=LA SCOMPARSA DI UMBERTO PAGANO= Stampa
Scritto da Redazione   
Domenica 14 Agosto 2011 20:00

pagano   E’ scomparso, ieri 13 agosto 2011, Umberto Pagano, già Presidente della Corte di Assise di Bari e della Corte di Appello di Lecce. Pagano è stato tra gli amici più autorevoli e veri della Fondazione onlus Popoli & Costituzioni, della Convenzione Italia Giusta secondo la Costituzione e della rivista SUDCRITICA alla quale ha collaborato sin dalla sua fondazione nel 1979. Per onorarne la memoria, pubblichiamo la sua prefazione al volume del suo amico Nicola Magrone il quale gli fu legato da stima professionale e umana  e amicizia, vere e profonde.

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La moda di riformare

[prefazione di Umberto Pagano a IL PICCOLO LIBRO DELLA COSTITUZIONE di Nicola Magrone, Bari, edizioni dall’Interno/Sudcritica]

 

La Costituzione. Quando Lelio Basso, socialista, propose il testo dell’art. 3 capoverso, vi lavorò con i costituenti di ogni parte politica, comunisti, democristiani, liberali. Controfirmò col capo provvisorio dello Stato e il presidente dell’Assemblea Costituente, l’agrario liberale salentino Giuseppe Grassi, il guarda¬sigilli dell’epoca. L’affermazione piú solenne del principio d’uguaglianza nonché del dovere primario dello Stato di promuovere l’emancipazione delle classi piú deboli attraverso la rimozione degli ostacoli che di fatto ne impediscono lo sviluppo fu dunque opera di tutti i rappresentanti del Paese al parlamento costituente, che con unanime consenso favorirono l’approvazione di questo e degli altri principî fondanti della Costituzione repubblicana. Quelli, per intenderci, che neppure un procedimento di revisione costituzionale (art. 138) può disconoscere. La Costituzione si pose cosí come punto di riferimento alla comunità nazionale e dal giorno della sua entrata in vigore, il primo gennaio 1948, per oltre un cinquantennio la classe politica vi attinse argomenti e motivazioni per l’adeguamento dell’ordinamento giuridico a reali contenuti di democrazia e libertà: in concomitanza con la ricostruzione del Paese dopo la rovinosa seconda guerra mondiale; consapevoli, governo ed opposizione, della inevitabile attuazione dei principî costituzionali per veder realizzata l’effettiva svolta democratica del Paese. Non fu un impegno agevole né del tutto indolore, ma il comune sentimento di avversione ad ogni forma di totalitarismo guidò l’operazione di rinascita ed i tentativi di ostacolarla con involute interpretazioni del testo costituzionale furono disattesi col rifiuto della distinzione delle sue norme in programmatiche e precettive che la Corte Costituzionale prontamente sanzionò assecondando i primi timidi passi in tal senso di giurisprudenza e migliore dottrina.

Seguí la stagione delle riforme. L’armamentario autoritario del processo penale cadde sotto la scure della Corte Costituzionale. Sollecitata soprattutto dai giudici di merito, la Corte pronunciò l’incostituzionalità di norme ordinarie in contrasto con i principî di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, di parità delle parti nel processo e di effettivo contraddittorio, fino a determinare un movimento culturale e d’opinione che avrebbe portato negli anni Ottanta al varo del nuovo codice. Il nuovo processo del lavoro e lo statuto dei lavoratori conferirono tutela e dignità alla posizione della parte piú debole del rapporto di lavoro, ed in ossequio ad altre disposizioni costituzionali trovarono altresí tutela, in una rigorosa opera di smantellamento dell’ordinamento giuridico del passato regime, il di¬rit¬to alla salute, gli interessi diffusi, l’ambiente e la scola¬riz¬zazione, cui meritoriamente ed in pari misura contribuirono Corte Costituzionale, Parlamento e Magistratura. Come si conviene alla legge fondamentale di uno Stato, la nostra Costituzione detta principî generali e regole d’indirizzo per il governo della cosa pubblica affidandone la traduzione normativa al legislatore ordinario. La sua rivisitazione richiede il presupposto di un suo necessario adeguamento al mutamento di condizioni politiche od a nuove esigenze socio-economiche rappresentative del radicale superamento di quelle pregresse. Per la prima volta, a metà degli anni Ottanta, il governo in carica manifestò il proposito di procedervi in nome di esigenze dí governabilità, per vero mai né bene intese dai cittadini né sufficientemente motivate. Non se ne fece nulla e la Costituzione subí limitate modifiche su singole materie. L’allarme però fu subito avvertito da giuscostituzionalisti ed opinione pubblica piú sensibile, che da quel momento registrarono l’inspiegabile diffusione del convincimento secondo cui i tempi erano ormai maturi per un’organica revisione della Costituzione, a cinquant’anni di distanza dalla sua entrata in vigore. Come se fosse il tempo e non già un mutamento profondo delle condizioni del Paese a dettare un intervento di siffatta natura! Il tentativo portato avanti con la Bicamerale è storia fin troppo recente per tracciarne motivazioni politiche e contenuti di riforma a tutti noti. Se non per l’aspetto che riguarda il proposito di affondare il bisturi sull’intera parte seconda del testo senza peraltro concordare l’intangibilità della prima. L’iniziativa fu grave posto che solo un rivolgimento socio-politico di portata storica può giustificare la modifica radicale della legge fondamentale di uno Stato, nel nostro caso il prodotto di un patto sociale delle forze politiche uscite vittoriose dalla guerra di Resistenza.

 

 

Il fallimento della Bicamerale non ripaga: l’esperienza vissuta con il coinvolgimento di diffuse energie sociali, intellettive e politiche ha purtroppo prodotto l’assuefazione ad un approccio disinvolto al testo costituzionale. Federalismo, nuovi assetti nell’articolazione e nei rapporti tra i poteri dello Stato, una diversa visione dell’organizzazione giudiziaria, l’introduzione di cicli produttivi nuovi in economia e la connessa necessità di riformare l’apparato burocratico-amministrativo dello Stato, in una parola l’esigenza di modernizzazione e di apertura al nuovo ben può - anzi deve - suggerire accorti interventi legislativi di buon governo della cosa pubblica. Con ritocchi costituzionali là dove la normazione ordinaria non può risolvere, non con il varo di una virtuale mini-assemblea costituente che ragioni storiche non impongono ed il pericolo di un avallo politico-culturale a progetti riformatori solo ambiziosi sconsiglia. Con l’esito scontato di un travaso nell’opinione pubblica di certezze su inesistenti condizioni di flessibilità del principio di fedeltà alla Costituzione. L’iniziativa editoriale che chi scrive ha il privilegio e l’orgoglio di presentare intende contrastare l’opinione ormai diffusa secondo cui sulla via del progresso non sempre la Costituzione Repubblicana rappresenterebbe lo strumento migliore per favorirne il pieno dispiegamento. E ricordare a forze politiche e società civile, che in misura sempre piú rilevante ne sono attinte, come per converso il testo costituzionale è portatore non solo dei valori primari e dei diritti inalienabili della persona umana, ma pure di principî vivificatori dell’iniziativa pubblica e privata, dei rapporti etico-sociali ed economici. La Repubblica tutela il lavoro e l’impresa, la proprietà pubblica e privata, la libertà nell’iniziativa economica e privata. Anziché contro la Costituzione, per favorire lo sviluppo occorre capacità di attuazione di principî e regole generali che vi trovano spazio.

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Ecco il senso che i promotori, raccolti attorno alla rivista “Sudcritica” ed alla convenzione “Italia giusta secondo la Costituzione” hanno voluto dare alla pubblicazione del testo della Costituzione. Certi che il loro impegno favorirà l’allargamento del consenso ad un progetto che, per l’aspirazione che sottende, è destinato a varcare i confini di un’espressione culturale locale. Giacchè l’iniziativa merita il necessario supporto per la piú ampia sua diffusione. Un’occasione per scuole, pubbliche istituzioni ed enti territoriali responsabili della gestione di spazi e contenitori culturali. Bari,Giugno 2002

Ultimo aggiornamento Martedì 16 Agosto 2011 09:34
 
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