=QUANDO LA CULTURA DELL'AFFARE NON CAPISCE IL LINGUAGGIO DELLA STORIA= Stampa
Scritto da Redazione   
Martedì 26 Marzo 2013 13:52

Chiesa di Santa Maria del Suffragio a Modugno, storie sconosciute e sepolte.

  L'ardita iniziativa della Confraternita del Purgatorio

e della Società Italiana per la protezione dei beni culturali:

di chi è la voce che ci chiama da secoli?


 

di Giovanna Longo Crispo

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All’ombra  de’ cipressi e dentro l’urne

confortate di pianto è forse il sonno

della morte men duro?

chiesa_purgatorioOggi, che il trasporto e la sepoltura dei morti rappresentano un servizio di pubblica utilità disciplinato da leggi precise, spesso ci si dimentica che i cimiteri sono un’invenzione moderna e che fino a poco più di due secoli fa congregazioni misericordiose garantivano l’inumazione dei defunti nei succorpi delle chiese con deposizioni diverse che andavano dalla gentilizia a vere e proprie fosse comuni per accogliere i resti di persone falcidiate da epidemie, diffusissime tra il ‘600 e l’ ’800.

Sarà stata questa certezza che ha portato i membri della confraternita del Purgatorio di Modugno e della Società Italiana per la Protezione dei Beni Culturali ad organizzare un sopralluogo nel succorpo della chiesa di Santa Maria del Suffragio da parte di uno staff di esperti nelle persone dello storico Sergio Chiaffarata, il medico legale Alessio Veneziani, la Storica dell’Arte Caterina Jannelli e la docente di Storia della Medicina Sabrina Veneziani.

Dal rilievo sono emersi centinaia di resti umani la cui datazione precisa potrebbe venir fuori solo con analisi alquanto costose e sofisticate che potrebbero far risalire i reperti alla peste del 1632 essendo l’edificio antecedente tale epoca.

Riemergono pezzi di storia modugnese e si auspica che queste iniziative possano portare alla valorizzazione non solo del sito in questione, ma anche di un centro storico e di un’intera città, soffocati da una feroce cementificazione, determinata da una tutt’altro che amena zona industriale con cui si fondono senza soluzione di continuità.


 Si potrebbe non convenire sull’opportunità di valorizzare un ossario, ma vale la pena riflettere su ciò che hanno prodotto realtà simili nella vicina Napoli.

Mi riferisco al Complesso museale di Santa Maria delle Anime del Purgatorio ad Arco sede di un’antichissima confraternita nata a Napoli con il preciso scopo di raccogliere per strada i cadaveri di derelitti abbandonati ed è facile riconoscere in essa una prima forma di risanamento igienico-sanitario della città vecchia. I napoletani la identificano come “’a cchiesa d’’e cape ‘e morte” per il ripetersi ossessivo di teschi e tibie incrociate in bronzo sul prospetto come negli interni e per la presenza numerosa di teschi nell’ipogeo.

A prescindere da ritualità popolari legate al sito e sempre osteggiate dall’autorità ecclesiastica, trattasi di una realtà molto interessante in quanto, dopo 400 anni ed adeguandosi ai tempi, l’Opera Pia rimane fedele agli obiettivi dei suoi fondatori, per cui il soccorso ai bisognosi si espleta attraverso un ambulatorio diagnostico polifunzionale gestito in regime di volontariato, senza considerare i numerosi progetti e laboratori che ruotano attorno al Complesso museale in sinergia con associazioni ed enti pubblici.

Sulla stessa via dei Tribunali, lungo la direttrice dell’antichissimo decumano superiore, si trova un’altra istituzione napoletana, il Pio Monte della Misericordia, chiesa realizzata in un palazzo con portico di accesso, ideato apposta per accogliere bisognosi.

Anche questa struttura è probabile che fosse utilizzata per la sepoltura dei morti, al punto di aver portato i suoi gestori a commissionare al310px-Caravaggio_-_Sette_opere_di_Misericordia_1607_Naples Caravaggio “Le opere della Misericordia”, capolavoro in cui l’autore con il suo naturalismo rappresenta la pratica attraverso il trasporto di un cadavere di cui sono visibili solo i piedi; ed anche questa realtà prosegue le sue tradizioni, forse in maniera più attiva della precedente, vantando collaborazioni con orfanotrofi e carceri minorili.

In definitiva, non si può disconoscere il contributo che questi reperti storici ed architettonici hanno fornito nel recupero di uno dei più affascinanti ma anche più difficili centri storici d’Europa.

Tuttavia, a Napoli, come altrove, simili eccellenze rappresentano spesso delle eccezioni ed in una nazione come la nostra, ove anche il più anonimo dei sobborghi può nascondere meraviglie d’arte, la visita di edifici storici, civili o religiosi, può spesso farci imbattere con porte implacabilmente chiuse, anzi, a giudicare dall’aspetto di decadenza, sbarrate da decenni,  per non parlare della sistematica irreperibilità del custode.

Perché questo avvenga poco conta ai fini del recupero, ma penso che non aver investito nell’arte in Italia, nazione che raccoglie il 40% delle bellezze artistiche mondiali e solo in parte fruibili, sia stato un errore madornale visto che l’incremento del flusso turistico nelle città d’arte dimostra un aumento della domanda in un settore per il quale, almeno una volta, possiamo considerarci competitivi con altri Paesi.

Ritengo che il nostro ritardo vada spiegato in termini economici, visto che in Germania si valorizza anche l’archeologia industriale, ma occorre riconoscere nelle nostre attuali politiche una cultura debole che genera una scarsa pianificazione di interventi mirati alla conservazione dei nostri beni culturali e paesaggistici, da sempre considerati ormai acquisiti ed in quanto tali non degni di investimenti, senza trascurare i troppo frequenti condoni edilizi attraverso i quali lo Stato dichiara pubblicamente di barattare valori naturali o artistici per “quattro soldi”.

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Ultimo aggiornamento Martedì 02 Aprile 2013 12:29
 
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