=GIORNO DELLA MEMORIA 2022. PERSECUZIONI RAZZIALI, UN MOSTRO SENZA PADRI= Stampa
Valutazione attuale: / 0
ScarsoOttimo 
Scritto da Redazione   
Giovedì 27 Gennaio 2022 00:00

codice breve copertina

 

Leggi razziali.

 

Le responsabilità
degli individui
e l’innocenza

 

dei popoli

 

 

 

sviscerare la questione tragica e attualissima

 

della responsabilità individuale

 

rispetto a ciò che ha reso possibile il mostruoso”

 

riguarda il presente e il futuro.

Riguarda i singoli ma anche i popoli

 

Nell’agosto del 2021, in Polonia, il Parlamento ha approvato una legge che pone un limite di 30 anni per impugnare in tribunale le richieste di restituzione dei beni saccheggiati e confiscati dagli occupanti nazisti tedeschi durante la Seconda guerra mondiale e, dopo il 1945, dal regime comunista. La legge, naturalmente, nuoce soprattutto ai sopravvissuti alle persecuzioni razziali e ai loro discendenti, usando persino un linguaggio offensivo nei confronti di coloro che vorrebbero essere risarciti, giacché giunge a dire che viene promulgata per difendere i polacchi da tentativi di frode. La legge polacca è giunta a conclusione di un paio di anni di mobilitazioni della destra nazionalista contro i risarcimenti dei beni strappati alle vittime della Shoah e della deportazione nazifascista. E dopo alcuni decenni di affermazioni secondo le quali la Polonia fu “Paese occupato e sofferente a causa dei nazisti” e non connivente e complice con i crimini nazisti.

In Italia, solo il 30 dicembre 2020, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della nuova legge di bilancio, si è data soluzione a questioni assai spinose riguardanti la possibilità di ottenere risarcimenti. Col provvedimento nella legge di bilancio dello scorso anno, infatti, sono state “finalmente superate - ha scritto Noemi Di Segni, Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia (https://moked.it/blog/2021/01/03/perseguitati-razziali-la-svolta-del-governo-non-piu-necessario-lonore-della-prova/) profonde aberrazioni presenti nella legge 10 marzo 1955, n. 96 (“legge Terracini”), recante “Provvidenze a favore dei perseguitati politici o razziali e dei loro familiari superstiti” - cosiddette Benemerenze - con riguardo alla persecuzione razziale e nello specifico delle persone di religione ebraica”. Tra queste aberrazioni, quella dell’ “onere della prova”. “Fino a ieri qualsiasi richiedente - spiega la presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche in Italia - doveva produrre la prova dell’atto persecutorio: dimostrare quindi di aver sofferto e di aver subito atti di violenza e sevizie, con documenti originali o testimoni. Al di là della difficoltà oggettiva di fornire tali prove e al di là della valutazione estremamente variabile di cosa si intende per atto persecutorio, vi era una umiliante decisione di ammissibilità soggettivizzata. Dopo l’onta e le esclusioni da ogni ambito della vita dovuta alle leggi razziste, dopo la persecuzione fisica e la deportazione, gli ebrei dovevano ancora dimostrare la ‘corretta’ applicazione di tale persecuzione nei loro riguardi, e questo dopo la formale abolizione delle leggi antiebraiche, dopo la Costituzione del 1947. Con la nuova disposizione si chiarisce che gli atti di violenza o le sevizie subite in Italia o all’estero si presumono fino a prova contraria”.

Accade dunque che solo dal 2021 un ebreo possa finalmente dire in Italia di essere stato perseguitato senza dover essere costretto ad addurre una prova o un testimone. Dall’avvio delle persecuzioni razziali sono passati più di 80 anni.

I Polacchi, gl’Italiani, tanti altri popoli europei continuano a credere di aver avuto una limitata responsabilità nella distruzione delle comunità ebraiche, e più in generale nelle persecuzioni delle leggi razziste. Il popolo italiano si è sempre ritenuto un popolo di ‘brava gente’, quindi gli ebrei italiani non possono che aver sofferto poco l’antisemitismo. Dimenticando che, solo in Italia, novemila ebrei italiani, il 15-20 per cento della comunità ebraica, sono stati deportati nei campi di concentramento.

In Italia, perseguitati, umiliati, privati dei diritti, gli ebrei italiani furono perseguitati dal regime fascista anche economicamente: i loro beni furono rubati, saccheggiati, confiscati, sequestrati. Ed è su questo aspetto che si scrive un’altra delle pagine buie della storia d’Italia.

Lo sottolineava, tra gli altri, il prof. Guido Alpa in una Relazione tenuta nel 2019 in occasione dell’ottantesimo anniversario delle leggi razziali, al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Torino. “La persecuzione degli Ebrei in Italia - rilevava - […] prosegue senza ritegno e nell’indifferenza generale quando si pone il problema delle restituzioni, restituzioni intese in senso lato, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro e nelle funzioni nella pubblica Amministrazione, nella Magistratura, nella scuola e nell’ Università, la ripresa dell’attività economica negli esercizi commerciali, nelle professioni, nelle imprese, la restituzione delle proprietà, in particolare dell’abitazione, degli arredi, dei beni di pregio, dei depositi bancari, del prodotti finanziari e assicurativi”.

Nel 2001, cioè a circa sessant’anni dalla Liberazione d’Italia e dopo tre anni di lavoro, la Commissione Anselmi (istituita nel 1998 con il compito di “ricostruire le vicende che hanno caratterizzato in Italia le attività di acquisizione dei beni di cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati”) riuscì a quantificare, solo in linea approssimativa, il valore dei beni che ‘in nome della legge’ erano stati sottratti: case e terreni, conti bancari, titoli azionari, gioielli, opere d'arte e di antiquariato, ma anche comuni oggetti del vivere quotidiano come spazzolini da denti, barattoli di marmellata, posateria e pentolame. La Commissione era riuscita a rintracciare almeno 8.000 decreti di confisca che descrivono una ruberia operata dallo Stato dalle dimensioni impressionanti: il valore degli immobili requisiti (e trasferiti all'Ente Gestione e Liquidazione Immobili-EGELI) nel 1939 fu di oltre 55 milioni di lire dell'epoca (oltre 40 miliardi di euro ai valori attuali). E poi sequestri di depositi bancari e contanti per 75 milioni di lire dell'epoca (50 miliardi di oggi); di titoli di stato per 36 milioni; di azioni per 730 milioni; di terreni e fabbricati per il valore di 1 miliardo di lire all’epoca; oltre a furti e saccheggi che – scrive la commissione – “non sono quantificabili, ma sicuramente di dimensioni vaste, poiché praticamente tutti gli ebrei furono costretti ad abbandonare le loro case”.

Già l’anno scorso dedicammo a questo tema il ‘Giorno della Memoria’ della rivista “Sudcritica” (https://www.sudcritica.it/politica/956-litalia-e-gli-ebrei-un-paese-sempre-in-buona-fede), pubblicando un ampio capitolo del volume di Nicola Magrone dal titolo Codice breve del Razzismo Fascista - La “questione razziale, pubblicato dalle edizioni dall’interno-Sudcritica nel 2004. Il capitolo s’intitola “Il ‘Terzo in buona fede’ e le riparazioni” e si articola così:

- 1. La “reintegrazione nei diritti civili e politici dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati di razza ebraica o considerati di razza ebraica’. Le origini di una storia infinita.

-  2. La “reintegrazione dei diritti patrimoniali dei cittadini italiani e stranieri già dichiarati o considerati di razza ebraica”.

-  3. L’interminabile processo di reintegrazione dei perseguitati razziali.

-  4. La riparazione nelle aule di giustizia.

Oltre alle questioni già poste, sottolineiamo altri due punti che Magrone rileva nel suo saggio. Uno è il seguente: in tanti e tanti anni è mancato: tutti “terzi in buona fede” gli italiani ariani che, estranei e distratti, occuparono però le case e le aziende degli ebrei? Manca una ricognizione non delle “spoliazioni” ma degli arricchimenti. L’altro riguarda la storia della giurisprudenza che riflette il ruolo della magistratura sotto il Fascismo. Anche sulla questione delle restituzioni, infatti, l’ampia giurisprudenza che ne è scaturita si è risolta, nella maggioranza dei casi, in danno dei perseguitati. Alpa, al riguardo, rilevava: “In altri termini, siamo in presenza del diritto, come legittimazione del male, nella prima fase, e del diritto come legittimazione dell’umiliazione, nella seconda fase”.

Per l’analisi dedicata a questi problemi, pubblichiamo dal Codice breve “La Nota editoriale” di Mino Magrone, presidente di ‘Italia Giusta secondo la Costituzione’ che ci ha lasciato pochi mesi fa. Pubblichiamo anche la Premessa di Nicola Magrone, il quale ricorda Helmut Kohl, cancelliere della Germania per 16 anni, che “si lasciò andare alla pubblica consolazione della grazia per la nascita tardiva, quella che ci risparmiò la prova estrema del nostro agire al cospetto della tragedia nazista (come a dire, se ci fossimo stati non è detto che non ci saremmo trovati di qua dal forno crematorio a infornare infedeli)”. Dai due testi emerge che sta tuttavia, al fondo delle questioni riguardanti le “restituzioni” e le reintegrazioni, un problema di non poco rilievo: “sviscerare la questione tragica e attualissima della responsabilità individuale rispetto a ciò che ha reso possibile il mostruoso” riguarda il presente e il futuro. Riguarda i singoli ma anche i popoli. [c.z.]

 

Dal volume Codice Breve del Razzismo Fascista, di Nicola Magrone:

 

Nota editoriale

 Questa tempesta

 di Mino Magrone

 L’ironia della vita è che questa viene vissuta in avanti, ma è compresa all’indietro.

Soren Kieerkegaard

Pubblicare le leggi razziali italiane del 1938, di quell’infausto e mostruoso periodo della storia del nostro paese, rafforzare la corta memoria di ogni sorta di credenti nelle taumaturgiche capacità del procedere rettilineo del progresso verso approdi di pace e piena democrazia non può non significare il tentativo di tracciare la storia di un’azione pedagogica, civile e democratica ma anche del suo fallimento.

L’Angelus Novus del quadro di Klee ha la bocca aperta, lo sguardo spaventato; fissa qualcosa da cui è in procinto di fuggire.ANGELUS NOVUS

L’angelo della storia deve avere la stessa angoscia, lo stesso sgomento; dai suoi occhi spalancati sporge l’immagine del mostruoso.

Walter Benjamin cosí se lo immagina: “Ha il viso rivolto al passato e dove appare una catena di eventi egli vede una sola catastrofe che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso…. ed è cosí forte che egli non può chiudere le sue ali. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso, è questa tempesta”.

Il ricordo e la memoria del mostruoso, l’azione pedagogica non possono non essere coscienti dell’impossibilità della possibilità del loro successo.

Il futuro infatti “è questa tempesta”.

Per molti, chiedersi perché il futuro è questa tempesta può significare motivo di scoraggiamento e, forse, criterio di analisi deprimente.

Si tratta di capire però che guardare in faccia la tempesta in cui inconsapevolmente viviamo significa uscire rafforzati dalla nostra antiquata e, tutto sommato, rasserenante psicologia del divenire; significa disvelare l’essenza piú subdola nascosta nel cosiddetto “dislivello prometeico” tra la nostra povera capacità di immagi­nazione e le reali e smisurate potenzialità di asservimento e di distruzione della tempesta. Insomma, prendere coscienza della grande difficoltà di desituarsi rispetto alla situazione data può consentire non di non essere piú “nichilisti in azione” e, in fondo, tutti inconsapevoli “figli di Eichmann”, ma di sapere che lo siamo e che agiamo non sapendolo.

Sicché, guardiamola in faccia questa nostra realtà presente e senza disdegnare uno sguardo sul prossimo futuro. La guarderemo, per ovvie ragioni di sintesi e di spazio, molto sommariamente, forse anche confusamente, ma con la speranza di pervenire alla conclu­sione di non essere psicologicamente forzati ad esprimere un giudizio troppo presuntuoso sul passato. Infatti, sta proprio nell’evitare di sviscerare la questione tragica e attualissima della responsabilità individuale rispetto a ciò che ha reso possibile il mostruoso che si annida la persuasione e l’illusione che il cosiddetto “problema Eichmann” sia una faccenda di ieri. In effetti esso non appartiene soltanto al passato, riguarda invece il presente ed il futuro ed in ciò sta il pregio di questa iniziativa editoriale.

NAZISMOUn’avvertenza è ineludibile: molte delle notizie strabilianti che appaiono continuamente sulla stampa e in televisione dicono dell’irresistibile progresso della biologia e della biotecnologia. In larga parte si tratta di genetica mercantile: tali notizie servono ad attrarre capitali e finanziamenti e a sostenere e gonfiare bolle speculative borsistiche. Tuttavia, si tratta anche in questo caso di un asservimento mostruoso della opinione pubblica in stile e spirito perversamente hitleriani. E’ sufficiente conoscere l’essen­ziale della storia per capire che lo stile hitleriano ha preceduto lo stesso Hitler, come è dato di sapere, per esempio, per la frenologia in auge all’inizio del secolo XIX o per l’eugenismo poi screditato dai campi di concentramento ed infine riabilitato dalla biologia moderna sotto forma di richiesta e di bisogno, quasi una forzata domanda di mercato, del “bambino perfetto”.

Ma non tutto è mercantile, frammisto al rastrellamento di finan­ziamenti oscuri c’è anche il progetto di controllo sociale che va realizzandosi sotto i nostri occhi.

ILa visione molecolare della vita (Oxford University Press, 1993) è riportato il rapporto del consiglio di amministrazione della Rockefeller Foundation che dice: “Possiamo sviluppare una genetica abbastanza valida e approfondita per generare in futuro uomini superiori? Possiamo saperne abbastanza sulla fisiologia e sulla psicologia della sessualità perché l’uomo sia in grado di sottoporre questo aspetto onnipresente, essenziale e pericoloso della vita a un controllo razionale? […] Può l’uomo acquisire una conoscenza sufficiente dei propri processi vitali tale che ci consenta di razionalizzare il comportamento umano?”

Qui, a parte ogni considerazione sul drenaggio di capitali, va detto che nessuno è in grado di ammettere o di escludere che la ricerca biologica e biotecnologica non comprenda la creazione del “bambino perfetto” e del cittadino in azione completamente funzionali ad una sorta di totalitarismo tecnologico e politico. In questo caso non sarebbero piú necessari i campi di concen­tramento; tutto il pianeta, subendo una metamorfosi straordi­naria, ma non per questo impossibile, sarebbe un felice gulag.

Non in meno ma qualche preoccupazione in piú dà la biologia in campo agricolo e nell’allevamento degli animali. In questo caso la libertà di ricerca e di applicazioni tecnologiche è quasi totale trattandosi di viventi “senza anima”. Gli organismi geneticamente modificati e le clonazioni sono fatti della cronaca quoti­diana. E’ il maestoso prologo all’opera completa!

Esiste, tuttavia, la tecnologia di potenza per mettere in scena il finale drammatico dell’opera. La fisica nucleare e delle particellefat man subatomiche ha prodotto, tra l’altro, lo bombe atomiche e le bombe H.

La bomba atomica è stata già usata sul Giappone nel 1945 con effetti disastrosi che ancora oggi patiscono esseri umani non chiusi in campo di concentramento ed ivi mandati a morire ma liberi nelle loro popolose città e attenti ai loro impegni quotidiani. Se pensiamo che dal 1945 ad oggi questa tecnologia di potenza e di morte ha accresciuto enormemente le sue potenzialità distruttive, allora possiamo capire perché con l’avvento dell’era atomica siamo giunti all’ultima era: tutto ciò che avviene nel mondo, anche di sorprendentemente grande, avviene sotto il dominio dell’era atomica e della sua capacità di far cessare la vita. La nostra psicologia pre-atomica deve fare un salto formi­dabile per pecepire che dal vaso di Pandora, ormai infranto, è uscita una mostruosità invisibile che dà la morte a tutti. Di chi è la responsabilità? Di pochi? Di nessuno? Forse è della situazione nella quale lavoriamo, ricerchiamo, studiamo, applichiamo. Forse piú che agire “siamo agiti” da una sorta di determinismo e funzio­na­lismo che accresce sempre di piú il dualismo, la separatezza tra ciò che siamo realmente e, spesso, inconsapevolmente e l’im­magine o l’idea, ormai retorica, della libertà della nostra coscienza morale in esodo verso il luogo iperuranico del suo an­nien­tamento e dell’ esilio; e del rovesciamento e della inversione dei mezzi in fini per cui ciascuno deve fare quel che fa senza conoscere le conca­tenazioni separate e invisibili del fare di ciascun altro. Sicché il risultato finale realizza la volontà di scopo del mezzo dal quale dipendiamo come fonte insostituibile di vita ma anche di morte e rispetto al quale non abbiamo piú fini essendo vincente la volontà di scopo del mezzo.

Nel contesto delle responsabilità, la memoria corre verso la misteriosa scomparsa di Ettore Majorana del quale Enrico Fermi scrisse: “Ma poi ci sono i geni, come Galileo e Newton. Ebbene Ettore Majorana era uno di quelli”.

Si suicidò o scomparve volutamente seguendo l’indicazione perentoria del suo senso di responsabilità individuale?

Forse ora è tempo di smettere di percorrere la nostra gal­leria delle angosce; ci sarebbe molto altro da vedere: il libro che pubblichiamo è un forte e potente invito a pensare il passato che non è come noi avremmo voluto che fosse e a disoccultare le insidie del presente che è molto piú preoccupante di quanto non appaia. Ma ci basta ricordare a questo punto il volto dell’Angelus Novus, il suo fuggire da qualcosa di orrendo e il suo precipitare nel vortice della tempesta del divenire.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe avanzare il diritto di fare una domanda: “ma che cosa debbo fare?” Intanto, nei limiti del possibile,320px-Corriere testata 1938 della possibilità cioè della prevedibilità, anche incerta, degli effetti nocivi delle proprie azioni, praticare real­mente il principio di responsabilità individuale; poi, essendo certo che ciò è terribilmente insufficiente e di problematica attuazione, nella tempesta che spira dal paradiso conservare e vivificare la speranza attiva che la potenza dei mezzi e la loro vincente volontà di scopo ci lascino almeno un pallido residuo di diritto a pensare e criticare non tanto che cosa fare quanto che cosa non fare. Ventisette piloti israeliani si sono rifiutati di bombardare i palestinesi: è un esempio grandioso, una potente eccezione, un disordine riordinante. L’hybris, la violenza e la tracotanza, in ogni luogo può subire una sconfitta per quanto piccola.

 

 Le ragioni e le intenzioni

di Nicola Magrone

Questo libro non nasce dall’improvviso impazzimento di un giudice attratto dalla tentazione di farsi storico. Se così fosse, si tratterebbe di un pessimo servizio al mestiere del giudice e a quello dello storico.

leggi razziali la stampaEsso nasce, invece, tutto dentro al sistema culturale e professionale di chi pratica il diritto; non a caso, il tema della ricerca è quello delle “leggi razziali” del fascismo, dell’ordinamento giuridico che le rese possibili e delle ragioni che, a loro volta, quell’ordinamento resero possibile. Cose tanto risapute quanto ignorate.

[...]

Le “leggi razziali” del fascismo, in particolare, hanno goduto di un “trattamento” particolarmente benevolo: quello che si dà ad una cosa straordinariamente eccezionale, anomala, imprevedibile, imprevista, e nemmeno voluta. Detto questo, il caso è chiuso. E dunque, non conterebbe nulla tutto il resto, una mostruosità potendoci toccare in sorte sotto tutti i regimi e ad ogni latitudine; un mostro è un mostro. E nemmeno conterebbe nulla l’affanno di chi si ostinasse a collocare sentinelle armate di tutto punto ai confini dell’abitato: la mostruosità non viene da dentro ai confini, viene da fuori, non si sa da dove, non si sa perché; se viene, non si fa annunciare, un fulmine, un tuono, una calamità.

Da questo punto di vista, si spiega perché appaiono sempre più “fuori gioco e fuori tempo” quanti, oggi, si ostinano a dislocarecampi concentramento-2 sentinelle a difesa della nostra Carta costituzionale: della quale - sembra di capire - si pensa che non sia uno strumento capace di impedire l’imprevisto se non il fatale ripiegarsi della società nel desiderio di comandi semplificati. Tanto vale - sembra di capire che si pensi sempre più diffusamente - esorcizzare il pericoloso ripetersi della storia attrezzandoci a “riviverlo” amichevolmente e a “governarlo” per finirne governati. Joseph Roth1 ha detto questa preoccupazione, che sta tra le ragioni di questo libro, così: “E’ inimmaginabile quante ingiurie in una volta sola può sopportare un essere umano che è già stato oltraggiato”.

Queste - ed altre nemmeno nitidamente percepite se non come bisogno indistinto e a volte confuso di fare qualche conto con quel che fummo e quello che siamo - sono le ragioni che più visibilmente sostengono le intenzioni di questo libro. Tra le quali ultime non c’è, deliberatamente è stata esclusa, quella che viene retoricamente e ad ogni pie’ sospinto evocata con l’abusato monito del “dovere della memoria”: si dice: “per non dimenticare”. Donde, il rituale del rito dovuto, della commemorazione occasionale, della cerimonia evocativa per anniversari. Accade per le calamità naturali, per gli assassini che hanno fatto la storia, per le cose terribili e però consumate, archiviate, vinte.

Quando Helmut Kohl si lasciò andare alla pubblica consolazione della grazia per la nascita tardiva, quella che ci risparmiò la prova estrema del nostro agire al cospetto della tragedia nazista (come a dire, se ci fossimo stati non è detto che non ci saremmo trovati di qua dal forno crematorio a infornare infedeli), lo videro immediatamente in odore di qualunquismo opportunista: e sbagliarono. Perché di qua dal forno ogni giorno ancora ci spingono tentazioni e lusinghe. Toccò di peggio a jenningerPhilip Jenninger nel suo discorso al Parlamento tedesco il 10 novembre 1988, quando evocò la colpa collettiva del Genocidio2. In una parola, fu fatto dimettere, perché il nazismo è il nazismo, non c’entra il popolo tedesco, noi ancor meno. Figuriamoci il popolo italiano e il fascismo, terzo in buona fede (come diranno poi le “leggi riparatrici” dell’Italia repubblicana) il primo, approssimazione grossolana, sguaiata e sostanzialmente bonaria il secondo (incline a far suo l’insegnamento di Callisto II perché non si facesse del male inutile all’ebreo qui nichel macchinari presumpserit in subversionem fidei christianae, che non facesse insomma l’ebreo o, secoli dopo, l’antifascista). 3

E allora, “per non dimenticare” che cosa esattamente? Un pezzo di storia concluso e senza esiti? Un dato d’archivio?

Naturalmente, una cosa sono le intenzioni del libro, altra il risultato raggiunto: dove quest’ultimo apparirà manifestamenteleggi razziali2 gracile, un suggerimento veramente leale s’impone: si vada alle “leggi” dello Stato autoritario e del razzismo fascista e poi delle “benevoli riparazioni”: un cammino francamente ossessionante, scandito da articoli, commi, paragrafi, decreti, regolamenti, circolari. Nulla fu tralasciato perché si smarrisse - prima - la percezione stessa dell’“oggetto” di tanta “legislazione”: persone; e perché non si disturbasse più di tanto - dopo - un popolo “in buona fede”: noi.

1 Joseph Roth, Ebrei erranti, Milano, Adelphi, 2000, pagina 127.

2 Mario Pirani, Il fascino del nazismo, Bologna, il Mulino, 1989.

Callisto II, Bolla Sicut Judaeis, 1120.

 

.

 

Ultimo aggiornamento Giovedì 27 Gennaio 2022 17:42
 
Condividi