UN PAESE CHE DIVORA SE STESSO Stampa
Scritto da Redazione   
Venerdì 04 Febbraio 2011 13:34

PERCHE’ L’ITALIA RESPINGE L’ITALIANO BESNIK SOPOTI?

POSTUMI RAZZISTI DI UN PAESE CHE DIVORA SE STESSO
[dichiarazioni e foto concesse da Besnik Sopoti]

IL 10 MAGGIO PROSSIMO IL TRIBUNALEDI ROMA SI OCCUPERA' DELL'INCREDIBILE DRAMMA DI BESNIK SOPOTI. L'APPELLO DI ITALIA GIUSTA SECONDO LA COSTITUZIONE E DI SUDCRITICA E' A TUTTI I CITTADINI A NON LASCIARE SOLO SOPOTI. ITALIA GIUSTA E SUDCRITICA NON INTENDONO MOLLARE; SONO ARRIVATE FIN QUI E ANDRANNO OLTRE FINO AD OTTENERE GIUSTIZIA.

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Una breve inchiesta di Nicola Magrone
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Besnik Sopoti è nato  in Bari (Italia) il 12 aprile 1935; vive a Modugno (Italia) dal 1991 dove ha abitato dal 9 dicembre 1991 in via Riva 27, dal 23 febbraio 1992 in Piazza Plebiscito 31, dal 6 settembre 1994 in Piazza dei Caduti 10, dal 3 novembre 1994 in via Veneto 38, dal 30 gennaio 1997 (e attualmente) in via Monte Cassino 32. Insomma, sono vent’anni che Sopoti abita a Modugno (Italia), immigrato albanese. Come? immigrato albanese? e perché, se egli nacque a Bari (Italia) da una splendida madre italiana?

Che cos’è questa storia di un italiano albanese che vive in Italia da straniero? È un clandestino forse, è sbarcato da un barcone di clandestini? e quando? E sta qui da vent’anni, modugnese tra modugnesi in territorio italiano! E perché ha un cognome albanese?

Mio padre, Mazar Sopoti, conobbe mia madre Anna Turi a Bari nel 1934. Lui lavorava a La Gazzetta del Mezzogiorno, l’edizione che si pubblicava in albanese. Lui aveva studiato alle scuole medie in Italia ma la laurea in scienze politiche la prese a Parigi”.

Mazar e Anna si sposarono a Bari nel 1934, il 30 giugno; il 12 aprile 1935 ebbero Besnik il quale nacque albanese “per legge” (555 del 1912) perché suagenitori_SopotiFile0002 madre Anna, sposando Mazar, aveva perso automaticamente la cittadinanza italiana e presa “d’ufficio” quella albanese; il figlio con lei, senza essersi mosso un attimo da Bari (Italia).

Il matrimonio di mio padre e mia madre fu celebrato nel Consolato albanese di Bari. La Gazzetta del Mezzogiorno, anche nell’edizione albanese, dette notizia del matrimonio pubblicando una grande foto degli sposi”.

 

Una foto incantevole - va proprio detto -; di Ficarelli, ed è tutto detto (per chi ricorda) a proposito di “baresità”.

 

Nel 1938, mio padre decise di tornare in Albania e portò con sé mia madre e me; avevo tre anni. Mio padre era sicuro di poter continuare il suo lavoro di giornalista. Ma nel 1939 l’Italia occupò l’Albania. Lui, continuando a fare il giornalista, si schierò politicamente con il Fronte Nazionale che aveva come obiettivo l’unione di Albania e Kossovo. Insomma, il Fronte Nazionale aveva una vocazione nazionalista e dunque era contro il fascismo”.

L’Albania occupata dagli italiani sorprese, dunque, Besnik Sopoti con appena quattro anni alle spalle, la madre italiana ma albanese “per legge”.
Anna e Besnik, si arrangiarono da soli in una terra per loro straniera. Mazar non mollò il suo impegno nel Fronte Nazionale che viveva la decisione della Conferenza di Londra del 1912-13 di togliere il Kossovo all’Albania come una insopportabile ingiustizia. Ma lì, in Albania, Mazar Sopoti e gli altri del Fronte furono schiacciati dal loro stesso antifascismo e insieme anticomunismo.

Fu così che mio padre, e non solo lui, dopo aver subito alcuni attentati, venne condannato a morte. Scappò via dall’Albania insieme ad altre trecento persone lasciando definitivamente soli me, mia madre e mio fratello più piccolo. Io avevo nove anni. Ci sequestrarono tutto quello che avevamo perché il regime albanese filocomunista al servizio di Tito e di Belgrado ci giudicava come giudicava mio padre: nemici del popolo. Ci tolsero tutto. Eravamo avvertiti come fascisti per il solo fatto di essere italiani. Oggi, io subisco il paradosso di essere considerato albanese pur essendo nato in Italia da madre italiana”.

Che fine fece il padre di Besnik scampato ad una duplice tirannia?

Moltissimi anni dopo, il “muro di Berlino” in frantumi, abbiamo saputo che mio padre era morto a Bari. Ufficialmente dissero che morì a seguito di un intervento alla gola. Noi siamo convinti che l’abbiamo ucciso; cosa che avevano tentato tante volte”.

Fu così che Besnik Sopoti, caduto il “muro di Berlino”, poté tornare in Italia, a Bari, a Modugno, cioè nella sua patria. Ma lì si ritrovò straniero e poté restarci come turista. Ancora oggi, egli è ospite come turista, usufruisce di un permesso di soggiorno lungo, ma resta straniero, albanese.

Vive a Modugno in una casa che definire abitazione è un azzardo. Fa il pittore, autodidatta per povertà, stracolmo di sentimenti mai di risentimenti, nonostante tutto. E’ invalido e soprattutto ha un bisogno irrefrenabile di essere riconosciuto italiano, quello che è; è capace di dimenticare e di perdonare tutto ma chiede che gli venga riconosciuto il diritto alla cittadinanza italiana. L’Italia gli nega questo diritto, si arrampica sugli specchi della ragione e del diritto pur di negare questo diritto.

Raccontare come il diritto alla cittadinanza italiana viene ancora oggi negato a Sopoti è cosa mille volte più difficile che spiegare perché Sopoti quel diritto lo ha. Un intrigo burocratico, una rete di ciniche complicità, di incuria, di insensibilità, di sordità civiche e morali rendono l’affare più intricato di un giallo.

Per capire il mistero, bisogna visitare le carte. Esse dicono questo.

- Besnik Sopoti, assistito dal suo avvocato di fiducia (che lo assisteva gratuitamente), nel luglio del 2002 presentò personalmente negli uffici del Comune di Modugno un’istanza sottoscritta da lui stesso e dal suo difensore con la quale chiedeva che “venisse aperto un procedimento amministrativo per la presa d’atto o il riconoscimento formale del suo stato di cittadino italiano”. [le ragioni in forza delle quali Sopoti rivendicava il suo stato di cittadino italiano sono state indicate più avanti nel corso dell’esposizione dei fatti storici relativi a questa singolare e intollerabile vicenda: Sopoti era ed è figlio di una cittadina italiana, privata della sua cittadinanza a causa del suo matrimonio con un albanese , successivamente riammessa alla cittadinanza]
- Precedenti analoghe istanze erano stata avanzate da Sopoti, tutte, erano state respinte perché - si argomentava -: Anna Turi, madre di Besnik Sopoti, aveva perso la cittadinanza italiana il momento in cui sposò (in Italia) Mazar Sopoti, cittadino albanese. Automaticamente, il bambino Besnik “nacque albanese e non italiano”. La legge che prevedeva questa mostruosità era la n. 555 del 1912. 
- Nemmeno il fatto che Anna Turi chiese, e riottenne, la cittadinanza italiana il 19 ottobre 1992 poteva costituire - secondo la burocrazia - titolo per vedersi riconosciuto, Besnik, a sua volta cittadino italiano perché - argomentarono - a quel punto (19 ottobre 1992) Besnik era già maggiorenne e non aveva chiesto tempestivamente (e cioè quando era minorenne) il riconoscimento della sua cittadinanza naturale e cioè quella italiana. Non solo: risposero gli organi competenti che, comunque, la legge del 1912 in virtù della quale Besnik Sopoti era diventato (anzi era nato) albanese a seguito del matrimonio di sua madre con l’albanese Mazar Sopoti era stata, sì, travolta dalla Costituzione italiana che ovviamente non poté conciliarsi con principi tanto manifestamente discriminatori ma restò in piedi per Sopoti perché era nato prima dell’entrata in vigore della Costituzione e poi perché la successiva legge 91/1992 consentiva un tale riconoscimento solo per i figli minori del genitore o dei genitori che acquisiscono o riacquisiscono la cittadinanza italiana; e Besnik era ormai più che maggiorenne e per giunta non convivente con il genitore italiano.
Un’altra motivazione del diniego della cittadinanza a Besnik Sopoti fu nel senso che, “quando Besnik nacque, la normativa in vigore (dunque, nel 1935) prevedeva che la trasmissione del nostro status civitatis avvenisse di regola in via paterna” (legge 555/1912, art. 1); non solo: ma il fatto che il 1° gennaio 1948 era entrata in vigore la nostra Costituzione non valeva a rimuovere l’ostacolo al riconoscimento di Sopoti come cittadino italiano perché Sopoti era nato prima della Costituzione italiana. Il principio della irrilevanza della discendenza materna venne naturalmente travolto dalla Corte Costituzionale il 9 febbraio 1983; non se ne potè giovare però - precisarono al Ministero dell’Interno - Besnik Sopoti perché, lui, era nato prima della Costituzione. Sicché - argutamente rilevarono al Ministero dell’Interno il 15 luglio 2008 in una stringata risposta a Sopoti e finanche al Presidente della Repubblica – “non si può far retroagire a data anteriore all’entrata in vigore della Carta Costituzionale, vale a dire prima del 1° gennaio 1948 l’effetto delle decisioni della Corte Costituzionale”.
- Tutto l’armamentario argomentativo che aveva accompagnato la decisione ministeriale di negare a Besnik Sopoti il suo diritto ad essere riconosciuto per quello che era e cioè cittadino italiano andò in frantumi grazie ad una serie di decisioni della Corte di Cassazione. Nel 2009, in particolare, la Cassazione disse chiaro e tondo: “Riacquista la cittadinanza italiana dal 1° gennaio 1948 [data di entrata in vigore della Costituzione italiana] il figlio di madre ormai morta dalla quale deriva il rapporto di filiazione [nel nostro caso: Anna Turi/Besnik Sopoti]”. Non solo, più esplicitamente: pretendere che sia riconosciuta la cittadinanza italiana  al figlio di una donna italiana solo se il figlio sia nato prima della Costituzione significa ignorare “l’effetto perdurante anche dopo l’entrata in vigore della Costituzione di leggi dichiarate “discriminatorie” dalla Corte Costituzionale”. Ma ancora una volta, Cassazione o no, in un modo o nell’altro, la risposta dello Stato italiano alla richiesta di Besnik Sopoti è sempre la stessa: non sei italiano, sei albanese come tuo padre; non insistere. Prenditela con tua madre che si andò a sposare quello là.
Non è finita: il Ministero dell’Interno - evidentemente rendendosi conto del paradosso nel quale si era cacciato - si esibì anche in un “paterno consiglio a Sopoti”: vai dinanzi ai Giudici e fatti riconoscere le tue ragioni; se ti danno ragione, noi non obietteremo nulla. Per parte nostra, la cittadinanza italiana non te la riconosciamo. Noi facciamo politica, che cosa c’entra il diritto, quello costituzionale poi…

Eccolo qui, dunque, il nostro Besnik Sopoti, pittore autodidatta, spinto con la forza a bussare a un Tribunale con mille ragioni in mano per sperare di farsi dire che lui è italiano. Lui che italiano è, tra i più poveri; forse per questo sistematicamente messo alla porta degli uffici che contano.

I CATTIVI MAESTRI E I LORO ALLIEVI

Besnik Sopoti ne ha tentata un’altra; gli anni avanzano ma il desiderio e la speranza di ottenere il riconoscimento della sua identità nazionale, insomma di essere italiano senza offesa per nessun altro popolo, non la perde.
Così, ha detto al Comune di Modugno: io, con il mio avvocato vi ho presentato una domanda per essere riconosciuto per quello che sono, italiano. Da allora non mi avete risposto; mi avete dato rassicurazioni verbali, premure retoriche, pacche sulle spalle. Nient’altro. Era l’estate del 2002, venimmo in Comune io e il mio avvocato; demmo l’istanza personalmente al Sindaco che ci rassicurò sul buon esito della “pratica”. Dopo qualche tempo fummo chiamati in Comune e lì ci dissero dei tanti ostacoli all’accoglimento della mia domanda. Bisognava aspettare una serie di pareri. Aspettammo. Niente. E’ vero che c’è una legge che dice che se non mi rispondete entro due anni dalla domanda la domanda deve essere per forza accolta? I due anni sono abbondantemente passati; vi chiedo di iscrivermi all’anagrafe come cittadino italiano. Risposta: quale domanda? Qui non abbiamo nessuna tua domanda, non c’è nulla al protocollo, guardiamo quello antico e quello moderno informatico. Nulla. Ma come, replica Sopoti: la portammo io e il mio avvocato direttamente al Sindaco; poi ne parlammo con una serie di impiegati e funzionari; uno ci disse che la domanda si era persa e però che era stata ritrovata. Insomma, dice Sopoti: chiedete agli impiegati e ai funzionari e chiedete al Sindaco; nessuno però ricorda niente: la domanda non c’è. L’avvocato di Sopoti prende carta e penna e scrive una sua dichiarazione formale con la quale conferma la presentazione della domanda e indica i nomi e i cognomi degli impiegati e dei funzionari con i quali, a quel tempo, parlò e del Sindaco stesso. Nessuno ricorda.

 

Ogni mattina, tutti vedono a Modugno Besnik Sopoti che attraversa con difficoltà l’orribilmente degradato centro storico, saltellando come può di voragine in voragine, gli stessi abiti da vent’anni, gli stessi pennelli per i suoi quadri da vent’anni. Uno di noi, ma più povero di noi. Con una differenza che non si vede ma che per lui è un calvario psicologico: è albanese (ma mica si offende se qualcuno lo sa albanese) come suo padre ma è italiano come sua madre. Sta per bussare a un Tribunale per dire: mi va bene qualunque nazionalità ma vi dispiace darmi la mia? “Sono Besnik Sopoti, nato a Bari (Italia), residente a Modugno (Italia)”; semplicemente, “sono italiano”.

Ultimo aggiornamento Lunedì 07 Maggio 2012 12:41
 
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