ITALIA GIUSTA E IL CORAGGIO DI DIRE NO Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 09 Marzo 2013 12:34

8 marzo 2013 - Da Italia Giusta e Sudcritica presentato il libro del giornalista Paolo De Chiarafoto_per_rivista_incontro 'Il coraggio di dire no. Lea Garofalo, la donna che sfidò la 'ndrangheta' (Falco editore)

 

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 L’intervento di Nicola Magrone a Modugno

 

 

E il commento di Francesca Di Ciaula
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LEA GAROFALO. LA STORIA TRISTE

 

 "So già il mio destino: arriverà la morte"

 

Lea Garofalo era una donna ribelle, una che non ci stava alle regole della 'ndrangheta che regolamentavano il suo ambiente di vita. La storia che Paolo De Chiara racconta nel suo lavoro di inchiesta Il coraggio di dire no. Lea Garofalo, la donna che sfidò la 'ndrangheta, è una storia drammatica di una donna e madre terminata con un efferato assassinio. Lea è stata uccisa per ristabilire un ordine e una rispettabilità che l' ex convivente, uomo di 'ndrangheta, voleva a tutti i costi riguadagnare all'interno del clan di appartenenza. Carlo Cosco uomo violento e brutale, quel giorno, il 24 novembre 2009 riuscì a sequestrare e poi uccidere Lea Garofalo con un colpo di pistola alla nuca. Quella volta non c'era sua figlia Denise con lei e questo le fu fatale. Fino a quel giorno fu l' alleanza madre-figlia a salvare la vita di Lea.

La storia di Lea Garofalo è una storia di tenacia e solitudine e rimanda a tante storie di donne ammazzate per mano mafiosa. Donne rimaste sole a difendere la propria vita, assediate da una struttura di potere criminale, incastrate in logiche di possesso a tutto tondo, della loro famiglia e del gruppo sociale di appartenenza. Donne come Lea Garofalo, che hanno osato decidere per sé e voler tirarsi fuori da un sistema chiuso e violento con codici e leggi proprie, sono state condannate ad una disperata solitudine, che ha finito col favorire i loro assassini. Lea, vittima in tanti modi e per mani diverse. Di una cultura di sopraffazione e violenza, quella della 'ndrangheta, dove come in altre culture mafiose, la donna ha compiti e ruoli ben precisi e subalterni e comunque funzionali al mantenimento dell'assetto del clan. Lea vittima di una bestialità e brutalità indicibili per mano di un uomo. E vittima ancora di un vuoto istituzionale, un mancato atto di tutela nei suoi confronti.

Lea Garofalo aveva chiesto aiuto allo Stato attraverso una lettera indirizzata al Presidente della Repubblica: “Oggi mi ritrovo, assieme a mia figlia, isolata da tutto e da tutti, ho perso il mio lavoro (anche se precario) ho perso la casa, ho perso i miei innumerevoli amici, ho perso ogni aspettativa di futuro, ma questo lo avevo messo in conto facendo una scelta simile”. (Paolo De Chiara, Il coraggio di dire no, Falco Editore). “Una giovane madre disperata”, così Lea firmò quella lettera che non arrivò mai al destinatario o forse si perse nei meandri di oscure logiche di Stato.

Da testimone di giustizia, dopo aver collaborato con le istituzioni e aver fornito prove in un procedimento giudiziario contro un clan di 'ndrangheta, Lea Garofalo non fu più considerata soggetto da tutelare. Giustificato dal fatto che Lea stessa avesse deciso di sottrarsi al programma di protezione, lo Stato finì con l'abbandonarla al suo destino, un destino tristemente saputo. Ne era consapevole la stessa Lea. Lo sapeva e lo scrisse in quella lettera al Presidente della Repubblica: “La cosa peggiore è che conosco già il destino che mi spetta, dopo essere stata colpita negli interessi materiali e affettivi arriverà la morte!

La solitudine e l'isolamento sono stati i miglior alleati dei suoi assassini. Sono stati alleati degli assassini di tante donne, il cui nome appartiene ormai all'interminabile elenco di donne ammazzate per mano dei propri uomini. Un elenco che si allunga giorno per giorno a leggere le cronache quotidiane qui in Italia: una donna uccisa ogni due giorni. Una mattanza, un'urgenza sociale. Tantissime sono le storie di violenza sepolte tra le mura di casa, taciute dalle stesse donne per paura di ritorsioni dei loro stessi uomini aguzzini. Sono storie di possesso e soprusi, storie di isolamento ed anche di coraggio pagato con la vita. Lo sanno e ne hanno paura le donne maltrattate in casa, umiliate spesso davanti ai loro figli. Ne hanno paura: reagire e denunciare i loro aguzzini è un passo verso la morte. E questo accade quasi sempre; lo dicono le loro storie di vita. Dicono che è importante spezzare il loro isolamento attraverso situazioni d'aiuto quali case protette e centri di ascolto, luoghi in cui queste donne hanno la possibilità di costruire una prima rete di relazioni intorno a loro. Si tratta di realtà e bisogni di cui lo Stato deve farsi carico, moltiplicando le situazioni d'aiuto, purtroppo nel sud Italia pochissime, a volte quasi inesistenti. Fondamentale è costruire una rete che metta in contatto diversi luoghi, istituzionali e non, quali consultori, ospedali, associazioni di volontariato. La storia di Lea Garofalo è una denuncia di per sé scandalosa di quest' assenza di strategia, mancato intervento delle istituzioni persino quando le intimidazioni e le violenze subite sono atti già riconosciuti in testimonianze e atti giudiziari.

Un progetto di vita, quello di Lea, così determinata nel preservare sua figlia da una realtà di violenza e miseria morale, così decisa nel voler costruire una vita migliore per loro due; una voglia di riscatto lasciato cadere nell'indifferenza e nell'incuria. Eppure la presa in carico di un soggetto socialmente debole è affare di tutti e riguarda tutta la società con le sue istituzioni, il cui compito è tradurre in azioni di sostegno e tutela, il rispetto e l'attenzione dovuti a tutti i cittadini. È di questo che la politica si deve occupare. Questo i soggetti istituzionali devono sapere e avvertire: che sono le persone i loro interlocutori primari, i loro bisogni e le loro realtà di vita; che è profondamente iniqua una società che lasci cittadini soli, privi di appigli sociali. Il degrado e decadimento dei nostri paesi e città inizia da qui.


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Ultimo aggiornamento Mercoledì 13 Marzo 2013 18:04
 
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