuizione – e ci pare sia in questa il senso dell’opera - che non necessariamente si partecipa alla Storia assecondandola nella sua direzione più greve. Scarti rispetto all’andazzo generale, deviazioni e tentativi di aggiustamenti sono sempre possibili e sempre esercitano il loro richiamo a una diversa, più salubre ed utile, assunzione di responsabilità.

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* La speculazione edilizia è un romanzo di Italo Calvino, pubblicato per la prima volta sul numero 20 della rivista letteraria "Botteghe Oscure" nel 1957. Divenne noto al grande pubblico con l'edizione del 1963 nella collana "Coralli" di Einaudi, e le successive riedizioni per Einaudi prima e Mondadori poi.

 

Ultimo aggiornamento Lunedì 22 Settembre 2014 11:00
 
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