=LO SVILUPPO EGOISTA. MODUGNO DA' LE SPALLE ALLA MURGIA= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 11 Febbraio 2012 17:05

 

crispo_1INDAGINE SUL COMPLOTTO URBANISTICO E MERCANTILE CONTRO IL CARRUBO, IL CORBEZZOLO, IL COTOGNO, IL MELOGRANO, IL NESPOLO, IL FICO, IL GELSO. HANNO VINTO I CAPANNONI IN UN TERRITORIO CHE NON RICONOSCE PIU’SE STESSO

 

di  Giovanna Crispo  con la collaborazione di Giovanni Buttiglione

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foto Covella/Sudcritica


 

IL PAESAGGIO VEGETALE ORIGINARIO

Nel 1954 l’Accademia Pugliese delle Scienze pubblica la “Fitostoria descrittiva della provincia di Bari” ad opera del botanico Antonio Amico il quale, attraverso una ricerca minuziosa di concessioni di terreni e passaggi di proprietà presso Archivi pubblici e privati, relazioni di viaggi, studi economici e biografie storiche locali, ha ricostruito il nostro paesaggio vegetale originario.

Il lettore resta stupito per l’assenza, nei succitati documenti, di significativa presenza di vegetazione spontanea a Modugno e questo ancor prima dell’800, epoca in cui si verificò la maggiore riduzione della copertura verde dell’Alta e Bassa Murgia per necessità di mezzi di sussistenza e avidità di guadagno, ma è facile immaginare che l’antropizzazione del nostro territorio sia stata così precoce per effetto dell’affermazione commerciale del porto di Bari.

Tuttavia, nell’elenco dei fitonomi di Modugno, estratti da Amico dalle Tavole Censuarie, si leggono denominazioni del tipomacchia Ginestra o macchia la ghianda”, da cui si evince un’antica presenza di boschi nel territorio.

Devo ammettere di essere stata troppo pigra nel passato, avendo rinunciato all’idea di percorrere per diletto le campagne modugnesi, preferendo la visione di altre realtà regionali ed extra regionali, ma ultimamente ho avuto il piacere di essere guidata dai cari amici di Italia Giusta: Giovanni Buttiglione, grande conoscitore del territorio, e Alberto Covella le cui abilità di fotografo sono evidenziate dalle immagini qui pubblicate.

 

LA QUERCIA SPINOSA E LE SUE ACCOMPAGNATRICIpiante_3_-_2

Passeggiando con loro, ho osservato macchie e garighe di quercia spinosa (Quercus coccifera L.) che si rinnova insieme alle sue specie accompagnatrici quali il lentisco (Pistacia lentiscus L.), la fillirea (Phillyrea angustifolia L.), l’alaterno (Rhamnus alaternus L.), il rovo (Rubus fruticosus L.), il biancospino (Crataegus monogyna Jacq.) e l’olivastro (Olea europaea L. var. sylvestris. Brot.) e vi assicuro che detti relitti vegetazionali localizzati nelle campagne di Bitonto e Modugno sono stati oggetto di studio da parte degli addetti ai lavori.

Nella cintura industriale barese queste associazioni vegetali si concentrano nelle porzioni non coltivate di lame, ovvero solchi erosivi che si dispongono lungo le linee che dalla Murgia nord-occidentale scendono verso sud-est, nell’Adriatico, portando acqua solo in occasione di fortissimi rovesci di pioggia, le cosiddette “mene”, che se da un lato possono avere effetti devastanti, dall’altro, trasportando materiali disgregati delle Murge, rendono i suoli particolarmente fertili e per questo ricchi di insediamenti umani che vanno dal neolitico per finire alle masserie dei primi del novecento.

L’agro di Modugno è anche punteggiato da case coloniche circondate, invece, da talune essenze autoctone o importate da secoli in Italia ed ormai naturalizzate, al punto da caratterizzarne il paesaggio, matrici di quei “frutti minori”, ma ricchi di sostanze nutritive, che un tempo potevano sfamare i contadini, non essendo necessario condividerli con il padrone perché meno appetibili o serbevoli.

Non esiste contrada priva di piante di carrubo, corbezzolo, cotogno, melograno, nespolo del Giappone, fico d’India, fico e gelso e la nostra vista è così abituata alla loro presenza da farci dimenticare la loro valenza ecologica. Anche il mercato non li apprezza, essendo capaci di alimentare micro-filiere locali assai ridotte, tant’è che, secondo un’indagine portata avanti dalla Coldiretti nel 2009, questi frutti, ormai dimenticati, potrebbero essere a rischio di estinzione.

Lungi dall’ipotizzare che il territorio di Modugno possa rappresentare un polo di attrazione turistica, data la parcellizzazione dei paesaggi appena descritti che sono presenti solo a macchia di leopardo, intervallati da capannoni industriali, campi abbandonati e discariche abusive, occorre pensare oggi ad uno sviluppo urbanistico ed economico che almeno siano a “misura d’uomo”.

 

L'AREA INDUSTRIALE R LO SVILUPPO INSOSTENIBILEpiante_4_-_2

Lo snaturamento del nostro territorio, infatti, non è dei giorni nostri, essendo frutto di una precisa volontà politica di mezzo secolo fa, quando fu deciso di dedicarlo in gran parte allo sviluppo dell’Area Industriale di Bari, senza definirne chiaramente limiti e condizioni.

E’ giusto sottolineare che erano proprio le aree metropolitane meritevoli di maggiore attenzione, essendo le più esposte alle esternalità negative dell’industrializzazione.

Come non pensare al ghetto rappresentato dal quartiere “Cecilia” o alla vaga destinazione d’uso delle aree a verde attrezzato che l’A.S.I. lascia in balìa dell’iniziativa privata e che sembrano ideate seguendo la logica del green washing, cioè tingendo di verde una pianificazione che con lo sviluppo sostenibile niente ha a che fare?

Ogni modugnese è consapevole di pagare a caro prezzo il benessere raggiunto in termini di inquinamento ambientale, di perdita d’identità urbanistica e di paesaggio nonché di cattiva distribuzione dei servizi, essendo ognuno condannato al ruolo di “barese di periferia”.

Quanto accaduto, comunque, non è casuale perché scaturisce dalla scelta, che fu già postunitaria, di favorire lo sviluppo industriale per “poli” ben delimitati, allo scopo di contenere i costi per le infrastrutture che, altrimenti, avrebbero dovuto essere diffuse su tutto il territorio nazionale.

L’evoluzione dei territori limitrofi ad un grande centro industriale è nota a tutti, basti pensare a Cinisello Balsamo, San Donato, Sesto San Giovanni, ecc. ormai indistinguibili da Milano, dopo esserne stati i quartieri “dormitorio”; tuttavia, mi chiedo se per la nostra città non esista epilogo diverso.

 

piante5_-_2LA PAROLA IGNORATA: SVILUPPO SOSTENIBILE

L’alternativa sarebbe da cercare nello “sviluppo sostenibile”, termine assai in uso nei giorni nostri, inteso come “nuovo stile di vita e di lavoro attraverso un miglior uso delle risorse e riduzione degli impatti, dedicato alla conservazione delle risorse ambientali per preservarle dalla scomparsa e per garantirne l’utilizzo e il beneficio alle future generazioni”.

In altre parole, diventa impegno di tutti i popoli del pianeta a consumare meno energia fossile, meno acqua, conservare la biodiversità, garantire il lavoro e il rispetto dei valori della persona e delle professioni. La fattibilità è però molto più complessa di quanto si possa immaginare: esso comporta investimenti in tecnologie innovative, con costi ammortizzabili in tempi assai lunghi, ma soprattutto presuppone il superamento di ogni forma di egoismo nazionale, regionale e locale fino a toccare l’edonismo individuale.

Un simile approfondimento impone tuttavia una minima riflessione sulle contraddizioni in atto su scala mondiale che rendono ancora più ambiziosi i programmi di sviluppo così intesi.

Ad esempio, se non abbandoniamo la logica della competitività come potremmo spiegare ai norvegesi ed ai giapponesi che la caccia alle balene, per ricavarne oli e grassi, non è indispensabile, vista l’abbondanza di materie prime vegetali? Peraltro, il resto del mondo sarebbe capace di assicurare forniture di tali sostanze a prezzi ragionevoli, cioè senza speculazioni?

Altro dilemma, ancora, è rappresentato da quei Paesi tropicali che praticano la deforestazione sia per alimentare il commercio mondiale di legname che per ricavare territori dove praticare agricoltura più intensiva. Quale deve essere il nostro atteggiamento verso chi non dispone di altre risorse?

Ulteriore paradosso è il ripetersi in Africa di qualcosa di analogo alla mitica conquista del West con la cacciata da parte delle multinazionali di intere tribù di indigeni dai loro territori per dissodarli, irrigarli e quindi coltivare piante da cui ottenere i cosiddetti “biocombustibili”, tanto cari ad alcuni ecologisti.

 

Infine, rammento il singolare triangolo creatosi a seguito del “protocollo di Kyoto” quando, innanzi alla necessità di ridurre le emissioni di gas con effetto serra, Cina, Stati Uniti ed Europa si sono trovati su posizioni difficilmente conciliabili. “Procedere anche da soli” ha rappresentato la posizione europea, con la logica conseguenza che ogni intervento del vecchio continente diventa decisamente antieconomico (non competitivo) ed è possibile solo se incentivato da una qualche forma di sussidio che compensi gli investimenti o le perdite di gestione.giovanna_e_giovanni

 

Tornando alle problematiche locali, occorre evidenziare che per implementare un programma di sostenibilità occorre stabilire numerosi obiettivi comuni tra i portatori di interesse che sostengono i costi e/o fruiscono dei benefici (in inglese vengono denominati stakeholder), rappresentati da imprese e soprattutto cittadini che, ovviamente, vorrebbero solo i benefici senza pagare alcunché.

Il livello di  coerenza istituzionale dimostrate finora, a vari livelli, durante la costruzione del termovalorizzatore, non lasciano sicuramente presagire un futuro migliore per il nostro territorio.

 

Ultimo aggiornamento Mercoledì 15 Febbraio 2012 21:58
 
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