=INCONTRO DI TESTIMONIANZA A MODUGNO, LA CITTA' FERITA. 'Don Tonino ci riportò alle origini'= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 15 Dicembre 2012 13:40

All'interno:

"Noi dovremmo essere dei ribelli" presentazione di Nicola Magrone della conversazione pubblicata nel 1994  da Sudcritica

"Il Vangelo delle periferie" intervento di Pasquale De Santis

 

UN’INIZIATIVA DI SUDCRITICA

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Domenica 23 dicembre 2012, alle ore 19 nella Chiesa del Purgatorio di Modugno

 

LEO LESTINGI e ALBERTO RUBINI

leggono una conversazione con DON TONINO BELLO del  2 marzo 1992, pubblicata dalla rivista Sudcritica nel febbraio 1994

L’INDIVIDUO E IL POTERE

Intermezzi musicali di

GAETANO LUISI, oboe, NICOLA PORFIDO, chitarra

 

Introduce   NICOLA MAGRONE

 

La cittadinanza è invitata. Ingresso libero

Pubblichiamo qui

 

- la presentazione-testimonianza di Nicola Magrone apparsa sul numero di febbraio 1994 di Sudcritica. La conversazione può essere letta su questa rivista on line 

CONVERSAZIONI SU IGNAZIO SILONE - 4 - DON TONINO BELLO Noi dovremmo essere dei ribelli Intervista esclusiva

di don Tonino Bello a Sudcritica

- l'intervento di Pasquale De Santis aspettando l'incontro di domenica 23 dicembre


DonTonino_Magrone1La presentazione di Nicola Magrone

 

“La mia solitaria e mai celebrata ammirazione per don Tonino uomo; e vescovo”

 

 

La decisione è presa. Pubblichiamo, dopo tanto tempo dal nostro incontro, la conversazione con Tonino Bello. Ognuno di noi, in questa decisione, ci ha messo del suo. Nessuno di noi ha avuto la possibilità di portare prima a compimento questa iniziativa.

Io ci ho messo questo, nella parte di decisione che "mi spetta".

Don Tonino, come tutti i grandi uomini, ha lasciato moltissimi "eredi": chi non dice, specialmente in pubblico, che il suo maestro fu lui?

Io, nel mio piccolo, l'ho conosciuto e frequentato per motivi di seria verità. L'ho incontrato in situazioni difficili, sociali ed istituzionali. Oggi,  per parte mia, ho appena finito di vivere una vicenda istituzionale che mi sgomenta per il suo significato di "possibilità per tutti", di grossolana dicibilità dell'indicibile. Come giudice, potrei anche sentirmi definitivamente vinto. Mi permetto, perciò, di testimoniare che don Tonino seppe bene questi miei percorsi e questi ragionevoli esiti; seppe bene l'inganno dell'istituzione onnivora, l'inanità per molti versi dell'individuo che si pretenda libero. Tante volte ho parlato con lui di Silone. Bisogna testimoniare, si è sempre convenuto tra noi. E lo faccio, decidendo anch'io questa pubblicazione.

Può darsi che nei molti "eredi" di don Tonino si risvegli l'orgoglio della libertà e della dignità del pensiero e dell'azione, e che essi si sentano e si facciano, nell'inverecondo gioco delle parti e delle apparenze, meno "eredi", magari per pudore.

Io stesso mi faccio da parte, ed affido al testo che pubblichiamo il mio affetto e la mia solitaria e mai celebrata ammirazione per don Tonino uomo; se volete, per quanto a me è possibile (ma a quelli come me che non vagano per sagrestie e per segreterie, forse è "più possibile"), per don Tonino vescovo.

 

febbraio 1994

Nicola Magrone

 

 

L'intervento di Pasquale De Santis aspettando l'incontro di domenica 23 dicembre 

 

Il Vangelo delle periferie

 

In questi giorni che precedono il Natale Italia Giusta secondo la Costituzione ha organizzato un evento culturale nell’intento di ricordare il pensiero di Don Tonino Bello rileggendo i passi salienti racchiusi nel testo “Il seme sotto la neve”, di quello straordinario incontro che ormai venti anni orsono avvenne tra Sudcritica e Don Tonino, già vescovo di Molfetta.

Bene, rileggendo ancora una volta quel testo non ho potuto fare a meno di riflettere sullo spessore morale e sull’insegnamento dottrinale e politico che scaturiscono dal pensiero di quell’uomo, ancor prima che di quel prete, coscientemente consapevole del suo compito di carattere sociale nonché religioso, mirato alla tutela dei più deboli, all’equilibrio tra le parti e le tensioni sociali, ad un saggio pragmatismo non dogmatico, sicuramente non incline all’obbedienza cieca verso la “struttura” che talvolta può diventare “gabbia”.

Dopo aver letto quei ragionamenti di Don Tonino ho ricordato inoltre un incontro di riflessione sulla presenza della politica nel Vangelo, al quale ho partecipato esattamente un anno fa ed ho pensato che determinare la presenza della politica nel vangelo può sembrare un atto blasfemo, irriverente, strumentale, sanzionabile, ma nonostante ciò e senza molte ricerche mnemoniche, di primo acchito, mi è venuto da rispondere: “Sì, c’è”. Ed ho anche ripensato a quella indiscussa “poesia” (perché tale è e più la rileggo più me ne convinco), “Dio è morto”, scritta e musicata da Francesco Guccini, negli anni sessanta. Anch’essa mi ha indotto a riflettere sull’attualità del vangelo e sulla immutata situazione sociale che da millenni si perpetua nella debolezza dei meno abbienti, nell’arroganza dei potenti, nel falso moralismo dei benpensanti snob, nell’lipocrisia dei bravi predicatori, nello sfruttamento delle donne e dei bambini in difficoltà, nella mistificazione dei valori e nel disprezzo della vita.

E allora, dalla lettura di quel dialogo ho percepito una chiara consapevolezza ed il rifiuto di tutto ciò nel pensiero di Ton Tonino, un vescovo controcorrente ma non sensazionalista, attivo protagonista ma non presenzialista, realmente e saggiamente schierato dalla parte dei più deboli senza il mieloso pietismo o la  rassegnata compassione di certe cantilene di sacrestia. Pertanto, dopo aver letto quel dialogo illuminante ho pensato che la presenza della politica nel vangelo sia diretta conseguenza dello stravolgimento sociale che la venuta di Cristo ha provocato allora e nei secoli successivi. E questo è storicamente inconfutabile, indipendentemente dal credo professato o dall’ateismo più convinto.  Infatti la Sua capacità di attirare l’ago della bussola sociale verso un nord diverso, costituito dai più bisognosi, dai derelitti, dai più semplici, dalle prostitute, dai meno ricchi e dai meno potenti ha sconvolto la vita del suo tempo, quando già prevalevano il ricco, il potente, l’ipocrita, l’arrogante. Il suo predicare è stato radicalmente scomodo e non solo sotto l’aspetto religioso, perché ha affermato la possibilità di riscatto spirituale e sociale ai senza speranza, a quelli che oggi chiameremmo “persone ai margini della società”. Un esempio che mi è balzato in mente è quello del ladrone poi definito “buono”: un uomo parimenti condannato alla croce per le sue colpe vere al quale, come ultimo atto di una vita sbandata, viene offerta una possibilità di salvezza, anche sociale per come lo consideriamo noi oggi, un uomo del quale si sono accettati il pentimento e la redenzione.  

Continuando nella lettura del dialogo ho anche apprezzato molto un’attenzione particolare a non fare della politica una religione. Eppure a Todi, esattamente un anno fa, si discuteva della “buona politica per il bene comune” (evento riportato anche sulle pagine di Sudcritica). Al termine dei lavori del Congresso fu chiesto un nuovo governo, un governo più forte.  Poco dopo assistemmo all’ascesa del governo Monti. Si intuirono forti sollecitazioni. Infatti in quella sede il card. Bagnasco asserì che l’impegno politico per i cattolici è un atto di coerenza con la propria fede e che quanto più le difficoltà culturali e sociali sono gravi, tanto più i cattolici si sentono chiamati in causa per portare il loro contributo specifico senza complessi di sorta e senza diluizioni ingiustificabili, senza temere la laicità dello Stato.  Ed è così partita la rincorsa dei vecchi DC alla speranza di rinascita di quello che Casini definì allora “la fine della diaspora DC”. Ma la domanda che ne deriva è: fine che punto la Chiesa può sospingere uno Stato ed interferire nelle sue determinazioni se non in termini morali ed etici? 

Da quanto ho letto di quel dialogo anche i rapporti di Don Tonino Bello, già vescovo, con i potenti, la “struttura”, le autorità non sono mai stati riverenti ed ossequiosi ma sempre improntati su una consapevole e legittima pretesa di giustizia, equità e comprensione, senza mai effettuare una “invasione di campo” e nel pieno rispetto delle parti come dire: ”Ad ognuno il suo ruolo ed il suo compito, ma nell’assunzione completa e consapevole delle proprie responsabilità”. Perfetto!

Per questo capisco che la politica dal Vangelo ci viene indicata come una forma di stile comportamentale, etico per l’appunto, praticabile senza ipocrisia anche da un non credente. E per quanto se ne possa dubitare o temere, tutto ciò non dovrebbe stupirci. Essa ci viene segnalata come una forma obbligatoria di impegno sociale nel solco del cammino tracciato da Cristo, scandaloso agli occhi dei potenti perché disinteressato e non orientato verso di loro ma verso la realtà e la verità delle “periferie” sociali, proprio come attuato da Don Tonino Bello.

Quindi, anche per i non credenti, il Vangelo indica la vera democrazia, quella che addirittura seicento anni prima della venuta di Gesù i Greci già applicavano, come ci tramanda lo storico greco Tucidide che affermava: “Il nostro sistema politico non si propone di imitare le leggi altrui. Noi non copiamo nessuno, piuttosto siamo noi a costruire un modello per gli altri. Si chiama democrazia, poiché mira al bene di molti, non di pochi. Di fronte alla legge tutti godono di uguale trattamento”. Quanta gradevole assonanza con la nostra Costituzione!

Oggi, è noto, è in corso il processo per la beatificazione di Don Tonino Bello, essendogli stati attribuiti alcuni miracoli. Probabilmente tutto ciò approderà, in un tempo che non conosciamo in durata, alla sua santificazione, ma credo che per la qualità dell’impegno, la costanza, il coraggio, la coerenza morale e religiosa, lui santo lo sia già stato quando era ancora tra noi.

Penso che ai fuggiaschi dall’impegno e dall’esempio morale il Dio, del Vangelo, di Don Tonino e di Guccini Egli non appartiene, perché per questi Egli non è mai morto e nemmeno risorto.

Beati i giusti …” .

Pasquale De Santis

Ultimo aggiornamento Giovedì 20 Dicembre 2012 10:54
 
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