SEMPLIFICARE LA BUROCRAZIA MA NON A VANTAGGIO DELL'ECONOMIA IRREGOLARE Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 09 Aprile 2011 21:04

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di Guglielmo Forges Davanzati *

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Il tema della semplificazione amministrativa, nel dibattito nazionale e nelle attuali intenzioni del Governo, è strettamente associato allo sviluppo economico, secondo un’impostazione teorica stando alla quale - in regime di ‘austerità’ e, dunque, di riduzione della spesa pubblica - la crescita economica dovrebbe essere garantita dall’aumento degli investimenti privati, generato, a sua volta, anche dal minore onore burocratico che grava sull’iniziativa privata. Questa impostazione risente di alcune criticità, che derivano sostanzialmente dal fatto che l’obiettivo dell’aumento dell’efficienza burocratica viene perseguito indipendentemente dall’analisi dei contesti sociali, economici e istituzionali che diversificano, in modo significativo, le diverse aree del Paese.

Occorre innanzitutto rilevare che non vi è dubbio sul fatto che la semplificazione amministrativa avvantaggia, in prima approssimazione, gli utenti del servizio pubblico, se e in quanto essa comporta minori costi di produzione e maggiore rapidità di erogazione del servizio stesso. E tuttavia, occorre rilevare - anche per eventuali future disposizioni che si muovano su questa direzione - alcuni elementi di problematicità, qui di seguito individuati.

 

a) L’obiettivo dell’efficienza burocratica, come delineato dal Governo centrale, non può non tener conto della valutazione della produttività nel pubblico impiego. Sebbene nessuno possa farsi difensore del demerito e dello scarso impegno lavorativo, così che l’esaltazione meritocratica finirebbe per diventare mera retorica, va chiarito che, ad oggi, non si dispone di alcun criterio oggettivo di misurazione della produttività. E’ opportuno rilevare che la produttività del lavoro è il rapporto fra quantità prodotta e numero di lavoratori impiegati per la sua realizzazione e che la produttività oraria è il rapporto fra ciò che si produce in un dato intervallo di tempo e le ore-lavoro che si sono rese necessarie per generare tale produzione. In linea generale, il lavoro concorre, insieme al capitale e alle materie prime, alla realizzazione del prodotto; ed è precisamente a partire da questa constatazione che risulta teoricamente e praticamente impossibile imputare a un singolo fattore produttivo il suo contributo specifico alla produzione. Più in dettaglio, la misurazione dell’efficienza del singolo è ancora più difficile (se non del tutto impossibile) nel terziario. In tal senso, premiare il merito è un dover essere che non trova alcun sostegno scientifico, e, conseguentemente, non può avere una sua traduzione nella pubblica amministrazione. Ciò che gli uffici verosimilmente fanno, in assenza di una quantificazione oggettiva del merito, è - nella migliore delle ipotesi - premiare chi si è dimostrato più affidabile (e, non per questo, più produttivo) e - nella peggiore delle ipotesi - attuare forme di discriminazione, a danno dei lavoratori maggiormente sindacalizzati e/o contrattualmente più deboli. Il che, peraltro, si rende possibile alla luce del depotenziamento del sindacato e, dunque, dal potenziale venir meno della sua legittima azione di contrasto delle pratiche discriminatorie. Né sembra risolvere il problema l’ipotesi formulata dalla Commissione per la Valutazionela Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche, che prevede che la produttività nella Pubblica Amministrazione possa essere misurata dal rapporto target/ore lavoro, dove il target indica il risultato che si intende ottenere (per esempio, 30 pratiche evase/3 ore lavoro), quantomeno nel senso che la quantificazione del target è affidata ad altri uffici della Pubblica Amministrazione e non sono chiariti i termini attraverso i quali esso possa essere quantificato.

 

b) L’obiettivo della rapidità dei tempi di erogazione del servizio potrebbe confliggere con l’obiettivo del pieno rispetto della normativa vigente e, più in generale, dell’insieme di valori che sono alla base della convivenza civile. Se per semplificazione amministrativa si intende anche il controllo ex-post dell’attività d’impresa, tale conflitto di obiettivi può verificarsi se l’impresa, nell’intervallo che intercorre fra l’inizio della sua attività e il controllo amministrativo, ha prodotto danni irreversibili (si pensi, come caso estremo, agli infortuni sul lavoro). In termini generali, la semplificazione amministrativa, se associata alla piena libertà d’impresa, può tradursi nell’indebolimento de facto della disposizione costituzionale di cui all’art. 41 stando alla quale: “L’iniziativa economica privata è libera“ (comma 1) ma “Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” (comma 2). 

 

c) Occorre tener conto che non vi è un nesso automatico fra semplificazione amministrativa e aumento degli investimenti. Perché ciò accada occorre il contestuale verificarsi delle seguenti condizioni. Primo: la semplificazione amministrativa deve riguardare un’area del Paese, non l’Italia nel suo complesso. Diversamente - in considerazione degli altri fattori ambientali che disincentivano gli investimenti nelle aree deboli (scarsa dotazione infrastrutturale, criminalità organizzata, razionamento del credito) - le regioni più deboli del Paese restano in una posizione di svantaggio relativo rispetto alle aree centrali dello sviluppo capitalistico, a maggior ragione se – come ora accade - non vi è una normativa ‘di vantaggio’ per le prime. In altri termini, queste disposizioni non modificano l’assetto dell’attuale competitività territoriale. Secondo: occorre che i profitti accumulati in loco siano reinvestiti in attività produttive (non, ad esempio, nella speculazione finanziaria) e che siano reinvestiti in loco. E tuttavia, è improbabile che ciò accada dal momento che un eventuale aumento degli investimenti nell’area considerata, aumentando l’occupazione e accrescendo conseguentemente il potere contrattuale dei lavoratori, accresce i salari e riduce i margini di profitto; così che, per un effetto spontaneamente generato dal mercato, conviene - laddove possibile, ovvero laddove le imprese possono delocalizzare senza costi significativi - adottare strategie hit and run, che consentono l’acquisizione di profitti di breve periodo in un’area e il loro rivestimento in un’altra.

 

d) Come messo in evidenza da numerosi studi teorici ed empirici, il cattivo funzionamento dell’apparato burocratico - soprattutto in relazione alle transazioni illecite che da questo possono generarsi - deriva in modo cruciale dalle dinamiche del mercato del lavoro. In contesti di alta disoccupazione, di bassa scolarizzazione (spesso associata a una bassa ‘moralità’ degli agenti economici) e di bassi salari, è alta la probabilità che la burocrazia contribuisca a ‘distorcere’ i meccanismi di funzionamento del mercato del lavoro, generando (o promettendo) posti di lavoro, in uno schema di ‘scambio di favori’, indipendentemente dalla produttività dei lavoratori assunti. Se si accoglie questa tesi, potrebbero essere proprio i minori controlli (o la loro posticipazione) a incentivare attività imprenditoriali che si pongano in contrasto con la normativa vigente, soprattutto nelle aree nelle quali è maggiore il tasso di disoccupazione, è minore la scolarizzazione, sono più bassi i salari ed è maggiore la domanda di lavoro nel settore irregolare dell’economia.

* Università del Salento 

Ultimo aggiornamento Sabato 09 Aprile 2011 21:31
 
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