L’ANIMALISTA CERONETTI. L’ergastolo del gallo Stampa
Scritto da Redazione   
Martedì 24 Maggio 2011 13:12
     gallo
 
 
 
 
 
 
“DOVE I GALLI NON CANTANO
LA TENEBRA RESTA ATTACCATA AL GIORNO”

di Franco Taldone

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Il giorno di Pasqua, Sudcritica.it pubblicò un pezzo sulla scelta vegetariana come scelta eretica secondo Guido Ceronetti, un po' per argomentare sulla scelta in sé di non mangiar animali, un po' con la speranza che qualcuno, leggendo le intriganti riflessioni dello scrittore torinese, proprio in quei giorni, non si sarebbe fatto trascinare così irresistibilmente dalla meccanicità crudele del consumo dell'agnello pasquale.
Ma c'è almeno un altro aspetto dell'animalismo ceronettiano che potrebbe indurre alla scelta vegetariana. Abitualmente, l'animale gode di buona reputazione se è visto -  in ottica bioetica - come portatore di vita altrettanto degna di essere vissuta di quella umana. Raro imbattersi in casi di visione dell'animale come portatore di conoscenza, sia pure in senso diverso da quello deduttivo-induttivo-abduttivo proprio dell'antropo. Ceronetti, raschiando filologicamente il leopardiano Cantico del gallo silvestre, indica nel caso del gallo un conduttore di conoscenza metafisica, esoterica: un inaspettato scrigno della perla gnostica, ossia, di sapienza che salva...         
 
Già nei Pensieri del tè aveva scritto. “Il 1789 fu l'anno in cui entrò nell'uso la parola cocotte. Spenti il Lumi, pian piano anche cocotte si è oscurata. All'estinzione della metaforica pollastra è seguita quella della mangiabile. È rimasto pollo...”. E in un libro figurativo dedicatogli dalla pittrice Giosetta Fioroni, sono riportate le sue parole: “L'alba... non conosco che l'alba, mi piace entrare nel sonno e mi piace uscirne, voglio vedere il giorno che nasce, in quella penombra. Amo molto il gallo anche dove non c'è, il gallo che canta. Il gallo canta dappertutto anche se lo abbiamo sterminato chiudendolo nelle batterie. Il canto del gallo ci libera dal male della notte, quindi bisogna ubbidire alla sua esortazione di svegliarsi presto”. Ma è in una divagazione del suo Occhiale malinconico che Ceronetti, commentando - come si diceva - il Gallo silveste di Leopardi,  focalizza la sua attenzione sul gallo come riferimento di luce sapienziale. Certo, Leopardi muove, per comporre il suo Cantico, dalla sua conoscenza del gallo secondo la visione rabbinica e cabbalistica, però “al gallo cosmico delle visioni del giudaismo esoterico, il gallo silvestre leopardiano somiglia nelle misure ( << sta in sulla terra coi piedi, e tocca colla cresta e col becco il cielo >> ), ma quanto a filosofia è tutt'altra scuola”. Secondo quell'antico pensiero, scrive Ceronetti, il gallo rappresenta la “celebrazione della fine dell'alternarsi di luce e tenebra, tutto trasformandosi apocatastaticamente in piacere ineffabile di essere – i Viventi e i Giusti al sicuro, al di là di Yin e di Yang, sostanziosa acosmìa”. Leopardi, invece, il  gallo, “lo indolorifica e ne fa, proprio in quanto angelo del risveglio, un messaggero di dolore”. Anche Baudelaire, nota Ceronetti, capovolge l'idea orientale del gallo e lo associa  “al singhiozzo e allo sbocco di sangue. Ma in un paesaggio urbano nordico impastato di brume e di fumo, anche un gallo cosmico diventa tubercolotico e canta col fazzoletto al becco, senza gioia per chi sente”. E come nel giudaismo esoterico fa notare il nostro scrittore animalista –  anche “nei racconti islamici del Miràgg, l'Ascensione notturna del Profeta, il gallo (dik) gode di una posizione invidiabile: le piume del collo verdi, bianchissimi la testa e il corpo, la coda tutta di perle, le zampe ripiegate nella profondità terrestre, la sua testa è posta direttamente sotto il Trono di Dio. Quando (dice il Libro della Scala) viene l'ora della preghiera, il dik si alza, allarga le ali e recita il tesbìh (la Lode di Dio nelle formule coraniche); e tutti i galli che sono sulla terra, udendone la voce, chiamano a loro volta e recitano il tesbìh. Descartes lo vedrebbe come un gigantesco meccanismo ad orologeria, che scatta puntuale all'ora voluta, ma qualunque gallo o uccello col piumaggio un po' insolito i filosofi te lo spennano subito, e non resta che un pollo nudo, spenzolante”.
 
Infine, secondo lo gnostico Ceronetti, “avvertire il legame misterioso tra la grande ora cosmica del risveglio e il gallicinium antelucano terrestre, sentire il significato di Lode a Dio nel rauco annuncio che si alza da un pollaio, rompe la solitudine umana. Almeno, dove ancora siano dei galli lasciati cantare: i grandi ergastoli per polli d'allevamento sono muti, mute le stravolte città dove ci hanno incatenati, muti i tristi depositi urbani dove ci siamo impollaiati in campagnia di oscure Furie silenziose. Dove i galli non cantano, la tenebra resta attaccata al giorno”.
    
Ultimo aggiornamento Sabato 28 Maggio 2011 08:38
 
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