=QUESTIONE MORALE - NEL TUNNEL DI MICHELE EMILIANO= Stampa
Scritto da Redazione   
Giovedì 01 Settembre 2011 17:51

di Nicola Magrone
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emiliano

Riproporre, specie dalle nostre parti - insomma, al Sud - tesi e atteggiamenti autoreferenziali come quelli proposti dal Sindaco di Bari impaurisce come impaurisce l’ingresso in un tunnel oscuro e privo di un minimo di segnaletica, oltre il quale puoi trovare di tutto, anche il baratro.

Secondo un comunicato dell’Ufficio stampa del Gruppo 24 ORE, il Sindaco di Bari, Michele Emiliano, intervenendo al programma “La zanzara” su Radio 24, ha espresso le sue opinioni sul caso Penati e più in generale sull’ormai dilagante coinvolgimento della rappresentanza politica democratica in vicende giudiziarie. Riferendosi specificamente al caso Penati, Emiliano avrebbe affermato:

Chiedere di rinunciare alla prescrizione è disumano. E’ disumano perché una persona sottoposta a indagine vive la condizione peggiore che un uomo possa sopportare. E dunque bisogna avere rispetto e bisogna evitare di interferire nella materia processuale che è strettamente connessa ai suoi diritti processuali. La decisione di rinunciare alla prescrizione deve essere lasciata a una sua decisione personale. Non deve gestirla neanche il suo difensore perché è una decisione di coscienza di una persona che ha timore che la prescrizione possa non consentire l’accertamento della sua innocenza.

Questo affermando, Emiliano si sarebbe posto di traverso rispetto agli ultimi approdi (conseguiti attraverso mille contraddizioni), nel centro sinistra e in particolare nel Pd, intorno al problema del comportamento che partiti e comunità dovrebbero attendersi da persone investite di ruoli di rappresentanza democratica elettiva (dal consigliere comunale al Presidente del Consiglio) e indagati (peggio, imputati, in procedimenti penali stroncati dalla prescrizione dei reati). Nessuno, lui dice, può chiedere, tanto meno pretendere, che il “politico” indagato o imputato dichiari di rinunciare alla prescrizione dei reati; sono fatti suoi e decisioni sue sulle quali nessuno ha il diritto di intervenire o di esercitare pressioni di sorta.

Detta così, la cosa sembra ragionevole se non del tutto banale. E’ difficile pensare che ci sia in Italia anche un solo cittadino che non la condivida (anche se, per amore di verità, va detto che l’Italia è infestata da fior di giustizialisti che vorrebbero veder pendere dalla forca tutti quelli che sono solo sfiorati dall’interesse investigativo di un Pubblico ministero). Il problema è che la questione si pone per quanti sono investiti di pubbliche funzioni per mandato elettorale (diretto o indiretto): dal consigliere di quartiere al Presidente della Repubblica.  Ed infatti Emiliano, atteggiandosi a chi si cura del cittadino qualunque, si riferiva precisamente a Penati che cittadino qualunque non è avendo ricoperto e ricoprendo importanti cariche pubbliche elettive. La domanda è (a volerci cimentare noi pure in un esercizio di estrema banalizzazione senza svolazzi apparentemente culturali e addirittura ideologici): tu, consigliere comunale, consigliere regionale, deputato, hai tutti i diritti che spettano a qualsiasi cittadino; dunque, anche se non soprattutto quello di difenderti al meglio e secondo strategie processuali che a te solo spetta di definire; dunque, se i reati a te attribuiti o contestati scompaiono (si prescrivono) per via del passare del tempo dal momento in cui - secondo l’accusa - i reati sono stati commessi, tu pure puoi cogliere l’opportunità che ti viene data di chiudere la vicenda propriamente processuale e di sfuggire al giudizio; a te, cittadino ed eletto a funzioni pubbliche, questa conclusione può andare bene. Poco importa, così chiudendo la tua partita giudiziaria, che tu ne esca indenne, sì, ma rassegnato all’idea che la tua innocenza resti non dichiarata tanto meno certificata e che anzi restino, se sei già davanti al giudice, - in un processo stritolato e vanificato dalla prescrizione -  la richiesta del pubblico ministero di mandarti davanti ai giudici e la decisione del giudice dell’udienza preliminare che ha controllato che vi fossero seri motivi per non proscioglierti subito e di mandarti, appunto, davanti ai giudici per essere giudicato; a te va bene chiuderla comunque, la vicenda; potrai dire ai tuoi amici che è tutto a posto, che quella questione è chiusa; gli altri, tutti gli altri, si facciano i fatti loro. Punto.

consegne_gattiQuesta ruvida semplificazione della questione è adeguata alla semplificazione che Emiliano fa del problema: cavoli suoi, dell’”eletto”, nessuno ci metta il becco. Se l’indagato (mettiamo, Penati) o l’imputato (mettiamo, Mimmo Gatti sindaco di Modugno del quale Sucritica.it si è occupata più volte per il semplice motivo che a Modugno ha sede legale la Fondazione onlus Popoli & Costituzioni promotrice della rivista) sono persone con compiti di rappresentanza democratica, il problema non si può risolvere con uno sbrigativo cavoli loro, come vorrebbe Emiliano (non a caso presidente regionale o qualcosa di simile nel Pd, e in più sindaco di Bari città metropolitana a due passi da Modugno) perché non si tratterebbe affatto di cavoli loro da risolvere ciascuno per conto suo. Essi sono personalità pubbliche che hanno chiesto la fiducia degli elettori e l’hanno avuta nel presupposto che si trattasse e si tratti di persone dabbene; dunque, se un pubblico ministero li ritiene corrotti o soggetti pubblici infedeli e se si aggiunge il giudice a ritenerli meritevoli di un pubblico giudizio, la cosa interessa e come la comunità; e alla comunità che li ha eletti e li elegge interessa anche e molto sapere se i due soggetti hanno scelto la via dell’accertamento della verità rinunciando alla prescrizione e chiedendo di essere giudicati nella convinzione della propria innocenza. Interessa ai cittadini sapere se i fatti attribuiti o contestati ai due soggetti sono stati commessi o no, perché costoro amministrano il loro paese, perché da loro dipende in grandissima parte la qualità della vita della comunità, perché la democrazia non tollera zone d’ombra, perché l’esercizio corretto del voto richiede trasparenza, affidabilità, verificabilità delle qualità professionali e morali dei candidati. Il problema da discutere è questo non certo quello confusamente immaginato da Emiliano di una “pretesa disumana” della società della condanna dell’indagato/imputato. La società ha diritto a vedersi amministrata e rappresentata da persone capaci di sottrarsi a fortunose circostanze a loro favorevoli (come è la prescrizione dei reati che non dipende certo da loro ma dalla rudimentale e disastrata macchina giudiziaria) e soprattutto capaci di portare fino in fondo le ragioni della loro innocenza fino ad una esplicita certificazione propriamente giudiziaria, insomma una sentenza.

Emiliano tutto questo sa bene e tuttavia confonde i temi in discussione per approdare alla conclusione che i cittadini quello che votano debbono tenersi comunque vada. Al punto che dichiara di ritenere che nemmeno il partito ha il diritto di interferire nelle scelte processuali dell’indagato/imputato (rinunciare o meno alla prescrizione):

Sbaglia il partito a chiedere le dimissioni [di Penati] perché non può. Il partito non è una religione o l’esercito della salvezza. Persino nelle migliori famiglie non esiste la possibilità che un membro indichi ad altri delle condotte di vita. Ciascuno risponde delle proprie condotte, soprattutto se penalmente rilevanti. I partiti non possono ingerire nei diritti della difesa della persona.

Come si vede, l’argomentazione di Emiliano è segnata da una confusione di fondo. Lui dice: la comunità o il partito non possono chiedere dimissioni di “eletti” perché ed in quanto indagati o imputati dal momento che si tratta di fatti loro, personali e sottratti alla controllabilità democratica degli elettori. Non è così: comunità e partito devono chiedere le dimissioni di “eletti” in quanto, pur potendolo, hanno rinunciato al loro diritto all’accertamento della verità (insomma, hanno accettato la dichiarazione di prescrizione dei reati). E questo, a prescindere dall'immagine edificante che Emiliano dà dei partiti di oggi manco fossero il luogo delle libertà di ciaascun iscritto e non meri strumenti di gestione verticistica del consenso (paradossalmente sbagliamo noi quando definiamo "eletti" quelli che vengono brutalmente nominati, persona per persona, incarico per incarico, e mantenuti a spese dei contribuenti).

Va sottolineato conclusivamente che nel Pd si va delineando, con fatica, la linea della legalità democratica (Sudcritica.it ha dato atto di questa maturazione); l’estemporaneo pronunciamento di Emiliano ricaccia la discussione all’indietro e, per qualche verso, evoca le argomentazioni berlusconiane sul primato del consenso popolare comunque ottenuto: se consenso c’è, il resto non conta.

Riproporre, specie dalle nostre parti - insomma, al Sud - tesi e atteggiamenti autoreferenziali come quelli proposti dal Sindaco di Bari impaurisce come impaurisce l’ingresso in un tunnel oscuro e privo di un minimo di segnaletica, oltre il quale puoi trovare di tutto, anche il baratro.

Ultimo aggiornamento Giovedì 01 Settembre 2011 22:44
 
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