=ELISA SPRINGER E LA PAZZIA DEL SILENZIO= Stampa
Scritto da Redazione   
Martedì 29 Gennaio 2013 19:00

    IL PERDONO DI ELISA. Riflessioni dopo il convegno di Italia Giusta secondo la Costituzione

 

per_di_ciaula_2"Quanti anni Elisa ha vissuto nel silenzio, confortata dalla preghiera? Sicuramente molti, troppi, per quel peso dell'orrore vissuto e tenuto nascosto, che ne avrà dilatato la percezione del tempo e della reale libertà di vita, lei cittadina della Repubblica italiana. Questo accadeva qui da noi, in un paese d'Italia come tanti. Dovremmo pensare che la presenza di un ebreo in una famiglia dovesse risultare imbarazzante, una diversità difficile da accettare? Sarebbe onesto invece raccontare la storia nella sua interezza, questa storia: una donna ebrea, in un paese del Sud Italia, convertita al cattolicesimo, con una storia difficile da raccontare, difficile da ricordare. Una storia di cui lei era testimone e che le parole a stento potevano sostenere."

di Francesca Di Ciaula

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"Io che ho provato l'odio dell'uomo non posso agire nello stesso modo"

 

Elisa Springer sopravvissuta ai campi di sterminio nazisti, per nove anni, gli ultimi della sua vita, è andata per paesi e città per raccontare di quella sua esperienza ai limiti dell'umano a Auschwitz, Berger Belsen, Therezin i campi in cui fu deportata, del momento in cui si trovò faccia a faccia col dottor Mengele, dell'incredibile suo risveglio in un ospedale russo dopo un mese di coma, il giorno dopo l'apertura dei cancelli del campo di sterminio in cui lei languiva.

Non tutti i sopravvissuti ai lager nazisti hanno avuto la forza di rinnovare la propria sofferenza nel racconto di un orrore inenarrabile. Elisa lo ha fatto, ma solo ad un certo punto della sua vita, nove anni prima della sua morte, che avvenne nel settembre 2004. - Perchè? - le ha chiesto Nicola Magrone in un amabile colloquio un giorno di maggio nel 2004 sul palco del teatro Abeliano a Bari. - Mi sono risposata - ha risposto Elisa, mentre continuava il suo racconto - vivevo a Manduria e la famiglia di mio marito non voleva che si venisse a sapere del mio essere ebrea.

Elisa si era convertita al cattolicesimo da tempo. - Sono una ebrea cattolica e una cattolica ebrea - diceva. Per lei le differenze di religione non avevano alcun senso al cospetto di un dio che è il dio di tutti gli uomini. Provare fin nell'intimo l'orrore del campo di sterminio, sentire l'odore della morte ogni giorno fin nelle narici, vedere la “bestia nazista” (quella che il piccolo Momik di “Vedi alla voce amore”, il romanzo di David Grossman cercava in modo ossessivo di stanare) fu per Elisa Springer un tutt'uno col comprendere l'umana miseria nella più infima, degradante delle condizioni umane. Questo orrore di cui lei fu testimone, le fece dire un giorno in quell'inferno creato dagli uomini: - Dio deve perdonarci tutti quanti.

Questo gesto di chinarsi come per ricevere tutto il dolore che si riesce a percepire ed insieme raccogliere dal fango tutto ciò che resta di umano, questo accogliere su di sé il dolore dell'umanità negata nel modo più brutale e inconcepibile, era di certo frutto della grande spiritualità di Elisa, una grandezza appena intuibile. Puoi solo chinarti e in silenzio, nel silenzio più grande di cui tu possa mai essere capace o accogliere dentro di te, raccogliere quelle sue parole. Questa luce di spiritualità, la sua storia di vita, la capacità di testimonianza, questa grande donna dovette celare dentro di sé per molti anni durante la sua vita qui Italia dal dopoguerra in poi.

Elisa Springer viveva in Puglia, in un paese come ce ne sono tanti, uguale a tanti altri in Italia e qui nel Mezzogiorno. La guerra era un ricordo per tanti ancora e il racconto dell'orrore nazista aveva già riempito le pagine dei libri di scuola. Da quel terribile passato e quegli eventi così geograficamente lontani, ci si sentiva come riscattati attraverso il rifiuto dell'antisemitismo così come del nazismo e - almeno nella legalità costituzionale - del fascismo, cui dobbiamo le leggi razziali e i campi di concentramento italiani. Elisa si era risposata, ma quel suo racconto, il racconto della sua vita dovette essere tenuto chiuso in un cassetto, nel cassetto dei suoi ricordi, il dolore serrato. Parlarne non era cosa convenevole. Questo accadeva qui da noi, un paese qualsiasi del Sud d'Italia, un paese qualsiasi dell'Italia. Elisa poté iniziare a raccontare di sé e dare testimonianza di quella belva nazista che aveva visto negli occhi, solo dopo la morte del marito. Suo figlio la incoraggiò a raccontare, comprendendo quanto le parole avrebbero potuto liberare Elisa da quella bestia che ancora il tempo non aveva potuto annientare.

Quanti anni Elisa ha vissuto nel silenzio, confortata dalla preghiera? Sicuramente molti, troppi, per quel peso dell'orrore vissuto e tenuto nascosto, che ne avrà dilatato la percezione del tempo e della reale libertà di vita, lei cittadina della Repubblica italiana. Questo accadeva qui da noi, in un paese d'Italia come tanti. Dovremmo pensare che la presenza di un ebreo in una famiglia dovesse risultare imbarazzante, una diversità difficile da accettare? Sarebbe onesto invece raccontare la storia nella sua interezza, questa storia: una donna ebrea, in un paese del Sud Italia, convertita al cattolicesimo, con una storia difficile da raccontare, difficile da ricordare. Una storia di cui lei era testimone e che le parole a stento potevano sostenere.

 

"vivevo a Manduria e la famiglia di mio marito non voleva che si venisse a sapere del mio essere ebrea"schermo_elisa


Accadde a tanti reduci dai campi di sterminio. Ritornati alle proprie famiglie, si rinchiusero nel silenzio perché non trovarono le parole per raccontare l'orrore che oramai li segnava fin dentro l'anima o perché ciò che essi potevano narrare era al di là di qualsiasi vissuto umano e per questo incomprensibile. A chi, queste donne, questi uomini, questi sopravvissuti all'inferno sulla Terra, potevano raccontare la loro storia? A chi poteva interessare? Forse in quegli anni ebbero lo stesso destino le parole e la testimonianza di Elisa, qui come in un paese qualsiasi d'Italia, solo che tutto ciò accadde in un paese come il nostro, vicino al nostro, vicino a noi per cultura e storia. Accadde in un tempo così vicino al nostro tempo, quello delle commemorazioni ufficiali, quello delle libertà civili democratiche e della condanna netta dei totalitarismi, dell'affermazione del valore della persona e dei suoi inalienabili diritti.

- Voi non eravate consapevoli di quel pericolo così grande? Cosa a noi sarebbe utile oggi se vivessimo una simile condizione di pericolo? - chiedeva ancora Nicola Magrone a Elisa.

A chi può interessare questa storia, il racconto di quella belva umana e dell'odio e il disprezzo di cui l'uomo è ancora capace, oggi come sempre? Lo sappiamo, non basteranno commemorazioni e santificazioni di dettati costituzionali. L'ascolto e l'attenzione al racconto di chi è sopravvissuto a violenze e atti di intolleranza è ciò che oggi abbiamo di prezioso. Perché è un racconto detto a voce, dall'io al tu, un racconto a noi così vicino, un racconto che può salvarci.

- Io che ho provato l'odio dell'uomo - continuò Elisa Springer sul palco quella sera - non posso agire nello stesso modo. Tutto quello che ancora oggi sta accadendo in tutto il mondo, e non solo in Iraq, in Palestina o in Israele, tutto quello che sta succedendo è proprio il risultato dell'odio e dell’incapacità a perdonare.

 

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Nelle foto di Sudcritica, il convegno di Italia Giusta "dialogo sul perdono"; Elisa Springer.

Ultimo aggiornamento Martedì 29 Gennaio 2013 20:51
 
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