=RICORDANDO RENATA FONTE, VITTIMA DELLA MAFIA INVISIBILE= Stampa
Scritto da Redazione   
Martedì 31 Marzo 2015 00:00

renata fonte

La mafia è invisibile, difficile tante volte identificarla. Eppure segnale inequivocabile - dice Nicola Magrone - è il voto di scambio, il comportamento ben riconoscibile di chi ha la pretesa di dare qualcosa in cambio del nostro voto. Quello è un crimine che segna le vite dei giovani, le loro attese, aspettative errate nella mercificazione dei loro diritti. Ciò che serve è l'autonomia di pensiero e giudizio, la consapevole capacità di rendersi insubordinati rispetto all'umiliante pratica del mercato dei voti, che avvilisce i giovani e i cittadini, poichè non si rendono conto che in questo modo annientano i loro diritti e forniscono terreno alla crescita del seme della mafiosità, all'untuoso gesto del me la vedo io

 di  Francesca Di Ciaula

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Lassassinio di Renata Fonte è stato il primo omicidio di mafia in Salento con vittima un politico donna.

Renata Fonte era una donna scomoda per coloro che dell'intreccio tra cariche pubbliche e affari personalissimi avevano fatto una ragione di vita. Da assessore si era opposta ad una modifica al piano regolatore che avrebbe permesso una speculazione edilizia nella zona di un'area protetta, Porto Selvaggio. Gli assassini e il loro mandante sono ormai passati attraverso i tre gradi di giudizio, eppure sembra che lastoria di Renata Fonte non sia stata mai raccontata fino in fondo nei processi, dove un mandante a più alti livelli non è stato mai individuato.

Era il 1984 quando l'assessore alla pubblica istruzione del Comune di Nardò fu freddata con tre colpi all'uscita da un consiglio comunale, il 31 marzo. Il nome di Renata Fonte è nella lista di donne ammazzate per mafia, donne che hanno osato opporsi con indipendenti idee e decisioni di vita a gruppi di potere e affari criminosi. Il delitto in una cittadina del sud Italia all'epoca non ebbe granderenatafonte_libro risonanza. Come accade alle vittime di mafia anche su questa donna passò il triste tentativo di gettarvi del fango con riferimenti a vicende personali di pura invenzione. E nemmeno la relazione tra la speculazione su Porto Selvaggio e l'attività dell'assessore fu ritenuta un movente valido. Tutti, sindaco compreso, si affannarono a negare. La verità iniziò a venire a galla più tardi grazie ad una testimonianza e pian piano si scoprì il movente, lo squallido progetto di cementificazione che avrebbe deturpato un parco naturale.

La memoria di Renata Fonte, la sua morte e un paese come tanti, che come tanti ha difficoltà nel rendere giustizia alla memoria di una vittima della mafia, una donna per giunta. Legare il suo assassinio alla mafiosità locale, ai loschi affari di personaggi politicanti locali, fa parte ancora di un percorso difficile. Renata Fonte, una figura di donna non certamente comune trent'anni fa in un paese del sud Italia, una carica pubblica e un impegno forte, idee chiare, una persona scomoda. Ancor più scomodo dopo la sua morte, fu dare appellativo di mafioso ai mandanti. Oggi e da qualche tempo il nome e la figura di questa donna coraggiosa, incapace di sottostare a consuetudini sociali e poteri, libera nella sua autonomia di pensiero e azione, può meglio essere raccontata, oggi che il fenomeno della mafia viene più spesso intercettato dai media nazionali. Eppure la mafia è sempre meno fenomeno riconoscibile, è fenomeno meno visibile di ieri. Arruola professionisti, manager e colletti bianchi, acquista negozi e esercizi commerciali lussuosi nelle grandi città, realizza compravendite in paesi di altri continenti.

Quella che invece decretò la morte di Renata Fonte fu una mafia più di piccolo calibro, meno raffinata. Ma la domanda, anche banale, è quella di sempre: “Da cosa si riconosce la mafia?”

renata fonte2Non è la mafia degli omicidi che occorre ricercare, ma è alla mafiosità serpeggiante nella quotidianità che occorre essere attenti, quando si scambia un privilegio con un diritto, nel gesto di girarsi dall'altra parte. La mafia è invisibile, difficile tante volte identificarla. Eppure segnale inequivocabile – dice sulla questione Nicola Magrone – è il voto di scambio, il comportamento ben riconoscibile di chi ha la pretesa di dare qualcosa in cambio del nostro voto. Quello è un crimine che segna le vite dei giovani, le loro attese, aspettative errate nella mercificazione dei loro diritti. Sono piccole e fondamentali cose, non basta il ruolo della magistratura, che è sempre uno strumento. Ciò che serve è l'autonomia di pensiero e giudizio, la consapevole capacità di rendersi insubordinati rispetto all'umiliante pratica del mercato dei voti, che avvilisce i giovani e i cittadini, poichè non si rendono conto che in questo modo annientano i loro diritti e forniscono terreno alla crescita del seme della mafiosità, all'untuoso gesto del me la vedo io.

Il voto di scambio, evidente gesto mafioso riconoscibile tra noi. Pensare ai diversi volti della mafia, cercare di identificarli accanto a noi nel presente. Questo ha fatto Renata Fonte; da persona libera si è contrapposta ad una facile consuetudine, quella che alligna nei tanti nostri paesi, quella che riconosciamo ma è solo oggetto di mormorio, del vociferare, del si dice. E in questo brodo culturale della mafiosità continuano indisturbati a riproporsi gesti di impronta mafiosa, l'illegalità riconosciuta e accettata nell'esistente come un dato incontrovertibile, di per sé oggetto di lasciapassare. Questo terreno di cultura mafiosa che tanto ci è comune, che è comune a tanti paesi (sono 241 i Comuni sciolti per mafia dal 1991 al 2014; dieci in Puglia, tra i quali Modugno, nel 1993), è l'illegalità che schernisce regole e norme legislative, la cultura dell'affare personale e dell'abuso di potere di chi occupa cariche pubbliche, quella che si nutre del disprezzo del bene comune e dei cittadini.

Legalità, una parola desueta, forse banalmente ovvia, tanto da sembrare superflua in un progetto di amministrazione di un paese. Renata Fonte invece questo pensava: che il rispetto di quella legalità quotidianamente calpestata, abito del non guardare, lasciar passare illeciti e prevaricazioni, fosse invece l'unico modo di guardare al paese; che il primo atto dovuto nell'amministrare un Comune passasse soprattutto dal riconoscimento dell'abuso, dall'identificarlo e contro di esso fare muro.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 01 Aprile 2015 00:29
 
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