TENNIS.LA CLASSIFICA DELLE PALLE VELOCI Stampa
Scritto da Redazione   
Lunedì 28 Marzo 2011 12:56

 di Michele Silvestrti

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Racchette o mani in grafite?

Che palle! Tranquilli, non si tratta di un’arrendevole esclamazione di perdita della pazienza bensì di una sottolineatura delle velocità raggiunte dal tennis moderno: durante una partita di Coppa Davis del primo weekend di marzo, il tennista Ivo Karlovic ha servito alla velocità di 251 km/h superando così il precedente record dell’americano Andy Roddick che nel 2004 aveva raggiunto in battuta ‘solo’ 249 km/h.

Che palle, così il tennis diventa monotono. Come fa l’avversario di Karlovic ad intuire la direzione del suo servizio, a preparare mentalmente una risposta e ad eseguirla con il gesto tecnico più adeguato possibile, il tutto dovendosi effettuare entro 0,6 secondi? E Karlovic non è neppure un ‘marziano’ irraggiungibile: a febbraio, nel torneo di Memphis, il servizio del canadese Milos Raonic ha saettato a 241 Km/h. Questa volta, però, le palle non c’entrano, nel senso che nel tennis moderno sono addirittura più lente di quelle usate dai professionisti a cavallo degli anni ‘70/’80: la ‘colpa’ è delle racchette in grafite che hanno messo in soffitta i vecchi telai in legno, attrezzi che hanno accompagnato il tennis dei grandi colpi di classe, a rete e da bordo campo, quel tennis dai colpi risolutivi perché geniali, ad effetto o smorzati, ma mai perché missili imprendibili. Scorrendo il repertorio del professionista ad alto livello dei tempi nostri, pure ciò che non è servizio sarebbe da autovelox in autostrada: un diritto di Rafa Nadal, ad esempio, supera spesso i 160 km/h. Impressionanti sono anche le rotazioni che le racchette in grafite riescono ad imprimere alle palle: secondo uno studio che ha utilizzato software collegati a telecamere ad alta velocità, sempre lo spagnolo Nadal colpisce in diritto top spin (rotazione alla palla impressa dall’alto) a 4900 giri al minuto, lo svizzero Roger Federer a 2700 giri.

 

Nadal e Federer, Federer e Nadal: che palle, da circa un decennio il podio altissimo di numero uno al mondo era cosa loro. Era. Nella settimana appena trascorsa, infatti, il serbo Novak Djokovic ha vinto il torneo di Indian Wells, battendo in finale proprio Nadal (in tre set: 4-6 6-3 6-2), e - grazie anche alla vittoria negli Australian Open ed al torneo di Dubai - ha sorpassato Federer al numero due della classifica mondiale che adesso, dunque, è: Nadal primo, poi Djokovic e Federer terzo. La stagione fin qui eccezionale del serbo e la sua giovane età (23 anni) sono due indizi per il sospetto che è in atto un cambiamento nelle gerarchie del tennis mondiale.

L’altra faccia della medaglia sono i perdenti storici. Senza scomodare il record negativo dello statunitense Vince Spadea, che tra il 1999 ed il 2000 perse per 21 incontri consecutivi (sequenza interrotta a Wimbledon, grazie a un lunghissimo 9-7 al quinto set contro Rusedski), c’è la ‘sindrome di Murray’: il tennista britannico numero 5 nella classifica mondiale, sconfitto nell’ultima finale degli Australian Open da Djokovic, sembra patirne psicologicamente e nel secondo Master Series stagionale sul cemento americano di Miami viene subito eliminato dal ‘CarneadeBogomolov jr (numero 118 al mondo) con un secco 1-6 5-7. Stessa fenomenologia del 2008, quando Murray subì diverse sconfitte clamorose dopo aver perso contro Federer la finale degli Us Open: era la prima volta che il britannico si giocava una finale Slam.

La pressione della Gran Bretagna si fa evidentemente sentire sulle spalle di Murray: è dal 1936 (Fred Perry agli Us Open), infatti, che un suddito di Sua Maestà la Regina non vince un torneo del Grande Slam. Noi italiani siamo messi decisamente meglio in campo femminile (Francesca Schiavone vittoriosa al Roland Garros 2010), ma in quello maschile il Panatta di fine anni ’70 sulla terra rossa del Roland Garros non ha ancora trovato un successore: e che palle!

Ultimo aggiornamento Lunedì 28 Marzo 2011 13:10
 
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