=28 OTTOBRE. IL FASCISMO SECONDO SILONE= Stampa
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Scritto da Redazione   
Sabato 27 Ottobre 2012 21:02

SILONE_TESTO

 

28 ottobre 1922.

 

A chi servì

 

la “marcia su Roma” 

 

 

Riproponiamo, oggi, tre paragrafi del libro IL FASCISMO di Ignazio Silone (Der Fascismus, Zurigo 1934) nella traduzione italiana pubblicata nel n. 105/106 del 1991 della rivista SUDCRITICA.

Sono tre paragrafi: Il Fascismo contro gli operai, il Fascismo contro i contadini, il Fascismo al servizio delle banche.

Bastano e avanzano per aiutarci a riappropriarci di uno scampolo di memoria. Per oggi.

[Il complesso apparato di note e di riferimenti bibliografici è qui omesso]

 

 

 

 

Il Fascismo contro gli operai

Il compito politico di fondo del governo fascista nei confronti degli operai stava nel mettercela tutta per disorganizzarli, polverizzarli, farli sparire, annegarli nella massa amorfa della popolazione. Per arrivare a questo era indispensabile prima distruggere e annientare le loro organizzazioni di classe. Poi bisognava assassinare i loro capi, terrorizzare i sopravvissuti e bandirli dalle città e dai paesi dove già soltanto la loro presenza fisica rappresentava un principio di organizzazione. Sarebbe tuttavia sbagliato pensare che si siano trattati così solo i grandi leader del movimento operaio. No, si agì così in primo luogo con i dirigenti che erano fisicamente legati alla classe operaia, che con questa vivevano a contatto, con i componenti delle commissioni interne, con i componenti delle direzioni locali del sindacato, delle cooperative, dei circoli; si procedette così contro tutti, senza eccezioni, con i funzionari locali delle organizzazioni operaie, prima di tutto con i comunisti, con gli anarchici, con i massimalisti, poi anche con i riformisti, con i senza partito e persino con i cattolici! Circa 6000 di loro sono stati incarcerati, 2000 confinati, alcune migliaia - i più pacifici, i meno pericolosi - vivono esuli in città italiane dove nessuno li conosce, senza famiglia, senza patria, vengono registrati alla prefettura, alle 8 devono essere a casa, sono costretti a presentarsi ogni domenica mattina al commissariato di polizia e, per lasciare la città, hanno bisogno di un permesso speciale. Infine 10000 di loro, 10000 di questi piccoli funzionari locali della classe operaia sono emigrati in Francia, in Svizzera e in Belgio, 2000 o 3000 in Argentina, in Brasile e in Nordamerica, alcune centinaia hanno piantato le tende in Australia, in Congo, in Asia Minore e in Nordafrica. Non c'é un paese al mondo dove non si trovi oggi un frammento umano di quello che una volta era la potente organizzazione del proletariato italiano. Tutto questo ha compiuto il fascismo per decapitare questo proletariato, disorganizzarlo, polverizzarlo, trasformarlo in una massa indistinta perché si confondesse con il resto della popolazione.Sette settimane dopo la marcia su Roma il massacro di dodici operai di Torino da parte dei fascisti annunciò la nuova politica dello Stato italiano nei confronti della classe operaia.Il dirigente dell'organizzazione dei metallurgici, P. Ferrero, fu legato con i piedi ad un autocarro, trascinato per le strade di Torino e abbandonato morto ai bordi di un prato. Nella settimana seguente furono massacrati altri sette operai a Spezia.Nonostante il terrore fascista, accompagnato e rafforzato dall'attività legale del governo, alle organizzazioni politiche, sindacaliste e operaie riuscì immediatamente di ristabilire un contatto con le masse dei lavoratori. Tanto incapaci si erano mostrate nella lotta per la conquista dello Stato, quanto si rivelarono ferme ed eroiche nell'opposizione passiva all'urto violento della reazione. Il movimento operaio italiano non aveva generato alcun uomo di Stato rivoluzionario, ma aveva educato i lavoratori al martirio. E' incredibile ciò che gli operai socialisti e comunisti sopportarono sotto il dominio fascista per rimanere fedeli ai loro ideali. Subito dopo la marcia su Roma questa opposizione fu ulteriormente alimentata dall'aspettativa delle grosse difficoltà che la politica del nuovo governo avrebbe provocato (difficoltà esterne con Francia e Jugoslavia e difficoltà interne tra gli elementi peblei dei Fasci e l'alta borghesia). Ora tutto questo è lontano. Sono passati undici anni. Ma il lettore che vuole farsi un'immagine parlante delle previsioni degli antifascisti italiani del 1923 deve solo richiamare alla memoria le previsioni degli antifascisti tedeschi del 1933.Ma come risolse Mussolini i contrasti esistenti tra il suo programma demagogico del 1919 e i suoi obblighi nei confronti dell'alta borghesia dell'epoca della marcia su Roma? Vediamo anche questo.Il programma del fascismo prevedeva il controllo proletario della produzione, i minimi salariali, la giornata lavorativa di otto ore, la conduzione da parte degli operai delle aziende di Stato, ma niente di tutto questo si era realizzato. Si era realizzato il contrario.Una legge del 16 novembre 1922 dispose che tutti i salari degli operai di aziende di stato (ferrovie, tramvie, fabbriche d'armi, fabbriche di tabacco, etc.) venissero gravati con un'imposta media del 10 per cento. Così venne introdotta in Italia la tassa sul salario fino ad allora sconosciuta.Invece di realizzare il controllo proletario della produzione, il fascismo ha eliminato i consigli di fabbrica e si oppose alla nomina di fascisti fidati all'interno delle fabbriche, animato dal principio che all'autorità degli imprenditori debba essere portato il massimo rispetto.Al posto dei minimi salariali calcolati sulla base del costo della vita, il fascismo arrivato al potere ha affermato il principio opposto secondo il quale i salari non possono essere calcolati in base al costo della vita ma sono da concordare in base alla situazione industriale resa nota dagli imprenditori, cosa che ha avuto come conseguenza una riduzione dal 30 al 40 per cento dei già insufficienti salari del 1920. Per di più il fascismo arrivato alle leve del potere ha emanato provvedimenti talmente radicali contro la giornata lavorativa di otto ore fissata per legge che in pratica questa è stata facilmente eliminata.Il Fascismo contro i contadini

Il programma fascista del 1919 non conteneva determinazioni riguardanti una sola richiesta dei contadini poveri. Al contrario di ciò che è successo in Germania, i Fasci italiani erano costituiti da contadini ricchi, ma nel 1920 e nel 1921 le associazioni fasciste avevano approvato le leggi riguardanti l'autorizzazione all'occupazione della terra per ottenere l'adesione delle organizzazioni degli ex soldati che avevano occupato le terre. Tuttavia un decreto fascista dell'11 gennaio 1923 annullò il decreto Visocchi che aveva regolato le occupazioni terriere e dichiarò non valide le occupazioni fatte fino ad allora anche nel caso in cui erano state legalizzate dalle commissioni provinciali. Sulla base di questo decreto tutti i contadini poveri e gli ex combattenti, compresi numerosi soldati fascisti che si erano stabiliti sulle terre incolte dei grandi proprietari terrieri, furono di nuovo scacciati dalla loro terra. I danni materiali che ne derivarono ai contadini furono considerevoli poiché essi avevano occupato terra che non conoscevano e l'avevano coltivata in un primo tempo in perdita, nella certezza di poter disporre di un numero di anni fissati per legge per renderla più produttiva e per poterne ricavare in un prossimo futuro il profitto corrispondente. Al contrario il decreto fascista fece piovere dal cielo ai proprietari terrieri un profitto inatteso. Al posto di terra incolta hanno ricevuto di colpo campi fertili.Un decreto del 10 settembre 1923 annullò tutte le disposizioni che proibivano ai proprietari terrieri di scacciare i mezzadri e i piccoli contadini dalla terra senza il consenso di una commissione paritetica e ristabilì tutti i loro diritti di una volta.Nell'Italia centrale e meridionale, ma soprattutto entro il confine dell'ex Stato della chiesa, si trovano enormi appezzamenti di terreno che all'epoca del crollo del regime feudale erano stati costituiti dai possessori delle terre in “demani per un usufrutto collettivo”. I cosiddetti eredi degli ex signori feudali hanno sempre, ripetutamente, insistito nella restituzione di questi demani, ciascuno sostenuto da una qualsiasi vecchia scartoffia sulla quale era indicata l'incerta proprietà terriera come un dono fatto dal papa o da altri principi predoni ai loro antenati. Nella maggior parte dei casi, dopo noiose udienze della causa tra i pretendenti e la popolazione si arrivava a compromessi: i primi rimanevano proprietari “nominali” del terreno, mentre alla popolazione era concesso il diritto di farvi pascolare il bestiame, di abbattere alberi, di costruire case e di sfruttarlo in forma cooperativistica come terreno agricolo. In questo modo demani improduttivi e sterili venivano trasformati in terreni fertili; bastò solo questo per far aumentare l'avidità dei cosiddetti eredi dei signori feudali che in seguito mirarono a trasformare il loro diritto nominale in effettivo. Prima del fascismo numerosi governi italiani avevano cercato diverse volte di privare i contadini di diritti vecchi di secoli, ma avevano sempre, ogni volta, fallito per la violenta difesa dei contadini.Ciò che non era riuscito ai vecchi governi fu portato a termine dal fascismo. Una legge fascista dell'8 giugno 1924 decretò la soppressione di tutti i diritti del popolo sui demani dei signori feudali di un tempo e soddisfece in larga misura le richieste del barone e del marchese.Le stesse conseguenze produsse la dittatura fascista per la proprietà terriera della quale disponevano quasi tutti i comuni rurali. Questa terra serviva alla popolazione per soddisfare vari bisogni: procurava loro legna da ardere, carbone di legna, materiale da costruzione e pascoli per il bestiame. Nel centro e nel sud Italia facevano parte di questa terra anche i “tratturi”, quei terreni che una volta erano stati usati come vie per le greggi di pecore che, a seconda del periodo dell'anno, venivano trasferite dai monti in zone più calde, e viceversa. Nella maggior parte dei casi gli agrari, non appena diventavano signori delle comunità, si impossessavano dei boschi e dei pascoli comuni e se li dividevano tra loro. Enumerare qui tutte le sanguinose rivolte dei contadini italiani contro queste azioni di rapina, porterebbe troppo lontano. Tuttavia è accaduto molto spesso che nel dopoguerra, quando con le elezioni le amministrazioni comunali finivano nelle mani dei contadini i proprietari terrieri usurpatori erano costretti a restituire ai comuni la terra rubata. Ma dopo la marcia su Roma, dopo lo scioglimento con la violenza delle amministrazioni comunali contadine, dopo l'insediamento dei Podestà, i proprietari terrieri si impossessarono di nuovo del terreno comune in misura ancora maggiore. Dove nel 1922 c'erano ancora tragitti di tratturi di uso comune, questi scomparvero e divennero proprietà intoccabile degli agrari locali. Mussolini dichiarò che in queste cose non si poteva essere pedanti: solo la produzione nazionale era importante. Con la legge dell'11 febbraio 1923 tutti i contributi assicurativi, che prima erano a carico dei proprietari terrieri, furono interamente scaricati sulle spalle dei contadini poveri. Sovvenzioni in denaro per la perdita temporanea dell'idoneità al lavoro furono soppresse per tutti i contadini, i piccoli proprietari, i mezzadri, gli agricoltori e i loro familiari semplicemente per liberare gli agrari dal pagamento dei contributi. A causa di queste stesse riforme i contadini al di sopra dei 65 anni e i bambini al di sotto dei 12 anni furono privati dell'assicurazione, motivo per il quale si può rilevare che in Italia gli anziani e i bambini impiegati nel lavoro dei campi sono particolarmente numerosi.Una legge del 7 gennaio 1923 ordinò la revisione generale del catasto per stabilire i cambiamenti di valore dei fondi e per calcolare quindi le nuove aliquote d'imposta. Con questa revisione, fatta sotto il controllo dei grandi proprietari terrieri, ci fu una notevole riduzione delle imposte per la grande proprietà e un aumento della pressione fiscale per la piccola proprietà. I casi in cui un'enorme proprietà terriera era stata registrata con dimensioni incredibilmente piccole e con un valore incredibilmente basso sarebbero migliaia se ci fosse la possibilità di fare una statistica del genere sotto il regime fascista. Per il momento questi casi forniscono solo materiale per i commenti delle popolazioni locali.Il fascismo è arrivato al punto di fissare un differente principio fiscale per la stessa tassa a seconda che debba riscuoterla dai contadini o dagli agrari. Così un decreto del 4 gennaio 1923 fissava una tassa per il reddito agricolo: con questo decreto furono gravati con una tassa del 10 per cento i guadagni netti degli agrari, cioè i guadagni detratte le spese per i salari, mentre la stessa tassa nel caso dei piccoli proprietari terrieri, dei mezzadri e dei piccoli coltivatori venne calcolata sui guadagni lordi. Così accade spesso che un contadino povero versa al fisco per il suo guadagno agricolo una somma più alta dell'agrario. In effetti i salari linghiottono almeno il 50 per cento dei guadagni complessivi dei contadini poveri, che non dispongono di alcuna macchina. Poiché a loro è proibito detrarre queste spese dai gudagni lordi, pagano praticamente il doppio, come se fossero stati registrati come grandi proprietari terrieri.Dal momento che mezzadri, piccoli proprietari terrieri e agricoltori sono inoltre costretti a vendere o a scambiare una parte dei loro prodotti, il fascismo ha trovato logico accollargli anche la tassa di commercio e di vendita.

SILONE_STRISCIAIl Fascismo agli ordini delle banche

Il programma fascista conteneva anche la revisione di tutti i contratti di forniture di guerra. “Una nuova ricchezza si è formata durante la guerra” - scriveva Mussolini. Commercianti sull'orlo della bancarotta, avventurieri e ruffiani, giocatori di professione in bettole dove erano in gioco le forniture belliche, deputati, senatori, persone sospette si arricchiscono bellamente a margine della guerra. E' uno spettacolo vergognoso.Il governo che aveva preceduto quello fascista aveva incaricato una commissione nominata dal parlamento di sottoporre a revisione tutti i contratti di forniture belliche, di accertare i sovraprofitti illeciti e di ordinare la loro restituzione allo Stato. La commissione aveva già svolto un lavoro ragguardevole quando il governo fascista il 19 novembre 1929, tre settimane dopo la marcia su Roma, ordinò lo scioglimento della commissione, vietò tassativamente di rendere pubblici i risultati della sua attività e annullò tutte le sue deliberazioni, in base alla quali gli industriali sarebbero stati costretti a restituire allo Stato centinaia di milioni guadagnati con le forniture belliche. Così il fascismo ricompensò i grandi capitalisti che avevano finanziato la marcia su Roma.Il programma fascista conteneva anche “l'espropriazione progressiva della proprietà privata per mezzo dell' imposta di successione”. Una legge fascista del 20 agosto 1923 eliminò completamente l'imposta di successione che già esisteva e che aveva fruttato annualmente allo Stato 200 milioni fino al 1922 e prometteva di rendere 400 milioni negli anni seguenti. Grazie al fascismo l'Italia è attualmente l'unico paese capitalista che non conosce tasse di successione.Ma il fascismo è andato oltre. Con una legge del 10 novembre 1922 il governo fascista eliminò una norma sui valori industriali e bancari che obbligava alla registrazione le risorse finanziarie delle industrie e delle banche e che aveva offerto allo Stato un appiglio per tassare le reali proprietà di ogni capitalista. Il governo fascista eliminò così anche la tassazione del 10 per cento dei capitali investiti nelle banche e nelle imprese industriali. Nello stesso tempo il fascismo aumentò i dazi sui cereali in favore degli agrari dell'Italia settentrionale e centrale, eliminò il monopolio di Stato per le assicurazioni sulla vita in favore dei banchieri, esentò l'importazione di capitale straniero da ogni contributo, ridusse del 50 per cento le tasse pagate dagli amministratori e direttori di società per azioni, eliminò le tasse per gli articoli di lusso e aumentò le tariffe dei servizi pubblici. Sottolineiamo che la maggior parte di queste misure sono state decretate immediatamente dopo la marcia su Roma, in un periodo di tempo insufficiente persino alla loro elaborazione burocratica. Ma il fascismo non ebbe di che preoccuparsi, perché a questo lavoro si sottoposero - durante la marcia su Roma - i consigli di amministrazione delle grandi banche.Il compito di Mussolini stette semplicemente nel sottoscrivere le decisioni prese. Un tale assoluto e completo allontanamento dei capi fascisti dal loro programma, come è  accaduto dopo la marcia su Roma, si ha soltanto nella storia dei colpi di Stato.Nessuno può sostenere ragionevolmente che il passaggio al capitalismo del fascismo giunto al potere sia stato il risultato di un lento e graduale processo di trasformazione; è stata semmai l'inevitabile metamorfosi di un movimento piccolo-borghese che ha ottenuto un peso enorme mediante il potere di Stato. Il fascismo non ha mai fatto neppure l'ombra di un tentativo per realizzare il programma fascista del quale abbiamo parlato, quel programma la cui realizzazione aveva animato la maggior parte dei fascisti fino alla marcia su Roma. L'unica e sola spiegazione possibile dei fatti che si sono svolti subito dopo la marcia su Roma l'abbiamo già data: in tutte le fasi del suo sviluppo la struttura sociale piccolo-borghese stabilisce le forme dell'azione fascista; ma in ogni fase di sviluppo - e questo sempre, subito dopo l'evacuazione di Fiume, subito dopo il patto di pacificazione e dalla primavera del 1922 - la forza che alla fin fine e incessantemente dette contenuto e direzione all'azione dei capi fascisti stata l'alta borghesia.Mussolini, nel momento in cui accendeva l'entusiasmo del suo seguito di vagabondi, dei contadini e bottegai, dei disoccupati entrati a far parte dei Fasci con discorsi nei quali chiedeva l'espropriazione delle ricchezze, la democrazia economica e la Repubblica, mercanteggiava con i proprietari terrieri, con gli industriali e con i banchieri la promessa di eliminare le misere concessioni che erano state fatte alle masse dal governo democratico subito dopo l'armistizio.II Tutte le misure fiscali dei governi precedenti, che il fascismo soppresse perché demagogiche, erano già state criticate da Mussolini come tardive e insufficienti. Vogliamo qui ricordare soprattutto un articolo di Mussolini pubblicato il 20 aprile 1920 in cui egli si occupa della politica tributaria di Nitti. E già passato un anno da quando i Fasci, un'organizzazione che tutti gli stupidi considerano reazionaria, hanno fondato il loro sistema finanziario sui seguenti postulati: 1. confisca dei sovraprofitti della guerra 2. una tassa onerosa sulle successioni, 3. espropriazione parziale di capitali con una tassa fortemente progressiva. Tredici mesi dopo il governo italiano ha intrapreso il cammino da noi indicato. Il primo errore che il governo ha commesso sta nel fatto che, come al solito, è arrivato troppo tardi. Senza dubbio sarebbe stato impossibile ai socialisti antinazionali compiere le loro speculazioni demagogiche, se queste misure fossero state annunciate e attuate subito dopo l'armistizio. L'intervento ministeriale è stato compromesso dal ritardo. Nonostante ciò, bisogna ammettere che le misure governative sono radicali e draconiane. In Germania, in Austria, in Cecoslovacchia non è stato fatto di più; lo stesso Avanti (l'organo socialista) si limita a deplorare il fatto che non c'è stato un decreto per la nominatività dei titoli,  ma reputa allo stesso tempo necessario riconoscere che la borghesia italiana accetta i sacrifici inevitabili a lei imposti”. .

Ultimo aggiornamento Mercoledì 02 Novembre 2022 10:04
 
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