=27 AGOSTO 1950, A 61 ANNI DA CESARE PAVESE= |
Scritto da Redazione |
Venerdì 26 Agosto 2011 10:06 |
“Ogni guerra è una guerra civile” L’attrazione fatale della sincerità
di Tony Tundo E allora noi vili (Da Verrà la morte e avrà i tuoi occhi)
Il coraggio fu la malattia di Pavese, non la viltà. 2) lui partecipò alla Resistenza creando, e traducendo - in tempi di autarchia - i rivoluzionari scrittori del nuovo mondo, l’”America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo, e insieme giovane, innocente”; questo lo sanno tutti, ma che fu, la sua, una crociata pacifica contro la guerra quando tutti gli altri scovavano sempre da qualche parte le ragioni della guerra, questo non si dice. Invece una rilettura di un intellettuale tormentato dal dolore di una crepa inguaribile fra impegno e obiezione di coscienza in momenti come i nostri di nuova barbarie sembra attuale e utile, perché non è vero che tra di essi – impegno e obiezione di coscienza – c’è opposizione, al contrario essi dovrebbero coesistere per recuperare l’umanità. Lui ha testimoniato l’uomo nei suoi limiti e l’uomo non è certo nato per uccidere ma per l’amore, la bellezza, l’amicizia. Un personaggio tragico, non c’è dubbio, per questo chi si accosta a Pavese lo fa con diffidenza - abbiamo bisogno di eroi non certo di un antifascista che si rifiuta di imbracciare un fucile (e lui lo sa: “oggi non si può essere buoni italiani se non si ammazza un fascista”) - poi se ne allontana prudentemente perché riconosce nei personaggi dei romanzi di Pavese i segni della propria fragilità, delle proprie contraddizioni, per non subire l’attrazione fatale della sincerità che è il male che accompagnò lo scrittore, l’ossessione, il “vizio assurdo”, la tentazione della morte. Lui fu rivoluzionario nella cultura e isolato nella guerra partigiana. Lo sapevano bene i suoi amici di Torino: Massimo Mila, Franco Antonicelli, Leone Ginzburg, Vittorio Foa, Piero Gobetti, Antonio Gramsci, Norberto Bobbio e Augusto Monti, maestro di tutti. Lo vedevano taciturno nelle riunioni del gruppo degli antifascisti, i “cospiratori” primo embrione dei C.L.N., era taciturno perché il clima italiano e mondiale già da tanto, dall’eccidio del ’22 degli operai di Torino, erano nella sua coscienza come in quella collettiva ed erano nei suoi versi “C’è operai silenziosi, e qualcuno è già morto” (Una generazione da Lavorare stanca) e diventano motivi di riflessione sofferta dopo il ’36 quando Pavese sarà confinato a Brancaleone Calabro a causa delle lettere che riceveva e inviava ad Altiero Spinelli, in carcere. Silenzioso, ma non assente, se dopo le riunioni, rincasando, si attardava con Mario Sturani sempre sui temi storici e politici – uno sguardo alla sua luna - discutendo del pensiero storico di Thomas Mann, per lui il vangelo. Nel ’39 il clima già cupo si fece più violento, la propaganda militare martellante ed esaltata e l’ aggressione all’ Abissinia richiedevano da Pavese un nuovo pensiero, egli si andava convincendo della necessità dell’azione, della denuncia, della lotta di classe, non basta più non essere fascisti, ma rimarrà la penna l’arma della sua rivoluzione. I suoi personaggi sanno di miseria, di soprusi, di fatica e di oppressione (come i personaggi di Furore di Steinbeck, come nella poesia della libertà di Walt Whitman). Tutta la vita è politica. Il problema della vita è dunque questo: come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Nel ’40 un’altra donna riaccenderà in Pavese l’illusione dell’amore, motivo diventato ossessivo dopo il fallimento della lunga e tormentata relazione con la donna dalla voce rauca (sulla privatezza della sfera sentimentale di Pavese si è sbizzarrita la cronaca rosa insieme a semplicistiche diagnosi psicanalitiche), la donna è Fernanda Pivano, bella, brillante, ammiratissima, una promessa nell’ambiente letterario, è la storia di una profonda affinità elettiva, lavorano insieme ma lei non ricambia l'amore dello scrittore che tuttavia sente la profondità della loro intesa intellettuale, lo dice all’amico Davide Lajolo con questo pensiero di Fernanda Pivano: “Quando le piante sono perfettamente immobili fanno paura”. La metafora di un pensare dialettico e problematico, e sempre la presenza minacciosa della paura. Un sentimento condiviso totalmente.
2) Amò i colori del ruscello di Santo Stefano Belbo, i profumi della vigna delle sue Langhe, la terra rossa delle sue colline: |
Ultimo aggiornamento Venerdì 02 Settembre 2011 23:41 |