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Scritto da Redazione   
Martedì 18 Ottobre 2011 19:13
A mente fredda
Tra il vincitore ferito e il boom dei grillini nei comuni della sinistra matrigna
Dietro i numeri e oltre l’apparenza: Michele Iorio esce fortemente ridimensionato nel suo potere sovrano e lascia per strada quasi 25mila preferenze personali. Paolo Frattura si rivela un buon candidato, arrivando a un passo dallo scardinare l’ “inattaccabile” sistema molisano. Ma il vero elemento di riflessione, a mente lucida, è l’exploit del Movimento 5 Stelle nei due Comuni che hanno assistito, non a caso, alle lotte fratricide del centrosinistra: Termoli e Campobasso.
Se alla fine, in democrazia, quello che conta sono i numeri, bisogna premettere che mai come questa volta i numeri suggeriscono diverse interpretazioni a ciò che i molisani hanno voluto dire attraverso le urne. Millecinquecento voti di scarto fra chi ha vinto e chi ha perso sono pochi anche per una piccola regione come la nostra, però in quei millecinquecento voti ci sono alcune chiavi di lettura che permettono di interpretare l’esito della competizione e capire meglio quello che è accaduto.

I numeri, dunque, dicono che Michele Iorio è il vincitore di questa tornata elettorale. Lo è per la terza volta consecutiva, e lo è malgrado dieci anni di governo caratterizzati dalla lievitazione del deficit sanitario, dall’aumento delle tasse e delle accise sui carburanti, dalla disoccupazione crescente e dalla riduzione dei servizi di assistenza. Segno che la maggioranza degli elettori, per quanto esigua, ha comunque privilegiato quelli che a suo avviso sono gli elementi positivi del governo Iorio (stabilità e scarsa conflittualità prima di tutto) piuttosto che puntare il dito contro quelli negativi.
Gli stessi numeri che parlano della vittoria del Governatore, tuttavia, dicono in modo inequivocabile che la sua forza politica, il suo sistema di gestione del potere familistico e clientelare, escono fortemente ridimensionati dal voto. Rispetto al 2006 il “sovrano del Molise” lascia per strada 23 mila preferenze personali (scende da 112 mila a 89 mila), un fenomeno che la crescente astensione non basta a spiegare. Nel 2006 si era dimostrato più forte della propria coalizione ottenendo settemila voti più di quelli raccolti dai partiti a suo sostegno, domenica e ieri sono le liste del centrodestra ad aver raggranellato 11 mila voti più di Iorio. Il quale da forza trainante si è trasformato in un fardello trainato a forza, e il vistoso fenomeno del voto disgiunto a suo sfavore dice in modo inequivocabile che anche a una larga fetta del proprio elettorato tradizionale non è piaciuto il suo modo di governare. Basti un numero per tutti: nel suo inespugnabile feudo di Isernia città è precipitato dal 62 per cento di cinque anni fa al 51 per cento di oggi perdendo duemila voti su meno di novemila.

Se Iorio è il vincitore “ferito” di queste elezioni, Paolo di Laura Frattura è lo sconfitto “ferito”. Nell’immediatezza dello scrutinio, dopo una notte di spasmodico testa a testa, tutti hanno comprensibilmente esaltato la inattesa performance del candidato del centro sinistra che è andato a un soffio (millecinquecento voti, appunto) dal compiere l’impresa impossibile di scardinare quello che dopo dieci anni è considerato l’inattaccabile sistema di potere di Iorio. Un ottimo risultato, senza dubbio, specie se messo a confronto con la prosopopea dei suoi avversari che alla vigilia del voto ne pronosticavano una sicura sconfitta cocente, vistosa e umiliante. La sconfitta c’è stata, ma non è stata né vistosa, né umiliante. Anzi.

Però attenzione, non è tutto oro quello che luccica. Cinque anni fa, infatti, un candidato debole e impopolare come Roberto Ruta aveva raccolto 95 mila voti; Frattura ne ha ottenuti 8 mila in meno. Detto in altre parole: l’opposizione è riuscita a lasciare per strada 8mila dei suoi già pochi voti raccolti nel 2006 nonostante la congiuntura estremamente favorevole vista la crisi vissuta dallo “iorismo” e visto anche l’andamento della politica nazionale che vede il centrodestra all’angolo, in crisi di identità e di consensi.
Più che Frattura, è il centrosinistra che deve chiedersi come sia stata possibile questa ulteriore erosione di voti in un momento in cui le congiunzioni astrali erano tutte a suo sostegno. Sono i partiti di centrosinistra che – anziché esultare per una vittoria mancata - devono riflettere sul fatto che il loro candidato ha ottenuto quindicimila voti più di quelli ottenuti dalle liste che lo sostenevano: quindicimila voti, un’enormità. I motivi di questa debacle sono chiari, l’elettorato li ha in mente da tempo, sono solo i vertici dei partiti che non se ne rendono conto o fingono di non rendersene conto. Cinque anni di litigiosità a tratti infantile e idiota, di rancori personali e vendette trasversali, cinque anni contraddistinti da harahiri grotteschi come quelli esibiti dai cervelloni del centrosinistra al Comune di Campobasso, alla Provincia di Campobasso e al Comune di Termoli, cinque anni di comportamenti inverecondi come quelli messi in campo a più riprese dal Partito Democratico dell’ambigua coppia Ruta-Leva e dal nepotistico partito della famiglia Di Pietro non potevano passare inosservati agli occhi di un elettorato esigente (giustamente esigente) che pretende un minimo di coerenza fra le idee propugnate e i comportamenti assunti. Di coerenza gli elettori ne hanno vista ben poca, e così la coalizione di centrosinistra è risultata per molti ancora troppo poco affidabile e poco credibile per meritare le chiavi di Palazzo Moffa.


Certo, dirà qualcuno, se non ci fosse stato il partito di Grillo ora si starebbe cantando tutta un’altra messa, si starebbe celebrando una storica vittoria del centrosinistra e una clamorosa sconfitta del centrodestra. Tutto vero, verissimo se si vuol dare credito alle sensazioni di chi è convinto che il successo della lista 5 Stelle abbia prevalentemente danneggiato la coalizione guidata da Frattura. Ammesso che le cose stiano davvero così, i numeri ancora una volta ci aiutano a capire che dietro l’apparenza si nasconde una realtà più complessa. Il candidato del Movimento 5 Stelle, Antonio Federico, ha ottenuto consensi a macchia di leopardo. Molto in alcuni centri, poco in altri. Ma il massimo del risultato lo ha fatto registrare a Campobasso città (quasi il 10 per cento) e a Termoli città (quasi il 12 per cento, un exploit davvero inimmaginabile). Beh, non è un caso, ma Campobasso e Termoli sono due Comuni dove il centrosinistra in questi ultimi anni ha dato pessima prova di sé stesso, con scellerate esibizioni di inconsistenza politica in cui l’astio che ha contraddistinto i rapporti fra le diverse liste ha sempre avuto la meglio su una ragionevole necessità di trovare un accordo, come certificano le paradossali vicende termolesi della caduta di Greco e della doppia candidatura Monaco – Gatti alle successive elezioni comunali.
Dunque, i ragazzi del comico genovese hanno mietuto voti proprio laddove il centrosinistra quei voti li ha buttati al vento con i suoi comportamenti. Pd, Idv e le altre liste farebbero bene a meditare su questo piuttosto che puntare il dito sul presunto “qualunquismo” dei grillini.

I quali grillini meritano un discorso a parte. Non crediamo di sbagliare, infatti, nel’immaginare che molti di quei diecimila che hanno dato la preferenza a Federico oggi si staranno mangiando le mani pensando che con il loro voto avrebbero potuto contribuire a una storica caduta di Iorio. Ma non è questo quello che conta, quanto piuttosto il sapore ancora molto acerbo che contraddistingue l’agire dei seguaci del comico genovese. Con evidente dilettantismo e scarsa preparazione, infatti, buona parte dei grillini ha dato il voto al candidato presidente (che ha raccolto il 6 per cento) ma non alla lista di sostegno (che ha raccolto appena il 3 per cento in provincia di Campobasso e che non era presente a Isernia): dunque i grillini - che nei dibattiti pubblici si piccano di poter dare lezioni di buona amministrazione a tutti - in grande maggioranza non sapevano neppure che quello che conta per mandare un consigliere in Regione non sono i voti al candidato presidente, quanto piuttosto quelli alla lista di sostegno. Invece hanno votato il candidato presidente (Federico) ma non la lista. Risultato: che i voti andati a Federico hanno facilitatola vittoria di Iorio su Frattura, e i pochi voti di lista non sono bastati a far eleggere neppure un consigliere targato 5 stelle.

Del resto, il sapore acerbo restituito nel suo complesso dalla performance dei grillini è acuito anche dal fatto che l’analisi finale di queste elezioni dice in fondo che i veri vincitori sono loro. O meglio: non loro in quanto candidati o in quanto elettori, ma il loro modo di intendere la politica. Quel modo molto in voga di questi tempi – e che ha insospettabili profeti in personaggi come Giuliano Ferrara o in certa pubblicistica filo berlusconiana - per cui “tutti sono uguali” nel senso negativo dell’essere uguali. Tutti i gatti sono neri, se la notte è nera. Tutti sono corrotti allo stesso modo, tutti sono incapaci allo stesso modo, tutti sono attaccati alla poltrona allo stesso modo, tutti uguali non per quello che fanno ma per lo stipendio che ricevono, Iorio è uguale a Frattura, Gianfranco Vitagliano è uguale a Filippo Monaco, Massimo Romano è uguale a Luigi Velardi, Antonio Chieffo e uguale a Roberto Ruta, e a discendere i giornalisti sono tutti asserviti allo stesso modo, i magistrati sono tutti politicizzati allo stesso modo, i dipendenti pubblici sono tutti fannulloni allo stesso modo. Un ragionamento che abilmente maneggiato dal cinismo di un comico di grande popolarità diventa affascinante e perfino incantevole, ma che alla prova dei fatti ha la sola evidente conseguenza di distogliere i cittadini (e gli elettori) dal più importante gesto di civiltà e di responsabilità che li può contraddistinguere: fare la fatica di informarsi, di capire, di distinguere, e infine scegliere. Perché i gatti non sono tutti neri, neanche se la notte è nera.
Bisogna prendere atto del fatto che quella di distinguere e scegliere è però una fatica che ormai molti non vogliono più fare (l’astensionismo sta lì a dimostrarlo), ed è una diserzione davvero drammatica in un momento così delicato per la vita di una Regione e di una Nazione.

(Pubblicato il 18/10/2011)

 
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