=I 90 ANNI DI EMANUELE SEVERINO= Stampa
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Scritto da Redazione   
Sabato 23 Marzo 2019 15:12

severino 3 La verità

che salva

dalla morte

e dal nulla

è necessario cacciare la follia del dolore con verità, cioè con un sapere che sta e non si lascia smentire. E questo sapere non può essere nessuna sapienza che il mito ha prodotto e nessuna fede, nemmeno quella che per chi è venuto dopo di me è stata la fede cristiana o la fede nella tecnica del vostro tempo

di Mino Magrone

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Il lettore che si accingesse, per la prima volta, a entrare nel “mondo” di Emanuele Severino farebbe bene a cominciare l’incontro da due “interviste impossibili”. La prima con Eschilo, chiesta allo stesso Severino da Giorgio Pressburger e tenutasi nel 2007 nel Teatro Stabile di Trieste. L’altra con Parmenide, chiesta a Severino dal “Corriere della Sera” e SEVERINO 2pubblicata nel novembre 2010 da Bompiani. Entrambe le “interviste impossibili” sono ora nel volume, edito da Rizzoli nel 2013, col titolo “La potenza dell’errare - Sulla storia dell’Occidente”. Ritornerò su Eschilo e Severino, ma dirò anche di Severino e Parmenide, in conclusione di questo mio articolo.

Quello stesso lettore va avvertito che se di Emanuele Severino s’inizia a leggere un’opera si è fortemente invogliati, poi, ad approfondire e, soprattutto, a seguire un piano di letture per capire più compiutamente il suo complesso e articolato discorso filosofico. C’è stato un lungo momento, per la verità mai cessato, della mia (modesta) riflessione sulle cose di questo mondo, durante il quale la lettura delle opere del pensiero di Severino ha aperto il campo a nuovi approfondimenti anche in economia politica; scienza - quest’ultima - solo apparentemente lontana dalle analisi di Severino ma, come tutte le indagini scientifiche, anch’essa materia della riflessione del nostro filosofo. A quest’ultimo proposito si veda l’intervista di Carla Ravaioli a Severino pubblicata sul quotidiano “il manifesto” nel luglio 2011 (si può leggere a questo link: http://www.zenzero.org/decrescita/2011-07-03-manifesto-severino.pdf).

Il 26 febbraio scorso Severino ha compiuto novant’anni, essendo nato a Brescia il 26 febbraio 1929. Nei festeggiamenti a Brescia del 2 marzo scorso, nel Teatro Sociaseverino 90 anni 2le, erano in programma, in onore del grande filosofo italiano, dibattiti e convegni, e anche teatro. Momento centrale dell’evento bresciano era, infatti, l’Orestea di Eschilo che Severino tradusse nel 1985 e che, nel 1986, fu adottata per la messa in scena dell’intera trilogia di Eschilo da Franco Parenti e Andrée Ruth Shammah.

Severino comincia la sua carriera di professore di filosofia nell’Università Cattolica, che dovette lasciare perché, dopo la pubblicazione delle opere La struttura originaria e Ritornare a Parmenide, su richiesta dello stesso filosofo, l’ex Santo Ufficio lo sottopose ad un vero e proprio processo, a conclusione del quale fu espulso per incompatibilità del suo pensiero filosofico con la dottrina cristiana.

La questione decisiva di tutto il pensiero di Severino è che lo studioso, molto noto anche all’estero, nega l’evidenza in cui tutta la cultura occidentale crede quasi senza eccezioni. Le cose, gli enti, dice Severino, non divengono, non possono diventare altro da sé, passare, cioè, dall’ essere al nulla e dal nulla all’ essere. La “follia” essenziale dell’Occidente, il suo inconscio nichilismo è pensare che le “cose” sono niente (ni-ente).

Rispetto all’essere descritto da Parmenide è Platone che compie il “parricidio”. Infatti, è con Platone che la cultura occidentale acquisisce la convinzione che l’essere è quando è. Sicché, può anche non essere e svanire nel nulla.parmenide

Tuttavia, Severino vede che gli uomini e le cose prima non appaiono, poi appaiono e, infine, scompaiono dal cerchio dell’apparire. Si tratta, dice il filosofo, di variazioni dell’apparire e, precisamente, dell’apparire e dello scomparire degli eterni. Ed è qui che Severino, per negare che le cose di questo mondo (tutte le cose, anche le più insignificanti) siano niente, provengano dal nulla e vi ritornano, fa il famoso esempio “della legna e della cenere”.

Se Martin Heidegger nega l’identità tra l’essere e gli enti e sottolinea la “differenza ontologica” tra essere ed enti, Severino ne sostiene il legame, l’unità e la non differenza sicché anche un filo d’erba, anche un suono, una parola non possono diventare altro da sé.

Pertanto, il destino delle cose, l’essere cosa delle cose, non è il nichilismo, non è l’oscillare dal nulla all’essere e dall’essere al nulla. Invece, la volontà di potenza della nostra cultura le fa disponibili alla manipolazione, alla creazione e alla trasformazione e distruzione. Tutto ciò è la matrice di ogni violenza.

tecnologia-nos-hara-mas-longevos 0Interessante il discorso di Severino sul destino del capitalismo e sul suo declino. Sarà la tendenza in atto all’ inversione dei mezzi in fini a segnare la subordinazione del fine del capitalismo (il profitto) allo scopo del mezzo (la tecnica) che è quello di raggiungere ogni scopo e, quindi, il paradiso della tecnica. La stessa sorte tocca alle altre forze della cultura occidentale: alla democrazia, al socialismo, al cristianesimo.

Ma qui Severino precisa che il paradiso della tecnica non è l’ultima parola. Il suo discorso si complica ed è bene che il lettore si faccia la sua convinzione in proposito leggendo i libri di Severino.

Infine, ancora un cenno alle “interviste impossibili” a Eschilo e a Parmenide.Eschilo, rispondendo a una domanda dell’intervistatore dice: “Nel mio ‘Inno a Zeus’ dell’ Orestea dico che è necessario cacciare la follia del dolore con verità, cioè con un sapere che sta e non si lascia smentire. E questo sapere non può essere nessuna sapienza che il mito ha prodotto e nessuna fede, nemmeno quella che per chi è venuto dopo di me è stata la fede cristiana o la fede nella tecnica del vostro tempo. Questo, invece, è il sapere che sta e non si lascia smentire e che nel mio ‘Inno’ chiamo sophronéin [σωφρονει̃ν], cioè sapere che salva. La verità salva dal dolore, dalla morte e dal nulla”.

 

"Zeus, chiunque egli sia, a lui mi rivolgo con questo nome, se gli è caro esser chiamato così. Se il dolore, che getta nella follia, deve essere cacciato dall’animo con verità, allora, soppesando tutte le cose con un sapere che sta e non si lascia smentire, non posso pensare che a Zeus. Uranos, infatti, che pur fu in passato potente e traboccante di audacia spavalda, è come se non fosse mai stato. Ed è svanito chi poi venne ad esistere, Cronos, che si imbatté in Zeus, il vincitore per sempre. Chi ha la mente protesa verso Zeus e annuncia la sua vittoria, perviene al culmine della sapienza. Guidando il pensiero dei mortali, Zeus ha stabilito che attraverso il dolore il sapere acquisti potenza. Quando, nel sonno, goccia davanti al cuore l’affanno che ricorda il dolore, allora, anche senza la volontà dei mortali, sopraggiunge in essi un sapere che salva. Questo è un dono dei démoni che siedono potenti sul carro del saggio Zeus".

(E. Severino,  Interpretazione e traduzione dell’Orestea di Eschilo,  Milano 1985, pp. 22-23)

 

Nell’ “intervista” a Parmenide (pubblicata nel 2010 da Bompiani, se ne può leggere il testo a questo link: https://antemp.files.wordpress.com/2016/01/emanuele-severino-incontra-parmenide.pdf), l’intervistatore chiede al filosofo presocratico: “Anche tu, gli uomini li chiami ‘mortali’. Della loro mente dici che è plakton. Dobbiamo riflettere a lungo su questa parola. Di solito, plakton la si traduce con ‘errante’. Non è sbagliato purché si sappia che cosa spinge la loro mente a errare”. E Parmenide risponde: “Infatti, sono spinti a errare perché credono che l’esistenza della nascita e della morte, cioè l’uscire dal nulla e il ritornarvi, sia verità. Lo dico continuamente nel mio poema. Ad esempio, nei versi 39-40 di quello che voi chiamate ‘Frammento 8’”.

Per concludere, forse qualche lettore non si raccapezza più sentendo da una parte parlare dell’eternità dell’essente e, dall’altra, della mino-severino1simpatia di Severino rispetto alle forme più radicali di coerentizzazione della storia dell’Occidente. La simpatia di Severino per Nietzsche, Eschilo, Leopardi, Gentile può non essere capita. Ma Severino dice che questi colossi della cultura sono la sua più radicale coerentizzazione e, pertanto, “la coerentizzazione della Follia estrema”. E aggiunge: “Nei laboratori ci sono scienziati che, per accertare le capacità distruttive di un virus, ne favoriscono lo sviluppo massimo e fino a che il virus mostra tutte le sue potenzialità”.

“La verità - conclude - non è qualcosa che sia grande indipendentemente dalla grandezza della negazione della verità”. Senza grandezza dell’errore, insomma, non c’è grandezza della verità.

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Ultimo aggiornamento Giovedì 28 Marzo 2019 11:56
 
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