=ANCHE L'ECOLOGIA SI FA TEDESCA= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 14 Gennaio 2012 14:11

 boscoLa politica di sostegno al reddito

non distingue tra terre coltivate e terre a riposo.

Così aumentano le terre “sostenute” ma abbandonate

 

di Giovanna Crispo

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E’ del 15 dicembre scorso un articolo del Corriere della Sera che annuncia la scoperta a Monteluco, frazione di Spoleto, di millenarie ceppaie di quercia in uno di quei famosi boschi sacri agli antichi romani che, nelle vicinanze, ne consacrarono il culto e la difesa con la Lex Spoletina, una delle prime norme a tutela dei boschi.

Lucus era il nome che essi davano ai boschi sacri significando “radura nel bosco dove arriva la luce del sole”, distinguendoli dai Silva e dai Nemus, cosicché i toponimi con tale radice latina nella denominazione, richiamano sempre alla presenza di lussureggianti foreste.

E’ il caso della nostra vicina Lucera, ove fu scoperta una Lex Lucerina che non solo trattava di tutela del bosco ma addirittura stabiliva il diritto della collettività a richiedere al trasgressore il risarcimento del danno nel caso in cui la foresta fosse stata violata.

Queste leggi attestano la grandissima cura che gli antichi avevano per i boschi, considerati fonte di sufficiente ricchezza collettiva, almeno fino al momento in cui non hanno dovuto fare i conti con quei fattori demografici che, sin dalle prime civiltà basate sull’agricoltura e sugli allevamenti, hanno indotto a modificare la natura.

Infatti, ogni individuo o società ha sempre sfruttato le risorse disponibili, in ordine di convenienza economica, cercando di ottenere la massima utilità con la minima spesa, senza curarsi troppo di eventuali conseguenze nel lungo periodo.

A dimostrazione di ciò, è noto che in epoca più tarda furono proprio i Romani a violare pesantemente il patrimonio forestale italiano spinti dall’aumento della popolazione che intensificò agricoltura, caccia, pastorizia, senza trascurare il pesante prelievo di legname ai fini bellici, per la realizzazione di flotte.

La stessa Puglia, che nella sua fisionomia attuale appare così uniforme, va immaginata nel passato molto più bella e varia con macchie che lambivano i litorali ed estesi boschi che ammantavano le colline, i cui relitti è possibile scoprire sulla Murgia, tra seminativi e pascoli, o lungo le lame e le gravine.

In effetti, dalla fine del’Impero Romano, se si esclude una pausa in epoca medioevale dovuta a pestilenze e conseguente decimazione della popolazione, il climax pugliese dovette subire ulteriori alterazioni a causa della transumanza di milioni di capi di pecore  provenienti dall’Abruzzo che si intensificò nel 1447, quando fu istituita da Alfonso d’Aragona la “Dogana della mena delle pecore” di Foggia.

Basti pensare che gli introiti, rappresentati dalle tasse di concessione pagate dai locati abruzzesi, rappresentavano “maggior cassa” per il Regno e che tale concessione si esercitava sui pascoli demaniali, presenti nel territorio della maggior parte dei comuni, e, in caso di siccità, comportava il diritto di prelazione per lo sfruttamento di altri incolti vicini, sicché l’intero territorio murgiano fu interessato dal depauperamento della vegetazione spontanea.

Nel Rinascimento le foreste italiane furono dimezzate rispetto ai primordi, vittime dell’aumentato fabbisogno di alimenti che rese i nostri progenitori ansiosi di ridurre a pascolo o a terreno agrario qualsiasi bosco o palude. Resistettero solo le tenute di caccia e i latifondi. 

Ma per gli ambienti naturali pugliesi il peggio doveva ancora arrivare, perché, secoli dopo, l’aumento del prezzo dei cereali portò il governo borbonico a pressare sulla conversione dei pascoli in terreni seminativi e con l’unificazione della Nazione il Tavoliere si avviò a diventare il granaio d’Italia.

Le stesse leggi eversive della feudalità (1806) e dell’asse ecclesiastico (1866) che avrebbero potuto assegnare più terra ai contadini fecero persistere la struttura sociale di tipo feudale, con il latifondo trasformato in campi più produttivi, ma sempre in mano a pochi privilegiati, non potendo i ceti più poveri accedere alle vendite all’asta.

In ogni caso, quelli che erano state terre demaniali e possedimenti ecclesiastici furono interdetti all’uso collettivo, soppressi gli usi civici, vale a dire diritti secolari collettivi d’uso di pascolamento, di raccolta di legna o erba, e, trattandosi ormai di proprietà privata, furono dissodati i territori boschivi per praticare un’agricoltura sempre più intensiva.

Nel complesso, riteniamo giusto affermare che queste trasformazioni furono determinate da cause contingenti che portarono a scelte in gran parte inevitabili.

Tuttavia, in Puglia, come in tutto il territorio nazionale, la compromissione dell’ambiente naturale, iniziata dalle pratiche agricole e di pascolo, si enfatizzò dopo la seconda guerra mondiale con il boom dell’edilizia e soprattutto con l’abusivismo tollerato da uno Stato che, attraverso i condoni, rinuncia all’applicazione del famoso articolo 9 della Carta Costituzionale, con il quale si prefigge di proteggere anche il suo patrimonio naturale.

Anche se non possiamo ignorare che oggi la penisola ospita 60 milioni di abitanti su 300.000 kmq, una densità tra le maggiori al mondo, che costituisce il primo problema per il mantenimento dell’integrità della natura (Portici, con oltre 60.000 abitanti su 4 kmq, è terza al mondo dopo Hong-Kong e Singapore) ci chiediamo se, attualmente, i costi ambientali siano ancora inferiori ai benefici che la collettività ottiene dall’espansione urbana.

La logica vorrebbe che a tale domanda si rispondesse prima dell’approvazione degli strumenti urbanistici ma, persino nelle aree più sensibili (zone S.I.C. e Z.P.S. della rete “Natura 2000), la legge nulla dispone in merito ai piani regolatori già vigenti. Comunque, nelle aree succitate, nessuna semplificazione è prevista per l’approvazione dei progetti di opere edili se i Comuni dispongono di norme tecniche adeguate. Accade così che, in Puglia, limitatamente a tali zone, uno sparuto gruppo di funzionari provinciali debba pronunciarsi, con una valutazione di incidenza ambientale, su singoli interventi edilizi che, per l’estensione per lo più molto limitata, non possono che essere insignificanti, conseguendo l’unico risultato di alimentare l’intolleranza per la burocrazia, per l’Ente che la rappresenta e per la stessa tutela ambientale. 

Peraltro, in questi ultimi anni è facile sentir parlare di “dissesto” e “rischio idrogeologico” e spesso tali fenomeni non si associano alle cause storiche che, in seguito, sono state aggravate da un generale abbandono delle terre coltivate, come dimostrano gli ultimi drammatici fatti avvenuti nei territori delle Cinque Terre o della Costiera Amalfitana, dove i secolari terrazzamenti dei giardini mediterranei di derivazione araba, dati i costi di manutenzione connessi alle opere di sistemazione, irrigazione e difesa del suolo, non accompagnati da congrui prezzi dei prodotti agricoli, sono stati abbandonati e assoggettati a frane e smottamenti.

Paradossalmente, si può affermare che laddove l’uomo ha modificato il paesaggio è opportuno che rimanga per accudirlo, in una sorta di equilibrio che può essere mantenuto solo da una costante e virtuosa pratica agronomica.

Questo equilibrio, tuttavia, è sempre più difficile da mantenersi; infatti, sono ormai trascorsi decenni da quando i prezzi dei prodotti agricoli nazionali venivano protetti dai dazi doganali e dal calmiere, grazie ai quali l’agricoltore doveva confrontarsi solo con le avversità atmosferiche per poter affermare di aver avuto una ”buona annata”.

Certo è che errori secolari, determinati da scelte economiche e politiche molto spesso obbligate, non possono essere risolti affidando la soluzione agli ecologisti tedeschi, ormai unici ispiratori della politica agricola comunitaria, che, ad oggi, sono riusciti solo ad aggravare il problema delle “rendite da posizione”, con l’equiparazione delle terre coltivate con quelle a riposo (si legga abbandonate), ai fini della corresponsione del sostegno al reddito degli agricoltori.

Ultimo aggiornamento Sabato 14 Gennaio 2012 14:16
 
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