=LIBRI/ SCHEDA. POETI GRECI E LATINI= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 02 Dicembre 2017 06:32

grecia Breve ricordo
dei poeti greci e latini
dell’antichità
”:
tra poesia e filosofia,

un volume di Dino Ciraci

 

Non deve meravigliare che qui si confonda poesia e filosofia, storia e scienza della natura.
In quei tempi il filosofo era anche poeta e storico e scienziato. La specializzazione era del tutto sconosciuta.
La figura della persona colta era il sapiente che abbracciava quasi l’intero scibile. Pertanto, nessuna meraviglia se furono i così detti filosofi della physis che impressero la svolta culturale nella quale anche la poesia fu coinvolta come modo importante di fare cultura.


di  Mino Magrone

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Il lavoro di Dino Ciraci è un breve ricordo dei poeti greci e latini dell’antichità”. Ed è proprio questo l’argomento del libro che Ciraci dedica ai poeti dell’antichità. Lo stesso autore ha scritto anche un breve ricordo degli storici greci e latini del quale si parlerà in un’altra circostanza.
Queste note di commento al lavoro di Dino Ciraci si riferiscono, dunque, al suo volume sui poeti. Il testo inizia con Omero e termina con Ovidio. Abbraccia, come si può facilmente avvertire, un lungo percorso di secoli il cui inizio è incerto (Omero) e la conclusione con Ovidio è del 21 d.C.

Sono diciannove le schede del volume dedicato ad altrettanti poeti. La lettura del testo è molto scorrevole e, a tratti, accattivante. Ma quale può essere la cultura dell’ipotetico lettore? Penso che, per spingere al massimo livello l’interesse per il libro di Ciraci, il lettore ideale sia lo studente di scuola superiore. Infatti, per gli specialisti di letteratura classica le informazioni, le notizie e le osservazioni contenute nel volume non possono costituire, senza nulla togliere alla loro importanza, novità interpretative. Essendo, invece, quelle argomentazioni e notizie molto appropriate per chi sa già qualcosa sui poeti dell’antichità ma ha, tuttavia, bisogno di un compendio che li raggruppi tutti insieme per saperne di più su ciascuno e sull’insieme, il lettore ideale del volume è uno studente voglioso di accrescere la sua conoscenza dei poeti dell’antichità.

Va sottolineato che il testo manca di una scheda, una sorta di prefazione, nella quale si dica qual è il contesto storico-culturale nel quale vivono e poetano gli autori prescelti. In quei secoli non è tutto fermo. I camsaffobiamenti sono forti, ancora violenti. E la cultura cambia e cambia anche il modo, la forma, ed il contenuto del pensiero poetante.
I poeti di cui Ciraci scrive sono, almeno fino alla poetessa Saffo, anteriori al secolo VI a.C.
Tutti gli altri hanno vissuto dal secolo VI a.C. fino al 21 d.C. (Ovidio).

Perché questa osservazione di ordine temporale? Ma per segnare una linea di demarcazione tra i poeti che affondano le lori radici nella cultura del mito ancora fortemente presente e quelli, dal VI secolo a.C. in poi, che progressivamente abbandonano la cultura mitologica e sono più vicini al clima culturale inaugurato da colui che viene considerato il primo filosofo vale a dire Talete (VI secolo a.C.).

Non deve meravigliare che qui si confonda poesia e filosofia, storia e scienza della natura.
In quei tempi il filosofo era anche poeta e storico e scienziato. La specializzazione era del tutto sconosciuta.
La figura della persona colta era il sapiente che abbracciava quasi l’intero scibile. Pertanto, nessuna meraviglia se furono i così detti filosofi della physis che impressero la svolta culturale nella quale anche la poesia fu coinvolta come modo importante di fare cultura. Le persone colte dell’epoca e gli studiosi scrivevano per aforismi e poemi (Eraclito, Parmenide ed altri).

La parola greca “archè” è generalmente tradotta con “principio”. Per Talete l’archè è l’acqua, per Anassimene è l’aria, per Eraclito è il fuoco. Il molteplice che l’esperienza fa apparire e attesta viene con l’archè composto in unità razionale. Si tratta qui di capire che la svolta culturale sta nell’affermazione dell’identità dei diversi e del molteplice. Non è una cosa di poco conto: ci si avvia ad abbandonare l’illusorietà del mito e si comincia ad esplorare un terreno nel quale si è convinti si possa trovare la verità incontrovertibile. Parmenide, per esempio, nel suo poema sulla natura (physis) afferma che il principio (l’archè) è l’essere in contrapposizione al nulla. Pone con ciò i termini fondamentali di ogni ontologia. Sicché, dal VI secolo a.C. la cultura mitologica (Omero, Esiodo) va lentamente scomparendo e appare sempre più evidente nelle scuole filosofiche e nelle personalità della cultura della Grecia la ricerca della via della conoscenza incontrovertibile (epistéme) cioè di una conoscenza ferma, non smentibile, che “sta sopra” il divenire delle cose del mondo dell’esperienza.

chaos theory toolshero com-696x398Il chàos, dal quale secondo la teogonia di Esiodo scaturiscono gli dei, è l’immenso e la mescolanza. Il chàos originario è la dimensione più ampia che il mito sia capace di pensare. Col secolo VI a.C. va affermandosi il principio ed il concetto di “totalità”. Il kosmos epistemico è l’insieme delle cose (enti) uscito dal disordine del chàos. Il tutto, la totalità, a differenza della dimensione immensa del mito, non ha nulla al di fuori di sé. È, appunto, la totalità. Alla cultura mitologica manca quest’ultima consapevolezza logica e razionale e, cioè, che nulla può essere al di fuori del “Tutto”.

Dino Ciraci non ha incluso nel suo discorso sui poeti dell’antichità una delle massime espressioni letterarie della grecità classica: la tragedia attica. Eschilo, Sofocle ed Euripide sono i poeti tragici più noti e maggiori. Sono vissuti nel corso del tempo che va dal 525 a.C. al 406 a.C.
Specialmente con Eschilo è presente la ricerca della verità che salva l’umanità dal dolore e dall’angoscia del divenire delle cose e del mondo. Con Eschilo il pensiero tragico, la tragedia attica, ricerca la verità che deve costruire il rimedio sicuro contro l’angoscia, il dolore e la paura della morte, contro il cambiamento imprevedibile della vita, l’irrompere del divenire. Nell’Inno a Zeus dell’Agamennone di Eschilo che è la prima delle tre tragedie che compongono l’ Orestea si dice: “[…] se il dolore, che getta nella follia, deve essere cacciato dall’animo con verità, allora soppesando tutte le cose con un sapere che sta e non si lascia smentire […]”. È il sapere che “sta” quello che salva dal dolore e dalla imprevedibilità del divenire e della morte. Il sapere delepisteme 220px-Efez Celsus Library 5 RB mito è insicuro e smentibile. La verità dell’ episteme non è smentibile, sta sopra il divenire e lo domina prevedendolo. Bene, chi si accingesse a leggere il libro di Dino Ciraci può tenere, se vuole, in conto anche questo spartiacque tra mito ed episteme, tra mito e archè. La poesia prima del pensiero che dice dell’archè ha una radice e un’anima diversa da quella a noi relativamente più vicina, non soltanto nel tempo.

Ciò che mi auguro sia apparso chiaro in questo mio commento al lavoro di Dino Ciraci è che la poesia, meglio la sua forma, pur costituendo il denominatore comune dei diciannove poeti del libro di Ciraci è, nel suo contenuto, un loro tratto di differenziazione. Insomma, è necessario che si ponga attenzione ai momenti culturali differenti che alimentano inevitabilmente l’anima, la forma ed il contenuto poetico del pensiero poetante. Gli “antichissimi”, cioè Omero ed Esiodo, ma anche Saffo e Alceo, mostrano un contenuto poetico differente rispetto ai poeti, ai sapienti e alla cultura antica che dal VI secolo a.C. fa propri definitivamente i concetti di physis, essere, logos, kosmos, totalità ed episteme della verità. L’archè soppianta la cultura essenzialmente mitologica e inaugura e apre il campo della cultura occidentale. Della quale in questa sede, non è il caso di dire se ha imboccato la “via del giorno” o la “via della notte”.

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Ultimo aggiornamento Sabato 02 Dicembre 2017 06:37
 
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