=IL GOVERNO DEI TECNICI E IL SAPERE SCIENTIFICO, DISCUSSIONE TRA VITTORIO PESCE DELFINO E MINO MAGRONE= Stampa
Scritto da Redazione   
Venerdì 01 Febbraio 2013 22:51

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Al Governo dei tecnici presieduto dal “premier” Mario Monti manca totalmente un sapere che deve necessariamente essere posseduto per giustificare qualunque proposta tecnica: il sapere scientifico.

 

di Vittorio Pesce Delfino *

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 Ma il sapere scientifico (e politico) stenta a ricomporre i suo pezzi.

Nella “civiltà del rimedio” (anche al dominio dell’apparato tecnologico che Monti, appunto, incarna), l’imperativo è alla “responsabilità” e alla “precauzione”.

 

di Mino Magrone *

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INTERVENTI

. Michele Silvestri   . Peter Zeller

 

 

VITTORIO PESCE DELFINO

 

Al Governo dei tecnici presieduto dal “premier” Mario Monti manca totalmente un sapere che deve necessariamente essere posseduto per giustificare qualunque proposta tecnica:

il sapere scientifico.

S’intende qui dimostrare che al Governo dei tecnici presieduto dal premier Mario Monti manca totalmente un sapere che deve necessariamente essere posseduto per giustificare qualunque proposta tecnica: il sapere scientifico.

- Il governo dei tecnici ha fatto ricorso continuamente a una procedura certamente legittima dal punto di vista regolamentare ma assolutamente non richiamabile da un soggetto che si definisca “tecnico”: la fiducia parlamentare. Mentre un governo politico, che sia stato quindi eletto sulla base della proposta di un progetto, può senz’altro, a fronte di difficoltà parlamentari contingenti, far ricorso alla richiesta di fiducia (appunto nei confronti di tale progetto), ciò appare per nulla giustificabile per un governo tecnico che dovrebbe essere in grado di convincere su quello che fa oppure prendere atto di tale incapacità e quindi dimettersi. Proviamo a considerare la cosa con l’aiuto di Dario che è il nostro tecnico, un idraulico che abbiamo chiamato per sistemare lo scarico del bagno di casa che perde; Dario esamina il problema e poi si rende conto di non essere in grado di risolverlo (in seguito vedremo perché). Tuttavia chiede il pagamento di una fattura non già per il tempo perso per il sopralluogo e la consulenza, cosa che sarebbe giustissima, ma perché ritiene che gli si debba essere accordata fiducia sul fatto che comunque prima o poi lo risolverà; nessun padrone di casa sensato pagherebbe tale fattura.

- Il Premier del Governo tecnico usa estesamente analogie e metafore che certo non appartengono a  un linguaggio tecnico. Già ai suoi tempi Aristotele aveva avvisato circa la “comodità e velocità” dell’analogia (basata su ragionevoli similitudini) ma nel contempo richiamando la sua fallacia;  il Presidente del Consiglio Monti utilizza  un linguaggio tecnicamente molto scorretto indulgendo alle analogie tal quale le “discese in campo” di Berlusconi e non fa molta differenza se Berlusconi dica di “scendere” da qualche parte e Monti dica di “salire” da qualche altra parte. Anzi, Monti così facendo legittima il linguaggio berlusconiano perché accetta il confronto tra la “salita”,  che lui ritiene nobile e vincente e la “discesa” che quindi gli pare invece volgare e perdente. In definitiva i due dialogano e si intendono perfettamente; da sempre la comunanza di linguaggio indica comunanza di idee e di prassi.

- Il governo dei tecnici non considera, anzi ignora, le fondamenta scientifiche necessarie per proporre una qualsiasi soluzione tecnica.

 


 

Nell’“agenda Monti”  è del tutto assente un qualsiasi riferimento al concetto di sistema.

Da un’attenta lettura di “Un’agenda per un impegno comune” alla ricerca di un qualsiasi riferimento al concetto di sistema si riesce a trovare solo:

- Cambiamenti strutturali nella spesa, come la riduzione e il taglio di enti e organismi pubblici, richiedono tempo e un approccio sistematico e continuativo

 (pag. 5): il riferimento è chiaramente e banalmente al fatto che un approccio sistematico (che in realtà è riduzionista) “richieda tempo”.

- Altrettanto banalmente e riferito alla esigenza di procedere in maniera ordinata quanto a pag 6:  “Riqualificare la spesa pubblica significa domandarsi

sistematicamente” (in realtà in un approccio riduzionista)

- Sempre riferito alla banale esigenza di procedere in maniera ordinata (ancora una volta  riduzionista) quanto riferito a  “In materia di ricerca, occorre proseguire e affinare il progetto avviato dall’ANVUR per il censimento e la valutazione sistematica dei prodotti di ricerca. Bisogna inoltre rilevare per ogni facoltà in modo sistematico la coerenza degli esiti occupazionali a sei mesi e tre anni dal conseguimento della laurea, rendendo pubblici i risultati”. (pag.10)

 Quasi divertente infine quanto a pag. 21: “Mentalità vincente. Il buon metodo fa i buoni risultati”. 

Si parla molto dei risultati dei governi. Giustamente. Si parla molto meno però del metodo che serve per ottenere risultati.

La lettura di questo proposito suscita un moto di apprezzamento e speranza ma, alla faccia del metodo, mai un riferimento all’approccio sistemico e all’impianto  ipotetico-deduttivo (tipico del metodo scientifico galileano) ma, come si è visto, continuamente a quello banale (definito sistematico)  del riduzionismo e dell’induttivismo ingenuo.

Galilei, appunto: "La scientia è figlia della sperientia... Occorre fare l'elogio dell'arsenale perché lì si applica la tecnica ed è uno dei luoghi più alti del vero filosofare." . Il “vero filosofare”  di Galilei è appunto la conoscenza scientifica resa possibile dal metodo ipotetico-deduttivo e la tecnica ne è, attraverso l’esperienza, la conseguenza.

Il governo dei tecnici proprio dimostra ancora attualmente di non seguire l’impostazione sistemica e tutto ciò che invece numerosi autori sin dagli anni settanta hanno previsto (in impostazioni sistemico-modellistiche), quali situazioni critiche che si sarebbero determinate e che oggi sono attuali a livello mondiale: crisi finanziarie e ambientali, appunto di grande rilevanza politica. 

Se l’impostazione ipotetico-deduttiva deriva direttamente dal discorso sul metodo galileano, i ricercatori che hanno, in epoca ben più recente, approfondito il modo “sistemico” di pensare e di fare ricerca, hanno accumulato una grande quantità di conoscenza su quel fenomeno, la “complessità” che caratterizza grandi tematiche quali salute, ambiente, vita sociale (tutte quindi di rilevanza e competenza politica), ma ben sappiamo come mentre l’impostazione riduzionista cerchi di semplificare i problemi e consideri in maniera appunto semplicistica le relazioni, l’impostazione sistemica evidenzi le relazioni e la particolare importanza della loro integrazione in modelli esplicativi. Il governo dei tecnici proprio dimostra ancora attualmente di non seguire l’impostazione sistemica e tutto ciò che invece numerosi autori sin dagli anni settanta hanno previsto (in impostazioni sistemico-modellistiche), quali situazioni critiche che si sarebbero determinate e che oggi sono attuali a livello mondiale: crisi finanziarie e ambientali, appunto di grande rilevanza politica.

Si badi che qui non si sostiene che le relazioni siano ignorate ma, cosa ben più grave, che non vengano organizzate in modelli.

Nel bagno di casa Dario, il nostro tecnico idraulico, ha lo stesso problema: possiede in maniere empirica le informazioni su flussi (per esempio velocità dell’acqua), livelli (portata dell’ acqua) e equilibri (pressioni dell’acqua) e conosce anche i meccanismi di regolazione di tali grandezze (per esempio la retroazione che rende possibile il corretto funzionamento dello sciacquone del bagno) ma non conosce (dichiara di essere semplicemente un tecnico) i principi teorici e le formalizzazioni matematiche della fluidodinamica. E’ pertanto solo probabile che il suo tentativo tecnico di riparare la perdita per la rottura di una banale guarnizione possa evitare il disastro dell’inondazione dell’intero appartamento. Però si fa  furbo e tenta, chiedendo la fiducia, per farsi pagare comunque la fattura. Ma è invece certo che provocherà un disastro se tentasse non la piccola riparazione di una perdita ma addirittura la progettazione dell’impianto idraulico di un grattacielo tal quale quel che corre tra le piccole manutenzioni di conti pubblici e il piano per l’economia di un intero paese.

Quello che invece è assolutamente necessario è individuare e realizzare l’ impostazione sistemica delle conoscenze. La lunga storia della teoria dei sistemi.

Tornando a noi, quello che invece è assolutamente necessario è  individuare e realizzare l’ impostazione sistemica delle conoscenze. Le difficoltà a fare questo ha una lunga storia.

La teoria dei sistemi nacque come risposta alle nuove conoscenze che la biologia cominciò a sviluppare nei primi anni del XX secolo e che fecero nascere la scuola di pensiero organicistica che si opponeva a quella meccanicistica, caratteristica del XIX secolo.

Uno dei primi esponenti di questo nuovo modo di pensare fu Ross Harrison che studiò il concetto di organizzazione identificando nella configurazione e nella relazione le due proprietà più importanti delle componenti  di  un sistema.

Nei primi anni ’20 il filosofo C. D. Broad individuò la caratteristica delle “proprietà emergenti”; questo tipo di concezione contraddice il paradigma cartesiano secondo cui il comportamento del tutto può essere compreso completamente studiando le proprietà delle sue parti; in altri termini un sistema non può essere compreso effettuando il suo smontaggio.

La teoria dei sistemi non poteva dunque conciliarsi con l’approccio analitico-riduzionistico che aveva caratterizzato la ricerca scientifica fino a quel momento; infatti risultò subito chiara l’esistenza di diversi livelli di complessità e a ognuno di essi si rivelano proprietà che non esistono a livello inferiore.

E’ quindi necessario rinunciare alla assunzione di “linearità” nei “sistemi dinamici” per indagarne più a fondo il comportamento che manifestano nei fatti.

In realtà non può esistere una teoria nel senso compiuto del termine ma diversi approcci teorici che usano il concetto di sistema in diversi contesti disciplinari come fisica, biologia, economia, ecologia, geologia e politica; come ha ricordato recentemente (2012) U.M. Olivieri. Il marxismo, però, ha il pregio di essere una delle poche teorie che ha una visione globale e sistemica della società moderna.  

L’aspetto generale è inoltre considerato nelle cosiddette “teorie dell’emergenza”. Il risultato è quello che al giorno d’oggi viene indicato come “teoria della complessità”, concetto che nasce alla fine dell’800  con Henri Poincarè che si sviluppa nella prima metà del ‘900 ad opera di matematici e fisici come Hadamard, Lyapunov, Schrodinger, Kolmogorov, Andronov.

Poincaré, nel celebre "La Valeur de la Science" (1905), nel capitolo "La mesure du temps”, affermava:  "Nella realtà fisica, una causa non produce un effetto, ma una moltitudine di cause distinte contribuiscono a produrlo senza che si abbia mezzo alcuno per discernere il ruolo di ciascuna di esse.

Impulsi decisivi al pensiero sistemico e quindi complesso furono impressi da Alexander Bogdanov (1873-1928), e da Warren Weaver (soprattutto con il saggio “Science and Complexity” del 1948).

Tra il ’50 e il ’60 del ‘900 sotto l’impulso di P.W. Anderson, la ricerca scientifica (a cominciare dalla fisica) si affrancava definitivamente dal riduzionismo; Ilya Prigogine indagava per la prima volta risolutamente i sistemi lontani dall’equilibrio e nasceva la sistematica transdisciplinare ad opera di Bertalanffy, Kolmogorov e altri mentre Edgar Morin maturava la sua imponente  razionalizzazione del pensiero complesso che porterà alla proposta di una vera e propria epistemologia della complessità a partire dagli anni ’70.

Da Morin (che muove da una critica al riduzionismo e dal disvelamento dell’importanza del comportamento emergente) in poi, un pensiero complesso (nel nostro caso una proposta politica) non può essere sviluppato prescindendo dal senso scientifico della complessità.

Nei primi due decenni del XX secolo sembrava che fosse stato raggiunto un accettabile compromesso tra scuole di pensiero indubbiamente contrastanti che sembrava rendere possibile l’espressione di diverse posizioni scientifiche in un clima di parità di condizioni e di opportunità. Inizialmente, all’interno della comunità scientifica, si era registrato un conflitto tra mature e consolidate impostazioni fissiste di ricerca basate sulle classificazioni e sulla sistematica, che offrivano tranquillità ai ricercatori garantendo la correttezza metodologica di un ordinato percorso basato su un assolutamente controllabile sperimentalismo derivato da quello della fisica contemporanea assieme a un rigorosamente quantificabile riduzionismo che rappresentava l’eredità della chimica.

La ricerca scientifica cominciava ad apparire con un impianto genuinamente sistemico ma nel contempo  capace di utilizzare impostazioni tipicamente riduzioniste, empiriche e “analogiche”.

Il compromesso fu possibile, grazie allo spirito laico e tollerante che permeava la cultura europea all’inizio del ‘900, anche se in qualche maniera sbilanciato, già dall’inizio, in favore delle impostazioni  riduzioniste in virtù della capacità di queste ultime di produrre risultati utilizzabili da un punto di vista pratico ed economico.

[Chi fosse interessato alla ricostruzione storica di questi avvenimenti può far riferimento a un  mio articolo rintracciabile al link http://www.marx21.it/storia-teoria-e-scienza/filosofia-e-scienza/8081-opzioni-politiche-e-scientifiche-nella-biologia-evoluzionistica.html il cui argomento specifico è la biologia evoluzionistica e la medicina].

Il secondo conflitto mondiale distrusse tale compromesso culturale e, dopo la fine della guerra, nella aree del mondo sotto l’influenza degli Stati Uniti la logica della produzione segnò le scelte che furono esclusivamente orientate alle impostazioni  riduzioniste della ricerca scientifica lasciando libero, anzi invitando esplicitamente, il capitale privato a effettuare enormi investimenti per realizzazioni a impianto riduzionista  “utili” ma del tutto incuranti del rischio di disastri sistemici (ecologici, sanitari, economici) che avrebbero ben potuto essere previsti come rapidi, ineluttabili e gravissimi dall’impostazione sistemica della conoscenza.

Le due grandi correnti di pensiero di oggi: riduzionistico-sperimentale e sistemica. La “teoria del caos”.

Al giorno d’oggi esistono nell’ambito della ricerca scientifica due grandi correnti di pensiero, che possiamo continuare a chiamare l’una riduzionistico-sperimentale e l’altra sistemica che mostrano talvolta reciproca indifferenza, tal’altra ostilità palese, e che oltre a manifestare tutta una serie di diversità nei metodi, negli ambiti di ricerca e nel linguaggio, si differenziano sostanzialmente per il rifiuto utilitaristico nel primo caso, e, nel secondo, per la tendenza a formulare modelli interpretativi per una teoria generale esplicativa.

Esemplare a questo proposito è la “teoria del caos” che  è lo studio attraverso modelli della fisica matematica dei sistemi fisici che esibiscono variazioni ad andamento esponenziale rispetto alle condizioni iniziali. I sistemi di questo tipo sono governati da leggi deterministiche, eppure sono in grado di esibire una empirica casualità nell'evoluzione delle variabili dinamiche. Questo comportamento casuale è solo apparente, dato che sembra  manifestarsi solo  nel momento in cui si confronta l'andamento temporale asintotico delle variazioni di due sistemi con configurazioni iniziali assunte arbitrariamente simili tra loro.

Questo è quello che appunto manca nelle prassi e nelle proposte del Governo Tecnico di Mario Monti, non diversamente da quello che accade al buon artigiano Dario.

La corretta enunciazione formalizzata della teoria generale dei sistemi è molto complessa e può effettivamente creare disagio a chi non sia abituato a usarla. Basti pensare al concetto di “attrattore” di cui fra un poco valuteremo l’importanza nelle scelte politiche.

Edward Lorenz fu il primo ad analizzare l'effetto farfalla in uno scritto del 1963 preparato per la New York Academy of Sciences. Secondo tale documento, "Un meteorologo fece notare che se le teorie erano corrette, un battito delle ali di un gabbiano sarebbe stato sufficiente ad alterare il corso del clima per sempre." In discorsi e scritti successivi, Lorenz usò la più poetica farfalla, forse ispirato dal diagramma generato dagli attrattori che somigliano proprio a tale insetto, o forse influenzato dai precedenti letterari . “Può il batter d'ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?" fu il titolo di una conferenza tenuta da Lorenz nel 1972.

A pensarci bene, però, non è nemmeno necessario pretendere che il “Premier Tecnico” conosca queste cose; magari nelle pause-caffè di impiegato (2005 – 2011) quale international advisor membro del Research Advisory Council del Goldman Sachs Global Market Institute, avrebbe potuto rileggere, magari distrattamente, quello che tutti abbiamo prima o poi avuto occasione di leggere: “Quel pasticciaccio brutto di Via Merulana”  dove Carlo Emilio Gadda racconta, con tutto il suo virtuosismo linguistico e sintattico,  un caso giudiziario per rappresentare la complessità della realtà mettendo in luce il “garbuglio” del mondo e l'agglomerato di linguaggi e comportamenti che lo caratterizza. Un caso giudiziario appunto; perché un’inchiesta giudiziaria per sua natura deve essere affrontata necessariamente con un modo di pensare di impostazione sistemica.

L’approccio sistemico e i suoi ambiti disciplinari. Il clima planetario, per esempio.

Uno degli ambiti disciplinari classici e importanti degli approcci sistemici è certamente quello riferito alle variazioni del clima planetario.

Negli anni ’70 la situazione era ben chiara ai ricercatori che aderirono al cosiddetto “Club di Roma” e Jay W. Forrester nel suo “Dinamiche mondiali” incomincia a delineare i meccanismi della globalizzazione economica nel contempo richiamando l’attenzione sull’ inevitabilità e prevedibilità dei  “limiti dello sviluppo” (“The limits to Growth” commissionato al MIT dal Club di Roma, fu pubblicato nel 1972). Donella H. Meadows, Dennis L. Meadows, Jorgen Randers e William W. Behrens III furono gli autori. La via era stata individuata e indicata; la tragedia fu che non venne percorsa!
In maniera corretta, recentemente (2012)  Luca Mercalli ricorda che “Nel rapporto Meadows c’era già scritto tutto. Aurelio Peccei e il club di Roma vollero indicarci una traccia: uno sviluppo non temperato da principi etici conduce inevitabilmente all’autodistruzione. La crisi economica dei nostri giorni non ci sarebbe stata se avessimo recepito quel monito”.

Il risultato è che oggi la quantità di conoscenza scientifica formalizzata che ci mette in grado di capire e soprattutto prevedere e arginare effetti ambientali devastanti è ridicolmente piccola rispetto a quella che sostiene attività che causano effetti negativi sull’equilibrio ecologico del pianeta.

Si può prender a esempio – e, trattandosi di acciaierie, per noi pugliesi l’argomento è fortemente attuale, la situazione esemplare realizzata nel distretto austriaco di Linz ; qui dopo anni di virtuosa alleanza  tra  attenzione e pressione democratica sui problemi dell’ambiente e intelligenza e capacità imprenditoriali, si è formato un distretto caratterizzato da acciaierie che coesistono con un ambiente salubre e assolutamente vivibile. Risultato certamente di grande importanza (li avessimo avuti noi in Italia!) ma le dinamiche sistemiche continuano anche in questo caso ad agire, sia pur spostando il livello che da territoriale diventa appunto  mondiale; infatti le uniche emissioni che continuano a registrarsi a Linz sono costituite da vapore acqueo molto caldo. Il vapore acqueo in sé non costituisce alcun pericolo ma il calore che trasporta è pericoloso perché va a dare il proprio contributo al fenomeno  planetario di surriscaldamento atmosferico.

Si è tentato di prendere dei provvedimenti: Il protocollo di Kyoto (1997) è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante appunto il riscaldamento globale.

Purtroppo, però, si può senz’altro sostenere che ove i governanti di tutti Paesi (e così non è: i telegiornali ci hanno mostrato in questi giorni una Pechino immersa nello smog che è il risultato  degli ultimi arrivati in ordine di tempo a voler realizzare la propria crescita economica senza alcuna considerazione degli effetti sistemici) decidessero di destinare tutte le risorse nella loro disponibilità a interventi in grado di contrastare tali effetti negativi, si scoprirebbe che non si sarebbe nemmeno in grado di impiegare tali risorse per la mancanza delle conoscenze scientifiche (in un corretto approccio sistemico) e delle competenze necessarie dal momento che è ineliminabile la responsabilità delle attuali conoscenze tecnico scientifiche nei confronti di rilevanti e specializzate aree di studi ambientali.

E’ capitato però che tali aree di studio siano risultate fortemente penalizzate (per esempio attraverso la difficoltà di accesso ai finanziamenti) con conseguente disincentivazione di intere generazioni di ricercatori ad applicarsi ad esse.

Queste coincidenze certamente non sono casuali e la contesa politica e quella scientifica su materie ambientali e di sviluppo rivelano la comunanza di origini e di interessi “…nel momento in cui la logica capitalistica pone seriamente in discussione la possibilità stessa che una ricerca non funzionale agli interessi capitalistici possa svilupparsi.”(da “Proposta di percorsi di ricerca per il Comitato Scientifico di Marx XXI).

Recentemente (2012) Federico Rampini e Mark Hertsgaard descrivono molto bene l’atteggiamento ostile ai gravi timori per il rischio di “limiti dello sviluppo” per crisi ambientali da parte delle multinazionali del petrolio impegnate, per il raggiungimento dei propri scopi, non solo a combattere impostazioni quali quelle derivanti dagli accordi di Kyoto ma addirittura direttamente la stessa conoscenza scientifica che quel rischio aveva individuato e denunciato sin dagli inizi degli anni ’70.

Il “sistema uomo” nella “teoria generale dei sistemi”

Nel ’71 Ludwig von Bertalanffy tratta il “sistema uomo”, caso particolare della teoria generale dei sistemi proposta nel 1968.

In generale, condizione necessaria perché sia stabilito un sistema e sia mantenuto come tale (senza degenerare nell'insieme dei suoi componenti) è che gli elementi interagiscano tra loro. In grande approssimazione, più elementi sono detti interagire quando il comportamento dell'uno influenza quello dell'altro svolgendo funzionalità diverse e scambiando informazioni come nei sistemi sociali. I sistemi non possiedono proprietà, ma ne acquisiscono continuamente, eventualmente le stesse, grazie all'opportuno continuo interagire funzionale dei componenti. Quando i componenti cessano di interagire i sistemi degenerano in insiemi. Le proprietà sistemiche non sono il risultato di interazioni poi mantenute. La stabilità della proprietà è dovuta all'interazione continua. Un intervento sistemico quindi non è sugli elementi, ma, ad esempio, sulle interazioni, sulle relazioni, sull'energia fornita, sulle perturbazioni e fluttuazioni, sulla somministrazione delle informazioni. Gli interventi sistemici, cioè sulle proprietà del sistema, dipendono dal tipo di sistema.

Nel 2007, l’Università degli Studi di Bari conferì, su mia proposta, la laurea honoris causaBenoit Mandelbrot a cui si deve la geometria frattale. Anche questo è un capitolo di molto impegnativa formalizzazione matematica che Benoit Mandelbrot nel 2005 ha applicato allo studio sistemico de  “Il disordine dei mercati” dove paragona la turbolenza dei mercati al soffiare del vento, per sostenere che entrambi i fenomeni possono essere ugualmente distruttivi. E spesso è il caso, nella finanza come nell'atmosfera, a determinare la fortuna degli uomini. Nello stesso tempo, Mandelbrot dà questo consiglio ai suoi studenti: “Agli studenti dico: associate i vostri interessi, non fate mai una sola cosa alla volta”; in definitiva l’invito è a comportarsi come sistemi dinamici.

S’impone una precisazione: ho appena usato il concetto di “paragonare” ed è bene chiarire che non si tratta di usare la argomentazione analogica delle “ragionevoli similitudini” bensì  di porre a confronto formalizzazioni di fenomeni complessi, ciascuno autonomo, ma tutti interagenti per individuare passaggi formalizzati che risultino validi per sistemi differenti per loro collocazione funzionale.

Abbiamo già citato Edgar Morin e il suo contributo alla epistemologia della complessità.

Che cosa accomuna ecologia, sistema economico, impresa, città, organismo e cellula? Nulla, se ci si accontenta di esaminarli con lo strumento abituale della conoscenza, l'approccio [analitico-riduzionista].  Molto, al contrario, se, superando questo vecchio approccio, si evidenziano le grandi regole di organizzazione e di regolazione di tutti questi "sistemi" in modo da  rendere disponibile il metodo corretto per i responsabili della scienza, dell'industria, della politica e per ciascuno di noi. Ma è importante ricordare che in tali sistemi esistono luoghi (argomenti e dinamiche) di particolare importanza in quanto capaci di funzionare come “attrattori” (nel senso di Lorenz) e quindi in grado di attivare un gran numero di interazioni per un gran numero di elementi. L’ambito che più di tutti mostra tale proprietà si fa riconoscere come “giustizia sociale”;  tale concetto ricorre molto frequentemente e viene motivato con  opzioni diverse: ideologiche, etiche, religiose. Molte di esse appaiono degne di rispetto e alcune ipocrite. Ma la motivazione più importante è quella genuinamente scientifica.

Si può infatti facilmente dimostrare (ma comunque il discorso risulterebbe molto lungo) che il perseguimento di tale obiettivo, è con certezza di competenza della politica, ed è in grado, è opportuno ripetere, di attivare un enorme numero di relazioni con i loro connessi meccanismi di regolazione  e organizzazione (insomma appunto un potentissimo “attrattore”).

Il caso ILVA, il quartiere Tamburi di Taranto, il Mar piccolo: “Una catena di esperienze intramezzate da ragionamenti” 

A questo riguardo esemplare mi appare il caso “ILVA”  di Taranto e quanto scritto a pag. 6 del testo Proc. N. 938/10 R.G.N.R. Mod. 21 (Ricorso per conflitto di attribuzione), “Per quanto possa interessare, è possibile affermare che i reati ipotizzati sono di pericolo, di natura permanente o, al massimo, istantanea ad effetti permanenti, riguardando, nella specie, impianti industriali a ciclo continuo”, indica la espressione di una vera e propria cultura sistemica che è appunto  quanto le dinamiche ambientali, con le loro conseguenze politiche, in sede scientifica oltre  che giuridica, fortemente richiedono. Si potrebbe dire che tra il quartiere Tamburi,  il Mar Piccolo e il Palazzo di Giustizia una farfalla faccia palpitare le proprie ali e richiami il vecchio insegnamento illuminista di DiderotUna catena di esperienze intramezzate da ragionamenti, simili a pesi disposti lungo un filo attaccato ai due capi: senza questi pesi il filo diventerebbe trastullo della più lieve brezza”. Da anni validissimi colleghi medici operanti nel tarantino, senza tante chiacchiere e fumisterie teoriche, quali quelle che utilizzo io, hanno segnalato non solo le gravi patologie riconducibili all’inquinamento ambientale ma anche, cosa soprattutto interessante, i complessi meccanismi propri di un modo di pensare sistemico.

Non diversamente peraltro dagli allevatori di pecore e mitili della zona.

Individuando gli argomenti con maggiori potenzialità si può dire così: giustizia sociale e politiche ambientaliste sono ambiti per i quali si può dimostrare la massima efficacia nell’indurre alleanze tra dinamiche sistemiche e controlli democratici. 

Il  ragionamento difficile di Marx e Engels

Tutto questo era già ben noto da tempo: il marxismo non è una vaga risposta teorica ai problemi e alle contraddizioni della società, non è un invito generico alla ribellione contro le sue ingiustizie, non è la consolante visione di un futuro immaginario; al contrario è una teoria i cui concetti sono rigorosamente fondati per mezzo di analisi estremamente complesse e sottili, le cui fonti furono per Marx e Engels nel patrimonio intellettuale più avanzato del tempo. Le loro idee non sono dunque né facili né ovvie, perciò si trova che, nonostante la semplificazione, alcuni passaggi del loro ragionamento sono difficili. A questo non c'è rimedio: una realtà complicata può essere descritta solo da un sapere che non indietreggia di fronte alla complessità; come del resto anche lo strutturalismo degli anni sessanta aveva efficacemente detto; d'altra parte le definizioni troppo concise sono bensì comode, diceva Lenin, ma rivelano subito la loro insufficienza quando si tratti di ricavarne le caratteristiche essenziali del fenomeno considerato (abbiamo ricordato come già ai suoi tempi Aristotele aveva avvisato circa la “comodità e velocità” dell’analogia basata su ragionevoli similitudini), nel contempo richiamando la sua fallacia. La complessità dei rapporti che intercorrono tra chi presta e chi riceve in prestito il capitale, che in una fase avanzata di sviluppo del capitalismo sono sempre mediati dal credito, dalle banche, ecc., e la concorrenza tra chi presta e chi riceve in prestito il capitale per aumentare la propria parte di profitto, accentuano in modo mistificatorio l'analogia del capitale produttivo di interesse con la merce normale.

Con lo sviluppo della produzione capitalistica i servizi tendono a trasformarsi in lavoro salariato.

galileoBrava gente’?

Se al Governo dei Tecnici presieduto dal “premier” Mario Monti manca totalmente il sapere che deve necessariamente essere ben conosciuto per giustificare qualunque proposta tecnica: il sapere scientifico, viene da chiedersi:

Si tratta di brava gente o di gente brava?

In altri termini, è obbligatorio capire se essi siano in buona fede (e quindi degni di ogni rispetto) ma semplicemente ignoranti  ovvero tutt’altro che ignoranti, quindi bravi (e pertanto  degni di grande apprezzamento). In questo caso risulterebbero interessati a volontariamente non far emergere dalle proprie posizioni le conoscenze che ho brevemente richiamato e che risulterebbero contrastanti con  le scelte  realmente fatte nella loro concreta opera di Governo.

E’ difficile pensare che chi sia stato dipendente di Goldman Sachs e che in tale periodo ha contribuito (come risulta dal curriculum) allo studio di modelli economici, anche caratterizzati da elevata complessità  algoritmica, risulti poi veramente ignorante delle tematiche che ho richiamato; ma in questo caso niente più alcun rispetto e apprezzamento.

* Antropologo

 

MINO MAGRONE 

 

Ma il sapere scientifico (e politico) stenta a ricomporre i suo pezzi.

Nella “civiltà del rimedio” (anche al dominio dell’apparato tecnologico), l’imperativo della “responsabilità” e della “precauzione”.

 

Sono veramente inesauribili gli spunti di riflessione che il saggio del Prof. Vittorio Pesce Delfino (Sudcritica dell’1/02/2013) suggerisce al lettore quasi fossero, come peraltro sono, vere e proprie aristoteliche  “affezioni dell’anima”  (e del pensiero).


Per molti tratti il discorso di Pesce Delfino è condivisibile per cui su questi aspetti condivisi non reputo utile, anche per brevità, soffermarmi. Indugio,  invece, sugli aspetti, in verità decisivi, sui quali non mi pare di poter concordare con il caro Vittorio.

Con immediatezza sono portato a pensare alla celeberrima farfalla di Lorenz: “può il batter d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas?”.
Bene: la scuola di pensiero sistemica risponde affermativamente, al contrario dei riduzionisti per i quali questo teorema è inutile e perciò è come se non esistesse.
Personalmente rifiuto le impostazioni gnoseologiche di derivazione riduzionistica e tuttavia mi pare di poter dire che tutte e due le scuole hanno l’origine in comune nella “specializzazione” e “parcellizzazione” della conoscenza sicché ai più sfugge la verità dell’insieme; si conosce soltanto la verità della parte che, non essendo in relazione con tutto il resto, è spesso errore e non verità.
A proposito della necessità di una visione organica delle cose di questo mondo, Aristotele è fermamente convinto che un braccio staccato e separato dal corpo umano non è più un vero braccio: è soltanto un “braccio dipinto”.
E così, l’esasperata specializzazione e frantumazione dei campi della conoscenza conduce non alla vera scienza ma ad una “conoscenza dipinta” e quindi all’errore anche violento e tragico.

La farfalla di Lorenz è una metafora che vuole rappresentare le possibili conseguenze dell’agire, dell’azione degli uomini i quali, noncuranti delle conseguenze più lontane, nello spazio e nel tempo, del proprio agire, non si avvedono che vivendo senza relazioni con il mondo, vivendo nell’isolamento della propria specializzazione provocano angosce e disastri anche per l’intero pianeta. La metafora della farfalla ha una doppia faccia: ci dice anche che il pianeta ha una sua verità e che un pianeta senza verità si trova nella situazione in cui si trova solo per caso, subisce dolori ed afflizioni per caso (l’inatteso tornado in Texas).


L’impostazione sistemica della conoscenza è però lungi dal porre al centro della propria filosofia la ricerca della verità delle cose di questo mondo: sicché gli eventi, l’agire, in una parola gli enti, sono lasciati essere nel loro isolamento come se non appartenessero allo stesso cerchio, allo stesso orizzonte della totalità comunicante degli enti. Rispetto alla visione riduzionistica degli enti, la visione sistemica ha indubbiamente allargato il cerchio dell’orizzonte. Ma ciò è sufficiente per affermare  che la negazione del riduzionismo è stata portata a termine? L’integrazione degli elementi separati della conoscenza in modelli esplicativi di situazioni critiche e dannose è più un’enunciazione teorica che una realtà operante nel campo della conoscenza. La separatezza, l’isolamento, la specializzazione e la parcellizzazione del campo del sapere è la stessa malattia che mina alla base sia il riduzionismo sia la conoscenza sistemica. Ancora oggi, forse soprattutto oggi, se si chiede ad un oculista qualche informazione sull’apparato digerente o sull’apparato cardio-circolatorio il massimo di risposta ottenibile è questa: si rivolga al cardiologo, comunque allo specialista. Le relazioni tra la salute, il sistema sanitario, l’economia, l’ecologia, la fisica nucleare, la meccanica quantistica, la bomba atomica, la schizofrenia, i diritti umani, la povertà, tutte queste relazioni sono sconosciute al sapere specializzato. Perciò non è arrischiato dire che la negazione del riduzionismo da parte dei così detti modelli esplicativi è piuttosto un’autonegazione della negazione stante ancora l’imperante separatezza del sapere. Insomma, la separatezza non è estranea ai modelli esplicativi dell’impostazione sistemica per cui la contraddizione riduzionistica è la medesima di quella sistemica: è autonegazione della negazione (Èlenchos aristotelico).

In economia politica, salvo rare eccezioni come quelle di Schumpeter, di Marx, di Mirdal e di Keynes è totalmente dominante la visione riduzionistica del loro specifico sapere scientifico. Smith, Ricardo, i teorici della utilità e produttività marginali, i teorici dell’equilibrio economico generale (Walras), hanno coltivato e coltivano un sapere separato e senza relazioni e comunicazioni con il resto del mondo. Per cui il salario (che è un prezzo) è di equilibrio quando si livella sulla produttività marginale del lavoro. È , cioè, uguale alla produttività marginale del lavoro. Non c’è altro da dire. Tutto è separato. Che il salario di equilibrio sia poi un salario di fame e di miseria all’economista non deve interessare; che quel salario di fame causi malattie, disagio psicologico e sociale, persino suicidio, alla scienza economica non deve interessare. Spetta ad altre discipline altrettanto separate interessarsene, ciascuna per la propria frazione di sapere.

Ritengo che ciò avvenga anche per i saperi e per le conoscenze della fisica classica così come si è sviluppata da Newton in poi e per la meccanica quantistica la quale, dai primi del novecento - per quanto sia giunta a sconvolgere le certezze della fisica classica e a rendere più domestici i fenomeni subatomici - è pur sempre rimasta connotata come un sapere svincolato dal grande contesto del mondo; paradossalmente, ha reso più misterioso ed indecifrabile (quel contesto) perché nell’universo subatomico non è possibile dire che cosa accada agli spin degli elettroni quando lasciano la loro comune sorgente e prima che arrivino ad attraversare il campo magnetico. Si deve cercare, cioè, di resistere alla tentazione di inferire i funzionamenti interni di un sistema quantistico. Quanto meno nel mondo subatomico, i modelli esplicativi sono o sarebbero del tutto di natura probabilistica e all’idraulico Dario forse sarà necessario farsi pagare la fattura sulla base della fiducia perché nel sistema quantistico i “principi teorici e le formalizzazioni matematiche della fluidodinamica” sono di natura probabilistica e indeterminata.

Concludo ritornando per un attimo ancora alla farfalla di Lorenz.
Se Enrico Fermi avesse saputo delle ali della farfalla (Edward Lorenz analizzò l’effetto farfalla nel 1963) sin dal 1939, FERMIanno in cui iniziarono le ricerche per rendere praticamente utilizzabile l’energia nucleare, sarebbe andato a Chicago per costruire nel 1942 la prima “pila atomica” e in seguito la bomba A? Io penso proprio di sì: la separatezza del sapere (anche quello di Fermi e dei suoi collaboratori Amaldi, D’Agostino, Rasetti, Segrè e più tardi Pontecorvo, ad esclusione di Ettore Maiorana - eccezione quest’ultima molto significativa al di là dei modelli esplicativi di impostazione sistemica - non poteva consentire a Fermi e collaboratori di legare e collegare la “pila atomica” alla “bomba atomica” lanciata dal pilota americano nell’agosto del 1945 su Hiroshima e Nagasaki. Eppure si è trattato, con l’esperimento della bomba A del 1942, molto di più di un battito d’ali di una tenera farfalla!
Non è sufficiente ma è già qualcosa; per evitare il ripetersi di altri disastri come quello che sta vivendo Taranto - perché, in definitiva, il Pianeta non finisca di vivere per il battito ripetuto di tante farfalle - è necessario praticare a tutti i livelli il “principio di responsabilità”.

La nostra, come si sa, è una “civiltà del rimedio”. Il principio di responsabilità non è la verità ma è sulla via buona che conduce alla “precauzione” della democrazia, della salute, dell’equilibrato sviluppo, della salute della Terra.  Il Governo tecnico di Monti non ha agito sulla base del principio di responsabilità.

L’austerità estremistica sta, come andiamo constatando, facendo rinascere la popolazione povera e scalza del nostro ultimo dopoguerra. Una politica economica miope e separata sta gettando nella infelicità milioni di persone. La politica purtroppo è ancora questa: i popoli del Nordeuropa ci puniscono perché, a loro dire, abbiamo vissuto e consumato al di sopra delle nostre possibilità. Come tutti sanno, all’inizio del suo mandato il prof. Monti (lo studioso di scienze economiche) disse, per rassicurare gli italiani, che lui è senza dubbio il genero affidabile al quale ogni tedesco darebbe in moglie la propria figlia. Più concretamente e realisticamente Monti,  e i genitori di figlie tedesche,  rappresentano l’apparato tecnologico col quale è necessario fare i conti nella consapevolezza che l’apparato (ad-paratum) non è neutrale ma egemone rispetto alla politica ed alle scelte, non più autonome, della ricerca scientifica. Sì, credo che sia proprio così: tutta la cultura contemporanea, anche quella scientifica, è dominata dall’apparato tecnologico che oggi, più che in ogni altra epoca storica, è visto come l’unica fonte di benessere e di salvezza della umanità.

* Economista


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INTERVENTI

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Michele Silvestri [ingegnere]

Gentile professore,
sono d'accordo con lei sul pensiero di fondo qi questo suo articolo. Tuttavia mi permetto di considerare anche che la conoscenza della teoria dei sistemi per la "progettazione dell'impianto idraulico di un grattacielo" sarebbe opportuna per, appunto, un grattacielo. Le pare che la nostra Italia, in questo momento storico, ambisca ad essere un grattacielo? Io, considerando le condizioni al contorno (da tenere in conto per ogni buona trascrizione matematica dei comportamenti reali), mi accontenterei già di sanare la penosa rete di tubi del nostro "impianto idraulico". Rete (partiti e politici) che perde flussi sapendo di farlo. Partiamo da questa (semplice) osservazione scientifica. Poi, certamente, continuiamo ad operare con la 'vision' di chi vede il sistema Paese come il migliore grattacielo pensabile. Ma per far ciò - e qui sono molto d'accordo con lei - è necessaria la competenza, senza improvvisare e, soprattutto, senza millantare.
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Peter Zeller [università di Foggia]

Caro Vittorio,

il tuo articolo non è di poco momento e leggerlo mi ha parecchio impegnato, il che non vuol dire che io sia necessariamente in grado di validi suggerimenti. Comunque  provo a scrivere qualcosa. Gli elementi di riflessione sulla complessità da te egregiamente illustrati ci portano sicuramente a diffidare di soluzioni generiche, “lineari”, a breve termine, che si presumono di magica efficacia. Sappiamo che l’intreccio delle concause, l’imprevedibilità dei risultati, l’emergere di livelli nuovi sono intrinseci allo sviluppo delle vicende umane ma, a parte il fatto che pochi dominano queste conoscenze e quello ancor più importante che queste stesse conoscenze ci invitano più alla prudenza che all’azione, più al timore del fare che alla determinazione dell’agire, chi potrebbe parlare ed essere creduto o chi avrebbe la possibilità di agire con elastica e vigile attenzione, pronto a rapidi mutamenti? Da noi il recepire questi riflessioni mi sembra ancora molto problematico in un contesto complessivamente e culturalmente arretrato che dà ancora credito a ridicole proposte demagogiche (tipo restituzione dell’imu) e in cui comunque pochi sarebbero sensibili a seguire politicamente visioni ampie e globali. Questo infatti servirebbe:  una visione d’insieme del futuro dell’uomo, una mentalità che sappia vedere quanto ridicolo e impraticabile è il mito della crescita. Purtroppo le decisioni e le scelte sono sempre locali, di corto respiro, senza connessioni con i reali problemi di un pianeta sempre più deteriorato, nonostante le straordinarie possibilità che la tecnica possiede e più ancora potrebbe arrivare a possedere se la ricerca non fosse miope. In generale si respira ancora il clima di un sapere obsoleto, di concezioni disattente alle interrelazioni, alla complessità degli eventi. Un sapere nuovo, certo già c’è, ma quanto ci vorrà perché diventi consapevolezza diffusa,

senso di un mondo da ripensare.

Hai espresso molto bene queste preoccupazioni che come una volta mi hai detto riprendono il vecchio e sempre nuovo discorso che già fu del Club di Roma. Ma sapremo cambiare rotta? E soprattutto, faremo in tempo?

Ciao, Peter

Ultimo aggiornamento Sabato 09 Febbraio 2013 21:58
 
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