=CHI PAGA E PERCHE’ LA CRISI DELL’UNIONE MONETARIA EUROPEA?= Stampa
Scritto da Redazione   
Domenica 17 Giugno 2012 03:47

 capitalismo

 

 

 

 

E’ il conflitto intercapitalistico fra Germania e Stati Uniti

ad imporre le politiche di austerità in Europa

 

di Guglielmo Forges Davanzati (Università del Salento) 

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Davvero i paesi periferici "hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità"?

L’opinione dominante fa propria la convinzione stando alla quale la crisi dell’Unione Monetaria Europea dipende essenzialmente dal fatto che i Paesi c.d. periferici hanno sistematicamente “vissuto al di sopra delle loro possibilità”, ovvero fanno registrare valori eccessivamente elevati del rapporto debito pubblico/PIL. Da questo assunto viene fatta discendere l’inevitabilità delle politiche di austerità, sotto forma di riduzione della spesa pubblica (e, dunque, di progressivo smantellamento del Welfare) e/o di aumento dell’imposizione fiscale. Si tratta di un messaggio facilmente comunicabile, dal momento che associa (in modo fallace) il bilancio di una famiglia con il bilancio dello Stato, e, al tempo stesso, del solo messaggio che può essere veicolato nel presente fragilissimo assetto istituzionale dell’Unione Monetaria Europea. In altri termini, si può ragionevolmente sostenere che le misure di austerità - e i “sacrifici” a queste connessi - sono inefficaci per l’obiettivo che si propongono, sono deleteri ai fini della coesione sociale [V. http://temi.repubblica.it/micromega-online/la-follia-secondo-einstein/] e che, tuttavia, sono inevitabili nell’attuale configurazione dell’Eurozona.

1) L’equiparazione del bilancio familiare con il bilancio di uno Stato è un’equiparazione fallace, dal momento che, mentre per una famiglia esiste un limite oltre il quale risulta insostenibile l’indebitamento (limite dato dall’impossibilità di ripagare il debito, con le sanzioni che ne derivano) ciò non accade per uno Stato, dal momento che il suo debito può espandersi ad infinitum, data l’ovvia condizione di trovare chi ne acquista i titoli. In un assetto istituzionale nel quale sia data alla Banca Centrale questa possibilità (il che non è nell’attuale legislazione europea), potendo la Banca Centrale produrre moneta senza vincoli di scarsità, il debito pubblico può crescere appunto senza incontrare limiti. Come riconosciuto da molti autorevoli economisti, non è possibile stabilire un limite di sostenibilità del debito pubblico, ovvero, sul piano strettamente teorico, il limite di sostenibilità del debito pubblico non può che derivare da scelte di ordine politico, dunque estranee a un calcolo puramente economico. Semplificando: mentre esiste un tribunale che sanziona l’inadempienza di una famiglia, non esiste un tribunale che sanziona l’inadempienza (ammesso che di questo si tratti) di uno Stato.

2) Le politiche di austerità sono sostanzialmente inevitabili nell’attuale assetto istituzionale europeo, la cui crisi si snoda intorno a un triplice conflitto distributivo: il conflitto intercapitalistico interno all’UE (fra aree centrali e aree periferiche, con conseguente crescente impoverimento assoluto e relativo di queste ultime), il conflitto capitale-rendita finanziaria, che si manifesta sotto forma di attacchi speculativi a danno principalmente dei Paesi con bassi tassi di crescita e persistenti disavanzi dei conti con l’estero, dal momento che bassi tassi di crescita ed elevato indebitamento con l’estero sono indicatori di bassa competitività di un Paese e di elevato rischio di insolvenza e, non da ultimo, il conflitto intercapitalistico fra Germania e Stati Uniti, che fa perno sull’obiettivo della Germania di accrescere le quote di mercato delle sue imprese nei mercati internazionali. Si può ragionevolmente ritenere che il conflitto intercapitalistico fra Germania e Stati Uniti costituisca la fondamentale ragione che motiva le politiche di austerità in Europa. Dal punto di vista della Germania, per continuare a garantirsi costanti aumenti dell’attivo della bilancia dei pagamenti e, dunque, un elevato tasso di crescita trainato dalle esportazioni, occorre che sussistano due condizioni. La prima: I Paesi extra-UE devono attuare politiche fiscali espansive, diventando importatori netti. La seconda, occorre che il tasso di cambio euro-dollaro si deprezzi. La prima condizione è attualmente garantita dall’obiettivo del Presidente Obama di costruire un Welfare stanutitense, confidando che la sua probabilità di rielezione dipenda dal successo di questa impresa. D’altra parte, la base elettorale che lo sostiene richiede esattamente questo. La seconda condizione è garantita dalla deflazione salariale imposta, attraverso le politiche di austerità, a tutti i Paesi dell’eurozona. E, d’altra parte, la base elettorale che sostiene il Governo Merkel è composta dalle grandi imprese esportatrici, che da queste misure hanno esclusivamente da guadagnare.

Il "non detto" nello scenario delle politiche economiche di oggi: "rendere i lavoratori sempre più poveri"

Con l’approssimarsi del G20, si assiste a dichiarazioni allarmate e sempre più frequenti del Presidente Obama, che sollecita l’Europa ad attuare in tempi rapidi, e con effetti di breve periodo, politiche per la crescita, anche mediante l’utilizzo di misure di deficit spending. Obama dichiara di temere un ‘effetto contagio’ che potrebbe passare mediante i canali interbancari, generando un ulteriore credit crunch, su scala globale, che farebbe seguito a quello del 2008. Si può anche considerare che le imprese statunitensi temono di continuare a perdere quote di mercato come conseguenza del continuo aumento delle esportazioni tedesche negli USA. Si consideri, a riguardo, che circa il 4% delle esportazioni americane sono indirizzate in Germania, a fronte del fatto che la quota delle esportazioni tedesche negli Stati Uniti è pari a circa il 6% delle esportazioni totali tedesche. In tal senso, il conflitto Germania – Stati Uniti ruota intorno alla domanda: chi paga la crisi? Ovvero, chi si fa carico di attuare politiche fiscali espansive (e di accrescere il debito pubblico) che tengano elevata la domanda aggregata su scala internazionale? E’ uno scenario neo-mercantilistico fortemente instabile, dal momento che non è logicamente possibile che tutti i Paesi abbiano avanzi della bilancia dei pagamenti. La gran parte dei mercantilisti del Seicento ritenevano che uno Stato può arricchirsi solo attraverso il commercio estero. E aggiungevano che, per ottenere questo risultato, occorreva rendere i lavoratori sempre più poveri. Nessun economista e nessun politico, oggi, sottoscriverebbe questa tesi: ma è precisamente questo il “non detto” che sta alla base delle politiche economiche attuate in Europa.


Ultimo aggiornamento Domenica 17 Giugno 2012 04:22
 
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