=BESNIK SOPOTI. E TU, CHI SEI?= Stampa
Scritto da Redazione   
Lunedì 08 Agosto 2011 09:15

 

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Gli orrori e la follia del secolo scorso lo riguardano molto, molto da vicino. Un fantasma carico di colori approdato da straniero a casa sua, nel paese mancato di Modugno e in una Nazione, la sua, che lo guarda con occhio razzista.

 

a cura di Nicola Sacco

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foto Buttiglione/Sudcritica  

  

Di Besnik Sopoti, Italia Giusta secondo la Costituzione e la rivista Sudcritica.it si sono occupati e si vanno occupando ormai da anni [v., tra l’altro, Un paese che divora se stesso].

Ce ne andiamo occupando in un oceano di indifferenza istituzionale, dal Comune di Modugno ai Ministeri “di Roma”. Tutti sanno tutto, nessuno muove un dito. Me ne sto occupando io personalmente, con l’aiuto prezioso e gratuito dell’amico avvocato Ascanio Amenduni; a farla breve, abbiamo una causa in corso davanti al Tribunale di Roma per ottenere che venga riconosciuto a Sopoti quello che è suo e che gli è stato tolto con la prepotenza propria dei regimi: la cittadinanza italiana.

Vedremo fino a quale disonore si spingerà lo Stato italiano negando all’”albanese italiano” il suo diritto che la Costituzione italiana gli riconosce come inviolabile. Le ultime decisioni della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale gli danno ragione per il semplice motivo che egli ha ragione. Non gli dà ragione il Comune di Modugno, soggetto istituzionale che di illegalità e di supponenza plebea si nutre, e non gli dà ragione il Ministero dell’Interno, soggetto impegnato ad escludere stranieri e che, se tra gli stranieri ci scappa un italiano, chiude gli occhi o guarda altrove.

Va bene; vedremo come finirà questa miseria istituzionale grazie alla quale si tiene in vita il senso, la “cultura” e la lettera stessa della “Legislazione razziale” che riesce a sopravvivere, forte dell’ottusità del potere pubblico, alla stessa Costituzione. Vedremo.


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Mi sono chiesto, però, se nel frattempo non sarebbe il caso di capire meglio e più compiutamente chi è questo “italiano fantasma”, dove vive, che cosa fa, cosa pensa, quale bagaglio di cultura, di torti subiti egli si porta appresso.  E infine, ma non per minore importanza, per sapere qual è la pittura di Sopoti e che cosa scrive e che cosa conserva nella sua “botte”. Ho pregato Nicola Sacco di capire tutto questo per noi e per i lettori di questa rivista. Sacco va svolgendo il “suo compito” con ammirevole, leggera e acuta curiosità culturale ed umana, e perché no politica. Le foto sono di Giovanni Buttiglione che non fa il fotografo per professione ma il  fotografo per amore faticosamente praticato di libertà, sua e degli altri.

Insomma, un concorso di volontariato - che sta tutto dentro alla storia di Italia Giusta secondo la Costituzione e di Sudcritica - disperatamente e orgogliosamente gratuito in un mare di retorica solidaristica che ci sta inebetendo di menzogne e che ha sfumato Sopoti, strappandolo alla sua terra e alla sua comunità vera, tra i veli e i lineamenti nebbiosi di un fantasma che pure vedi tutti giorni, e tutti i giorni gli parli e lo ascolti; tranne lì, al Comune e ai Ministeri dove tutti i cittadini sono messi alla porta, fantasmi orribili. Ma tu, Besnik Sopoti, chi sei?  [n.m.]bambin_per_titoli

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LA CONVERSAZIONE DI NICOLA SACCO CON BESNIK SOPOTI NELLA "BOTTE" DI MODUGNO - PRIMA PARTE -

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La botte di Diogene

Vai a trovare Besnik a casa sua e subito non puoi fare a meno di associarlo a Diogene e alla botte che questi si scelse come abitazione. “E questa è la mia botte” ti dice il poeta-pittore di origini albanesi che vive però in Italia ormai da più di vent’anni e che in Italia nacque nel 1935 da madre italiana, senza che tutto questo sia bastato a fargli riconoscere la cittadinanza italiana. Besnik ti accoglie che quasi non sai dove ricavarti un punto d’appoggio per come il suo stambugio è stipato di tele, libri, incartamenti, faldoni, bozze e singoli fogli volanti sui quali ha magari appena ‘schizzato’ i suoi ultimi soggetti, letterari e pittorici. Le pareti, interamente ricoperte da una stratificazione di suoi dipinti, traboccano di colore, questo Dio al quale sembra aver consacrato la sua vita. “L’arte”, è il suo convincimento, “in qualunque sua espressione, in qualunque sua forma, è colore. Come la musica, nella sua specificità, è suono, così le altre manifestazioni artistiche possono, anzi devono, addirittura rivendicano di “limitarsi” ad essere colore.” Questa la visione, la poetica di Besnik Sopoti. Questa la conclusione a cui perverrà svolgendo un pensiero di una coerenza, di un’organicità, di un nitore, quasi senz’appello. 

Nel buio del Novecento

Man mano che passavano le ore, nelle mie conversazioni con Besnik, mi sono convinto che non si poteva parlare con lui di letteratura, di musica, delle arti figurative senza attraversare il buio del Novecento. Un secolo le cui tragedie stanno marchiate a fuoco sulla pelle di questo anziano signore e non solo: impresse con dolore nella sua biografia, nella sua memoria, nel suo sangue e nel sangue del suo sangue. Insomma, gli orrori e la follia letteralmente allucinante del secolo scorso sono cose che lo riguardano molto, molto da vicino. Che gli appartengono.

Oggi lui spinge avanti la sua vecchiaia in questo paese mancato che sta alle porte di Bari e forse non ci può essere destino più beffardo né approdo più canzonatorio per una esistenza tormentosamente vissuta proprio nel segno della ricerca di una patria.

L’Albania e l’Italia. L’incubo e il paese delle meraviglie, per un uomo che ha visto e vissuto persecuzioni inenarrabili. Inferno e paradiso che però, a conti fatti, si sono spesso scambiati i ruoli.sopoti_PRESO_18

“Gli albanesi hanno sempre coltivato il desiderio dell’Italia nella convinzione che sia ancora oggi il paese dell’arte e della cultura”, dice Besnik. E questa considerazione può essere compresa a pieno solo se si assume come punto di partenza che “la storia dell’Albania non è stata ancora scritta. Dalla scissione dell’impero romano l’Albania, relegata nel regno di Bisanzio, sempre ha nutrito una grande nostalgia dell’Occidente. Scanderbeg è il nostro eroe nazionale perché resistendo, nel 1400, agli assalti degli ottomani, difendeva non solo l’Albania ma anche l’Europa. E poi c’è buona parte del Novecento in cui anziché rendere il giusto merito agli albanesi è successo che prima le grandi potenze occidentali si sono disputate la loro terra,  poi la dittatura comunista, per tutta la seconda metà del secolo, ha continuato a dilaniare il paese dando luogo a un vero e proprio olocausto in nome dell’eterno panslavismo russo e delle sue mire ad avere sbocchi sul Mediterraneo. La nascita del partito comunista albanese (fu fondato nel 1941 da Mugosha e Popovic, entrambi jugoslavi) nei fatti fu un disegno di Tito, concepito tra l’altro allo scopo di sottrarre il controllo del Kosovo all’Albania.

Nel 1943, il comandante della prima brigata d’assalto partigiana, Shehu, calpestò platealmente la bandiera albanese alzando quindi quella jugoslava e giurò di uccidere tutti i nazionalisti albanesi. Shehu divenne poco più tardi un ministro del regime hoxhista e nel 1981 si suicidò. L’episodio della bandiera diede avvio alla guerra fratricida degli albanesi.”

Mazar Sopoti e il fronte nazionale

In questo momento gli avvenimenti della Grande Storia incrociano proprio le vicende familiari di Besnik Sopoti.

“Mio padre Mazar”, ricorda Besnik, “uomo di vastissima cultura, fu protagonista in quel fronte nazionale, organizzazione anticomunista e antifascista, costituitosi (sull’esempio della lega di Prizren del 1879) per ottenere l’indipendenza e l’unione del Paese delle Aquile, dunque per la salvaguardia della storia, delle tradizioni e della lingua albanesi. Salvaguardia che necessariamente passava attraverso una battaglia politico-culturale a difesa di quei confini che altri si ostinavano a ridisegnare per spartirsi regioni come il Kosovo e la ÇamerÏa (guarda il caso, le regioni più dotate di risorse) largamente popolate da albanesi e sentite, a tutti gli effetti, come appartenenti alla Grande Albania. Mazar Sopoti, una delle voci giornalisticamente più significative del tempo, non smise mai di scrivere da patriota su svariati quotidiani e riviste. Fu per questo un illustre perseguitato, dapprima strumentalmente accusato d’essere un reazionario e dopo apertamente avversato come NEMICO DEL POPOLO, persino oggetto di attentati. E almeno a due di questi è scampato mentre, io bambino, vi assistevo con i miei occhi. Si trattava di un’anticipazione del trattamento che la vicina dittatura comunista avrebbe poi riservato, per un tempo lunghissimo, a un enorme numero di intellettuali. Ma non solo di intellettuali. Cosa poteva fare allora uno spirito indipendente in un clima di sicure persecuzioni? Andarsene dall’Albania. Mio padre, avvertito della minaccia sempre più incalzante, lo fece.”sopoti__1

Il papà di Besnik venne assassinato il 1 dicembre 1944 a Bari, poco dopo avervi messo piede. Gli chiedo che cosa successe a loro, a Besnik, a sua madre a suo fratello, rimasti in Albania.“Ci portarono via tutto” dice bruscamente e subito dopo mi mostra il documento che attesta la spoliazione d’ogni bene della famiglia Sopoti. “Questa era la dittatura di dichiarato stampo marxista-leninista di Enver Hoxha: sequestro di patrimoni, eliminazione fisica dei dissidenti, imprigionamento degli intellettuali, persecuzione dei propri figli (tratto molto stalinista), sterminio. Sterminio di cui ancora oggi poco si dice, lo ripeto.”

Nazifascismo e comunismo 

Occorre mettere attenzione al carattere marxista-leninista del regime albanese perché questo punto chiarisce, secondo Besnik Sopoti, molti equivoci sui totalitarismi novecenteschi. Perché se è vero che quando si parla di stalinismo non si fa fatica a identificarlo con un crimine mostruoso (lo sterminio di decine e decine di milioni di persone), quando si pensa ad un sistema marxista-leninista si tende invece a riconoscere in esso il più autentico progetto comunista, quello che, lasciato libero di perseguire il superamento della società divisa in classi, realizza infine un mondo più giusto.

Chiedo a Besnik se non siano queste delle differenze di cui si deve pur tener conto al fine di non cadere nella faciloneria di mettere comunismo e nazifascismo sullo stesso piano. Gli chiedo se almeno nelle premesse ideologiche, con riferimento cioè ai testi sacri delle grandi ideologie novecentesche, non emerga chiaramente la diversità tra un sistema e l’altro.

“Nessuna differenza.” Besnik non ha esitazioni e non teme la faciloneria.

“Come? Nessuna differenza tra Il Manifesto di Marx ed Engels e il Mein Kampf  hitleriano? Non c’è in quest’ultimo, e diversamente dal primo, già in fase d’elaborazione teorica, l’aggressione, la violenza, l’annientamento?”

“E perché la lotta di classe invece cos’è? Non è aggressione, violenza contro l’uomo, annientamento?” Besnik mi ha guardato negli occhi più a lungo e più intensamente, come se mi stesse chiedendo di pensarci più attentamente. Ne è seguito qualche istante di silenzio poi ha ripreso il suo pensiero: “La storia la fanno gli uomini, e questi sistemi di pensiero, totalitari appunto, trovano sempre l’uomo giusto al momento giusto.” Che è come dire, nell’ottica delle vittime, l’uomo sbagliato nel momento sbagliato.

In definitiva, tornando alle vicende albanesi, l’esperienza marxista-leninista di Hoxha altro non è stato che dittatura e come tutte le dittature ha vissuto di polizia segreta (il Sigurimi), spiate, arresti, esili, esecuzioni. E di paranoia che moltiplicava tutto questo.sopoti_25

“Parli di violenza contro l’uomo? Allora ti dirò che nel 1967, nella rivoluzione culturale applicata in Albania, Hoxha demolì duemiladuecento tra chiese e moschee, proclamando il paese ufficialmente ateo. L’Albania diventa il primo e l’unico paese al mondo ufficialmente ateo. Nei primi cinque anni della dittatura sono stati uccisi, torturati e imprigionati sette arcivescovi, quattro monsignori, cinquantasei abati, tredici padri gesuiti, dieci seminaristi. A padre Mark Harapi chiesero: «Sai tu che Gesù fu il primo comunista?», lui rispose: «Sì, è vero, ma Gesù non aveva armi». Lo colpirono coi calci dei fucili e lo pestarono. Invece al padre francescano Giorgio Fishta, morto nel 1940, primo poeta albanese candidato al Nobel, quando nel ’44 vennero al potere i comunisti, profanarono la tomba e ne dispersero le ossa calunniandolo come agente del Vaticano. Quello che non fecero gli occupanti stranieri fecero gli albanesi dall’animo straniero al servizio del panslavismo.

“E se non ti basta, ti parlerò di Leka e Bloshmi. Due ragazzi che scrivevano poesie negli anni ‘70, poesie di ventenni, tu puoi immaginare, non certamente politicamente impegnate. Bene, scovate le loro poesie, questi due ragazzi furono imprigionati. E impiccati.

“In rapporto alla popolazione, l’Albania è al primo posto tra i paesi dell’est europeo per numero di vittime e di persecuzioni.

“Io stesso scrivevo poesie e racconti, e per paura ho dovuto tenere accuratamente nascosto ciò che scrivevo. Nelle relazioni con gli altri mi sono sempre mostrato altro da ciò che sentivo di essere. Sempre per paura ho dovuto bruciare una parte di quanto ho scritto e quando sono venuto in Italia ho portato gli altri miei scritti con me, ma ben nascosti sotto la blusa.

“Da ragazzo leggevo Nietzsche e Dostoevskij con grande difficoltà nel reperire i loro libri e senza possibilità di averli o passarli in prestito per non incorrere nell’accusa di essere persona che fa attività contro lo stato.”

sopoti_34“L’arte non è terapeutica” 

Visto che ci siamo incontrati per parlare di arte diventa inevitabile spostare un poco il tema della conversazione e gli domando se nel disastro albanese, nelle sue personali avversità, l’arte ha rappresentato per lui una specie di riparo. 

“Mi stai chiedendo se l’arte è terapeutica? Ti dico di no! L’arte è il mio scopo di vita e basta. E in generale essa non è stata arricchita dalle persecuzioni, cioè non ha tratto alimento da esse, anzi, niente affatto accresciuta, ne è uscita rovinata. L’Espressionismo fu osteggiato dal III Reich. Le scienze e la cultura, complessivamente intese, sono state egualmente annientate da nazifascismo e comunismo. In Spagna, quando il grande filosofo Unamuno tenne una conferenza su Il ruolo della cultura della civiltà moderna, Franco disse: «Abbasso la cultura!», e ammanettò e imprigionò Unamuno.

Quello che voglio dire è che se l’umanità avesse seguito il principio non di conquistare il potere ma di dare il sapere, ebbene oggi si starebbe molto, molto meglio. E, venendo al tempo presente, quando sento dire che la cultura costa, io dico che è vero, la cultura costa, ma a noi costa molto di più l’ignoranza.”

[CONTINUA]

 

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Ultimo aggiornamento Lunedì 10 Ottobre 2011 17:32
 
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