=L’OBBLIGO DEL PAREGGIO DI BILANCIO IN COSTITUZIONE. ESERCIZI DI SCIENZA TRISTE= Stampa
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Scritto da Redazione   
Lunedì 25 Giugno 2012 15:10

 

equilibrio-arte-redes-comTutto il  rigore a senso unico, tenuto conto del quadro macroeconomico dell’Italia di fine anno scorso, era ed è proprio necessario pena, come sostiene Monti, il precipitare dell’Italia nel baratro?

 

di Mino Magrone

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E’ noto che l’obbligo del pareggio di bilancio pubblico è stato introdotto di recente nella nostra Costituzione sulla base dell’accordo raggiunto dai capi di stato e di governo il 2 marzo 1912 a Bruxelles.

L’accordo (fiscal compact) prevede che i paesi della UE (ad eccezione del Regno Unito e della Repubblica Ceca che non hanno firmato il patto) si impegnino a inserire  nella Costituzione o in leggi equivalenti la così detta golden rule che impone il pareggio di bilancio.

La nostra Carta costituzionale è rigida nel senso che per modificarla è necessario percorrere il complesso ed articolato procedimento costituzionale dell’art. 138. Lo Statuto albertino, per esempio, era flessibile perché poteva essere modificato da una semplice legge ordinaria.

Questa volta e nonostante l’art.138 il Parlamento italiano è stato velocissimo, superficiale e approssimativo, per cui oggi la nostra Costituzione ospita una norma che mostra tutto il suo contrasto e conflitto con l’essenza e l’ispirazione di fondo della nostra legge fondamentale.

Ora in Italia ma anche in tutti gli altri Paesi europei che hanno sottoscritto il fiscal compact non è più possibile, per esempio, praticare il deficit spending come misura di politica economica anti depressiva.

Il pensiero economico è diventato unico: dalla crisi si esce soltanto praticando inflessibilmente il rigore, il pareggio di bilancio pubblico e la riduzione drastica del debito ed il suo rientro nei limiti previsti dal trattato di Maastricht (massimo 60% del PIL).

Insomma, L’Europa che conta mette fuori legge Keynes anche se, per ora, non ne brucia nelle piazze i libri, ed il Governo ed il Parlamento italiani mutilano la nostra Carta costituzionale impedendole di essere protagonista della crescita economica ed inchiodandola al principio assoluto del pareggio di bilancio.

In definitiva in Italia l’impronta e l’ispirazione keynesiana della nostra Costituzione del 1948 vengono d’un colpo oscurate e mostrate come la fonte dei nostri guai economici, finanziari e sociali.

Ma il fiscal compact pretende ancora di più dai paesi dell’Europa meridionale (Grecia, Italia, Spagna, Portogallo) perché chiede perentoriamente che i paesi con debito pubblico eccessivo si impegnino a ricondurlo entro il 60% del PIL. E’ noto che l’Italia è tenuta a ricondurre il suo debito sovrano entro il 60% del PIL e pertanto ad eliminarne la parte eccedente.

Il debito Italiano è di 1.948 mld di euro. Eliminarne la parte eccedente il 60% del PIL significa  che in 20 anni l’Italia deve ridurre il suo debito di ben 960 mld di euro (circa 48-50 mld di euro all’anno per 20 anni).

In conclusione, per adempiere agli obblighi stabiliti dal fiscal compact l’Italia entro l’anno 2013 deve eliminare il suo deficit di bilancio (raggiungere il pareggio) che è attualmente il 3% circa del PIL, pari a quasi 50 mld di euro e, inoltre, ridurre per ogni anno e per la durata di 20 anni il suo debito di circa 48 mld di euro. Il durissimo impegno e l’enorme sacrificio chiesti ed imposti agli italiani sono del tutto irragionevoli ma strettamente legati agli interessi nordeuropei ed in piccola parte, soltanto in piccola parte, alla Francia.


Tutto ciò premesso, resta in campo la risposta impegnativa alla cruciale domanda: ma tutto questo rigore, tenuto conto del quadro macroeconomico dell’Italia di fine anno scorso, era ed è proprio necessario pena, come sostiene Monti, il precipitare dell’Italia nel baratro?
Intanto vediamolo il quadro macroeconomico italiano di fine anno scorso. Sarà utile analizzarlo per dare la risposta alla domanda che ci siamo posti.
Le cifre sono quelle ufficiali cioè quelle di cui al Documento di Economia e Finanza (DEF) relativo all’anno 2011.
Per fine anno 2011 il DEF prevedeva: PIL 1.582 mld di euro; debito sovrano 1.900 mld di euro pari al 120% del PIL; spese 800 mld di euro delle quali 48 mld in c/capitale e pari al 50% del PIL; entrate 738 mld di euro pari al 46% del PIL; indebitamento da finanziare (iI così detto disavanzo primario) 62 mld di euro, pari al 3,9% del PIL. Il quadro racchiude i valori delle grandezze macroeconomiche più significative relativa al nostro Paese e riguardanti la fine dell’anno scorso.
Non comprende, tuttavia, alcune grandezze stimate ma di grande importanza perché capaci di modificare sostanzialmente il giudizio sulla tenuta o meno della nostra economia.
Se non tenessimo conto di altre due grandezze economiche attendibilmente stimate da molte istituzioni economiche e certamente reali perché fortemente presenti nel determinare il quadro economico effettivo dell’Italia avremmo una visione drammaticamente negativa ed esageratamente pessimistica del nostro prossimo futuro economico e sociale. Le due grandezze reali e tuttavia sfuggenti al calcolo del nostro PIL e delle nostre entrate tributarie sono quelle relative all’economia sommersa (circa 1/5 che equivale al 20% di PIL che non viene calcolato) ed all’evasione fiscale. Le nostre entrate tributarie che oggi sono di appena 740 mld di euro potrebbero raggiungere il soddisfacente livello 850-950 mld di euro.
A parità di spesa pubblica (800 mld di euro) anziché un disavanzo primario potremmo contare su un avanzo primario di ben 150 mld di euro. Quindi, non più un indebitamento da finanziare ma un avanzo di bilancio da destinare in parte alla riduzione dell’attuale insostenibile pressione fiscale (48% del PIL) con abbattimento del cuneo fiscale e conseguente innalzamento dei salari e degli stipendi (maggiori consumi).
Qualora la lotta al sommerso e all’evasione fiscale fossero l’obiettivo unico delle Istituzioni e del Governo si genererebbe un bilancio meno rigido, ingessato e più rispondente, data la sua ripristinata flessibilità, a manovre di politica economica di vero sviluppo.
L’Italia ha un tesoro sommerso (evasione fiscale) che se portato in piena luce risolverebbe quasi tutti i nostri problemi economici. Le istituzioni (Istat, Banca d’Italia, Agenzia delle entrate, Corte dei Conti) calcolano che l’evasione in Italia si aggira intorno al 10-12% del PIL e ciò significa che nel nostro Paese l’erario non incassa la cifra enorme di 160-190 mld all’anno.
L’inserimento di quest’ultimo dato nel nostro quadro macroeconomico di fine anno 2011 mostrerebbe che l’Italia non è in procinto di precipitare nell’orrido baratro del fallimento ma possiede risorse nascoste ed occultate che ne fanno un paese potenzialmente e realmente sano.
Come è noto gli uffici tributari hanno, per legge, la possibilità di scoprire gli evasori parziali entro il quinto anno successivo a quello della presentazione delle dichiarazioni fiscali. Per gli evasori totali gli anni aumentano. Ciò significa che se l’evasione è stimata intorno a 160 mld all’anno in 5 anni l’erario potrebbe accertare, qualora la lotta all’evasione fosse veramente quasi l’unico scopo del Governo, maggiori tributi per ben 800 mld. Sarebbe veramente troppo! E perciò gli economisti, specialmente quelli che sono nel Governo, continueranno a cavalcare il luogo comune della necessità delle lacrime e sangue.


M
althus
(1766 – 1834) nei suoi Principles of political economy (1820) a proposito dei salari di sussistenza ai quali erano condannati e destinati i salariati (da cui più tardi il socialista tedesco Fassalle derivò la cosi detta legge bronzea dei salari) chiamò l’economia politica la scienza triste. E’ vero o è stato vero per oltre due secoli (forse anche oggi) per la legge dei salari, non è vero, con buona pace del nostro Presidente del Consiglio dei ministri, per il destino del nostro bilancio pubblico.
Restano, ovviamente, aperte e presenti sul campo teorico e pratico molte questioni spinose. Per esempio ci si può chiedere come mai nonostante la potenziale e sostanziale solidità del nostro bilancio pubblico la fiducia nei nostri titoli del debito pubblico dal novembre dell’anno scorso ad oggi si è stabilizzata su livelli molto bassi? Lo spread tocca e a volte supera 500 punti, a volte è più basso, comunque è quasi sempre  intorno a 400 punti. Gli interessi che il nostro Tesoro paga agli investitori in debito pubblico oggi, come a novembre 2011, per i BTP decennali sono di circa il 7%. In effetti sono molto alti e ciò sta a dimostrare che per attrarre capitali finanziari è necessario remunerarli bene altrimenti le nostre aste andrebbero deserte o parzialmente deserte con tutte le conseguenze disastrose sulla nostra economia.Gli investitori in debito pubblico non sono una categoria omogenea. Alcuni investono in titoli sicuri e con interessi bassi perché per loro compito istituzionale devono mettere al minimo frutto ed al riparo sicuro la loro liquidità; altri si spingono di più verso la soglia che si affaccia nel campo variegato della speculazione. Altri ancora sono pienamente coscienti di operare speculativamente.Il comportamento di questi ultimi è simile, dal punto di vista logico, a quello praticato dalle organizzazioni mafiose: queste ultime mentre sfruttano e ricattano gli operatori legali dell’economia tuttavia non li uccidono economicamente, li mantengono in vita dando loro la possibilità di svilupparsi. Sanno, cioè, che la loro vita ed il loro sviluppo sono la condizione imprescindibile della vita stessa dell’organizzazione mafiosa.Gli speculatori ottengono alti interessi per l’acquisto dei titoli del debito pubblico ma sanno, tuttavia, che quei titoli rappresentano la loro fonte di super guadagno e perciò li mantengono in vita.Questo ragionamento ci consente di dire che anche sul fronte della speculazione i rischi per il nostro bilancio pubblico non sono mortali.
 


Non siamo alla fine dei giorni
; lo spazio che ancora abbiamo ci deve servire per fare emergere quelle componenti e grandezze decisive, ma sommerse ed occulte, della nostra economia. Il compito esclusivo è quello di catturarle ed inserirle organicamente nel quadro macro economico di un Paese, il nostro,  più rasserenato anche dal punto di vista della sua essenziale e vitale tenuta Costituzionale e democratica.

Ultimo aggiornamento Lunedì 25 Giugno 2012 19:44
 
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