MA LA CULTURA NON E' LA FENICE. Sul salone del libro di Torino Stampa
Scritto da Redazione   
Giovedì 17 Marzo 2011 21:09

 mostra_libro
di Tony Tundo
_______________________________

 La vetrina del Salone del libro di Torino (12-16 maggio) quest’anno esibirà con la formula dell’elenco, mutuata dall’idea di Woody Allen in Manhattan (il marchio non è di Serra-Fazio-Saviano, come la recente trasmissione televisiva ha fatto credere), i libri che hanno fatto la storia dei 150 anni dell’Unità.” Il percorso espositivo de L’Italia dei Libri, la sezione più importante di quest’anno – si legge testualmente nel programma della Fiera - è articolato in cinque filoni: i 150 Grandi Libri, i 15 Superlibri, i 15 Personaggi. Quindici come i decenni di questo secolo e mezzo.” E si accende la polemica perché mancano dall’elenco, inevitabilmente riduttivo - come ogni schema - se non pedestre, la Garzanti, il Mulino, le edizioni Paoline, e molti altri; fra gli scrittori, Pascoli, Moravia, Calvino, Gadda e Ungaretti sono preferiti a Quasimodo, Pasolini, Arbasino e Landolfi, e a molti altri. Posto d’onore, persino scontato nel clima attuale, alla Fallaci, profeta dell’invasione islamica in Europa: l’ "Eurabia". Una mostra presuppone una scelta, si sa, ma il Salone del libro quest’anno ha un significato speciale, ripercorrendo lo spirito nazionale sulle tracce della letteratura, e le esclusioni sono state avvertite non solo arbitrarie ma autoritarie e censorie.
 

Strano, ma c’è ancora chi sembra non voglia capire che il libro è merce. Non ci piace, ma questo è; lo spirito che anima iniziative come la mostra di Torino, i premi letterari, le kermesses editoriali è soprattutto affaristico, non si tratta di operazioni culturali, sono soltanto operazioni economiche e la polemica è – ahimè - inutile, spesso pretestuosa, sempre la strategia di marketing più efficace. Intanto le leggi di mercato sono sottoposte di solito a un andamento ciclico, e, se questo è vero, anche il mercato librario obbedisce a questa legge e gli esclusi di oggi riprenderanno quota, poi le polemiche accompagnano tradizionalmente il Lingotto: l’ultima ha riguardato l’esclusione della letteratura israeliana. Non mi preoccuperei degli scrittori “nuovi maledetti” trascurati nella Celebrazione che tale rimane: un rito effimero, mi preoccupano di più le attuali logiche editoriali, mi preoccupa di più che scrittori di qualità si prestino alle regole di marketing, come l’operazione di Margaret Mazzantini per il suo ultimo libro, uscito l’8 marzo scorso e venduto lo stesso giorno alle donne col 30% di sconto, solo quel giorno fino a mezzanotte, non un minuto più tardi. Ma, d’altra parte, in un contesto digitale sempre più articolato l’uscita di un libro è un evento da social network, la Mazzantini per il suo “Nessuno si salva da solo” (Mondadori) l’ha chiamato slam book. Eppure la Mazzantini è scrittrice sensibile, ma come dice Giulio Ferroni, storico letterario acuto e pungente nei giudizi, si è formattata e si presta ben volentieri a una letteratura presenzialistica e paratelevisiva. Ferroni è uno storico della letteratura e un critico letterario che non ha altri parametri se non la qualità dell’opera letteraria, non il successo che spesso è legato a ragioni molto lontane dalla cultura. Ha scritto Ferroni anche sui Festival del libro, dopo aver visitato il salone allestito nel 2010 a Torino: "Oggi assistiamo al paradosso di una letteratura che si moltiplica e contemporaneamente arretra, assediata dall’impero dei media, dalla vacuità della comunicazione, dalla degradazione del linguaggio e della vita civile. Sottrarre anziché accumulare, ritrovare la passione e la bellezza dell’essenziale. Scrivere di meno, scrivere meglio. Insieme ad una radicale ecologia dell’ambiente fisico abbiamo sempre più bisogno di un’ecologia della comunicazione, che agisca come ecologia della mente, che liberi le nostre menti dagli scarti infiniti che le tengono in ogni momento sotto assedio, con una variegata catena di manipolazioni a cui ben pochi arrivano a resistere. Ed è sempre più necessaria un’ecologia del libro e della letteratura, capace di operare distinzioni nell’immenso accumulo del materiale librario prodotto." (Scritture a perdere - ed. Laterza). Ma quest’anno è di scena l’elenco, vetrina paludata di copertine; aspettiamo il parere di Ferroni.

Viene in mente Fahrenheit 451 (nella traduzione italiana: Gli anni della Fenice), giustamente famoso romanzo del ’53 di Ray Bradbury: l’autore paventa la minaccia oscurantistica operata sulla cultura, non l’oscurantismo delle dittature, o, come qualcuno disse alla sua uscita, del maccartismo, piuttosto quello della modernità con tutti i suoi meccanismi. Un libro profetico, da leggere o rileggere.
Bradbury chiude con una sua personale certezza: “C’era un buffissimo uccello, chiamato Fenice, nel più recente passato, prima di Cristo, e questo uccello ogni quattro o cinquecento anni si costruiva una pira e ci si immolava sopra. Ma ogni volta che vi si bruciava, rinasceva subito poi dalle sue stesse ceneri, per ricominciare".
Ma la Cultura non è la Fenice (è il nostro personale timore).

Ultimo aggiornamento Domenica 20 Marzo 2011 03:15
 
Condividi