=RENATA FONTE, MODUGNO PARLA DI MAFIA EDILIZIA= Stampa
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Scritto da Redazione   
Martedì 29 Ottobre 2013 19:05

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Non è la mafia degli omicidi che occorre ricercare, ma è alla mafiosità serpeggiante nella quotidianità che occorre essere attenti, quando si scambia un privilegio con un diritto, nel gesto di girarsi dall'altra parte e pensare che tanto c'è qualcuno che ci penserà”.  Ne ha parlato a Modugno Sabrina Matrangola,figlia di Renata Fonte, assassinata a Nardò nel 1984, per la sua strenua difesa di Porto Selvaggio contro lottizzazioni e scempio paesaggistico

 

 

di  Francesca Di Ciaula

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La storia di Renata Fonte e del suo assassinio raccontato ai ragazzi in una scuola. Il ricordo di lei e del suo impegno civile e politico è ancora denuncia della presenza di una mafia invisibile e strisciante nel consorzio sociale.

Non la mafia delle più note organizzazioni criminali, bensì la subdola, strisciante eterna storia di connivenze politico-affaristiche e la voglia di metter le mani sul paese, il suo territorio e le bellezze naturali. Il paese di Nardò e Porto Selvaggio, quel parco, che l'allora assessore Renata Fonte si impegnò a sottrarre a lottizzazione e scempio paesaggistico. “Tutti insieme si può mettere in minoranza la mafia, contribuire a fermare la cultura dell'illegalità con il noi, piuttosto che con l'io”, le parole di Sabrina Matrangola, figlia di Renata Fonte, nella sua testimonianza a Modugno con gli autori del libro Nostra madre Renata Fonte, Ilaria Fieramosca e Gianmarco De Francisco, e col sindaco di Modugno, Nicola Magrone.

L'incontro si è tenuto nella scuola media statale Dante Alighieri. Sono intervenuti Ketty Mangialardi, presidente Fidapa di Modugno, Fiammetta Perrone, segretaria Fidapa del distretto SudEst, Sara Giannetto, dirigente scolastico della scuola Dante Alighieri.

L'assassinio di Renata Fonte è stato il primo omicidio di mafia in Salento con vittima un politico donna.renatafonte_libro

Renata Fonte era una donna scomoda per coloro che dell'intreccio tra cariche pubbliche e affari personalissimi avevano fatto una ragione di vita. Da assessore si era opposta ad una modifica al piano regolatore che avrebbe permesso una speculazione edilizia nella zona di un'area protetta, Porto Selvaggio. Gli assassini e il loro mandante sono ormai passati attraverso i tre gradi di giudizio, eppure sembra che la storia di Renata Fonte non sia stata mai raccontata fino in fondo nei processi, dove un mandante a più alti livelli non è stato mai individuato.

Era il 1984 quando l'assessore alla pubblica istruzione del Comune di Nardò fu freddata con tre colpi all'uscita da un consiglio comunale. Il nome di Renata Fonte è nella lista di donne ammazzate per mafia, donne che hanno osato opporsi con indipendenti idee e decisioni di vita a gruppi di potere e affari criminosi. Il delitto in una cittadina del sud Italia all'epoca non ebbe grande risonanza. Come accade alle vittime di mafia anche su questa donna passò il triste tentativo di gettarvi del fango con riferimenti a vicende personali di pura invenzione. E nemmeno la relazione tra la speculazione su Porto Selvaggio e l'attività dell'assessore fu ritenuta un movente valido. Tutti, sindaco compreso, si affannarono a negare. La verità iniziò a venire a galla più tardi grazie ad una testimonianza e pian piano si scoprì il movente, lo squallido progetto di cementificazione che avrebbe deturpato un parco naturale.

renatafonte_incontroLa memoria di Renata Fonte, la sua morte e un paese come tanti, che come tanti ha difficoltà nel rendere giustizia alla memoria di una vittima della mafia, una donna per giunta. Legare il suo assassinio alla mafiosità locale, ai loschi affari di personaggi politicanti locali, fa parte ancora di un percorso difficile. Renata Fonte, una figura di donna non certamente comune trent'anni fa in un paese del sud Italia, una carica pubblica e un impegno forte, idee chiare, una persona scomoda. Ancor più scomodo dopo la sua morte, fu dare appellativo di mafioso ai mandanti. Oggi e da qualche tempo il nome e la figura di questa donna coraggiosa, incapace di sottostare a consuetudini sociali e poteri, libera nella sua autonomia di pensiero e azione, può meglio essere raccontata, oggi che il fenomeno della mafia viene più spesso intercettato dai media nazionali. Eppure la mafia è sempre meno fenomeno riconoscibile, è fenomeno meno visibile di ieri. Arruola professionisti, manager e colletti bianchi, acquista negozi e esercizi commerciali lussuosi nelle grandi città, realizza compravendite in paesi di altri continenti.

Quella che invece decretò la morte di Renata Fonte fu una mafia più di piccolo calibro, meno raffinata. La mafia che uccise Renata Fonte – ha spiegato il sindaco Nicola Magrone ex magistrato e procuratore della Repubblica, sollecitato dalle domande dei ragazzi - è una mafia più antica, quella capace di abbandonarsi ad un gesto così terribile e agire in maniera così evidente, così diversa dalla mafia di oggi molto più organizzata. Eppure rimane la domanda. Quella che i ragazzi di tredici anni in una scuola hanno posto anche a Sabrina Matrangola, figlia di Renata Fonte: “Da cosa si riconosce la mafia?”

“Non è la mafia degli omicidi che occorre ricercare, ma alla mafiosità serpeggiante nella quotidianità che occorre essere attenti, quando si scambia un privilegio con un diritto, nel gesto di girarsi dall'altra parte e pensare che tanto c'è qualcuno che ci penserà”. Queste le parole di Sabrina Matrangola, all'interno del racconto della sua storia e della sua fatica di crescere, il tentativo continuo di trasformare il dolore in impegno di testimonianza, “lavoro di rimozione e rincorsa al recupero dell'immagine di lei, gli affetti e il suo impegno civile”. È una storia che molto ha in comune con altre vittime di mafia e soprusi della nostra civile società, racconto della fatica quotidiana a mantener vivo il ricordo di una violenza subita, affinché il sacrificio dei propri cari non sia stato vano. Ad ascoltare le parole di questa donna e i suoi ricordi, all'improvviso ti rendevi conto che i registri cambiavano e gli stessi filtri  fin a quel momento nell'ascolto degli altri interventi andavano immediatamente sostituiti con quelli dell'empatia. Il destino di una vittima di mafia e il dolore per una sottrazione violenta, per la quale  chiedere al gruppo sociale di riferimento ancora giustizia, giusto nome ad un sacrificio di vita. Ad ascoltare Sabrina Matrangola non potevi fare a meno di pensare all'instancabile cammino di questo suo racconto, perché un giusto riconoscimento sia ancora reso. Riconoscere, dar nome, vale a dire identificare i mandanti di un assassinio come mafiosi. Percorso lento e difficoltoso con il cuore segnato, la propria vita segnata.

Sabrina Matrangola è un'insegnante come lo era sua madre. La scuola, il luogo per coltivare le idee di donne e uominirenatafonte giusti e coraggiosi, un luogo per gettare il seme della legalità. “Quali sono i segnali che possono aiutare il cittadino a riconoscere la mafia? Quali i reati di mafia, quelli in cui si è imbattuti nella sua carriera? ” Le domande dei ragazzi semplici e chiare.

“La mafia è invisibile, difficile tante volte identificarla. Eppure segnale inequivocabile – ha continuato il sindaco Nicola Magrone – è il voto di scambio, il comportamento ben riconoscibile di chi ha la pretesa di dare qualcosa in cambio del nostro voto. Quello è un crimine che segna le vite dei giovani, le loro attese, aspettative errate nella mercificazione dei loro diritti. Sono piccole e fondamentali cose, non basta il ruolo della magistratura, che è sempre uno strumento. Ciò che serve è l'autonomia di pensiero e giudizio, la consapevole capacità di rendersi insubordinati rispetto all'umiliante pratica del mercato dei voti, che avvilisce i giovani e i cittadini, poichè non si rendono conto che in questo modo annientano i loro diritti e forniscono terreno alla crescita del seme della mafiosità, all'untuoso gesto del me la vedo io.

Il voto di scambio, evidente gesto mafioso riconoscibile tra noi. Pensare ai diversi volti della mafia, cercare di identificarli accanto a noi nel presente. Questo ha fatto Renata Fonte; da persona libera si è contrapposta ad una facile consuetudine, quella che alligna nei tanti nostri paesi, quella che riconosciamo ma è solo oggetto di mormorio, del vociferare, del si dice. E in questo brodo culturale della mafiosità continuano indisturbati a riproporsi gesti di impronta mafiosa, l'illegalità riconosciuta e accettata nell'esistente come un dato incontrovertibile, di per sé oggetto di lasciapassare. Questo terreno di cultura mafiosa che tanto ci è comune, che è comune a tanti paesi (sono circa venti i Comuni che ogni anno vengono sciolti per mafia, ventiquattro solo nel 2012), è l'illegalità che schernisce regole e norme legislative, la cultura dell'affare personale e dell'abuso di potere di chi occupa cariche pubbliche, quella che si nutre del disprezzo del bene comune e dei cittadini.

Legalità, una parola desueta, forse banalmente ovvia, tanto da sembrare superflua in un progetto di amministrazione di un paese. Renata Fonte invece questo pensava: che il rispetto di quella legalità quotidianamente calpestata, abito del non guardare, lasciar passare illeciti e prevaricazioni, fosse invece l'unico modo di guardare al paese; che il primo atto dovuto nell'amministrare un Comune passasse soprattutto dal riconoscimento dell'abuso, dall'identificarlo e contro di esso fare muro.

 
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