=MONTI. MA L'EMERGENZA PUO' GIUSTIFICARE ANCHE LA CENSURA?= Stampa
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Scritto da Redazione   
Lunedì 09 Luglio 2012 16:52

La propaganda governativa fa gioco sullo stato di emergenza e, in larga misura, lo crea, diffondendo il timore di attacchi speculativi determinati da un eccessivo debito pubblico e il conseguente possibile fallimento dello Stato italiano. Occorre preliminarmente rilevare che un elevato debito pubblico non costituisce in sé un problema, se è data alla banca Centrale la possibilità di acquistare titoli di Stato non acquistati da privati. In altri termini, la teoria economica, ad oggi, non è in grado di stabilire il limite di sostenibilità del debito pubblico, se non rinviandolo a fattori extra-economici che, per loro natura, attengono alla sfera delle decisioni politiche. Non si spiegherebbe diversamente per quale ragione, a titolo esemplificativo, l’economia giapponese non ha un problema di eccesso di debito pubblico con un rapporto debito/PIL che supera il 220% (a fronte del 120% italiano). E poi, si potrà pur criticare un presidente del consiglio senza subire anatemi?

 

di Guglielmo Forges Davanzati

[Università del Salento]

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“Spreco” è forse il termine più ricorrente nel dibattito politico italiano degli ultimi anni, eppure il suo esatto significato è piuttosto oscuro. Non si tratta, in questo caso, di avventurarsi in una disquisizione linguistica, ma di interrogarsi sugli effetti che l’uso di questo termine ha sulle principali scelte di politica economica. Il recente provvedimento sulla c.d. spending review (revisione di spesa) intende legittimarsi precisamente intorno a questa parola d’ordine, dato l’assunto (tutto da dimostrare) che tutto ciò che è pubblico è fonte di spreco, inefficienza, corruzione.

La chiusura di ospedali, il licenziamento di funzionari pubblici, la decurtazione di fondi per la ricerca, la soppressione o l’accorpamento di Enti considerati inutili, la riduzione del numero di Province asseconda appunto il progetto dichiarato di riduzione degli sprechi. Il fine dichiarato è rendere la pubblica amministrazione più efficiente: il risultato consiste nell’ulteriore drammatica manovra di contrazione della spesa pubblica, con inevitabile aumento della disoccupazione e minore quantità (e qualità) di beni e servizi offerti dallo Stato, ovvero riduzione del potere d’acquisto delle famiglie.  Si calcola che le misure adottate generano un effetto di decurtazione della spesa pari a 4,5 miliardi di euro per 2012, 10,5 miliardi per il 2013 e 11 miliardi per il 2014, con particolare riguardo ai tagli dei servizi sanitari (circa 13 miliardi di euro). Il tutto senza ridurre l’aumento dell’IVA, che verrà posticipato e che ammonterà a circa 4 miliardi di euro, in una condizione nella quale – in assenza di queste misure – il tasso di crescita previsto per il 2013 era di segno negativo, nell’ordine del meno 2-2.5%. Giorgio Squinzi, Presidente di Confindustria, ha definito questa manovra macelleria sociale. Difficile dargli torto.

Va rilevato che il provvedimento di revisione di spesa parte da un assunto falso, ovvero che, nell’ultimo trentennio, la spesa pubblica in Italia sia sempre aumentata. Su fonte Banca d’Italia, si rileva, per contro, che, a partire dalla seconda metà degli anni ’90, la spesa corrente ha cominciato a contrarsi, riducendosi, dal 1993 al 1994, da 896.000 miliardi a circa 894.000 miliardi. La spesa complessiva delle Amministrazioni pubbliche diminuisce dal 51,7% al 50,8% del PIL nel 1994 e, nel 1995, continua la riduzione dell’incidenza della spesa sul PIL, che raggiunge il 49,2%. Interessante osservare che, nel confronto internazionale con i principali Paesi OCSE, dal 1961 al 1980 (periodo nel quale la spesa pubblica in Italia è stata in continua crescita), lo Stato italiano ha impegnato risorse pubbliche in rapporto al PIL sistematicamente inferiori alla media dei Paesi industrializzati: a titolo puramente esemplificativo, nel 1980, il rapporto spesa corrente su PIL, in Italia, era pari al 41% a fronte del 41.2% della Germania.

Il documento ministeriale imputa l’aumento della spesa pubblica nell’ultimo trentennio unicamente a una sua gestione inefficiente (p.e. la duplicazione delle funzioni a livello centrale e locale). Anche in questo caso, ci si trova di fronte a una tesi opinabile, per due ragioni.

1. Senza negare che sprechi e inefficienze ci sono (e ci sono stati) nella gestione della cosa pubblica, occorre considerare che l’aumento della spesa pubblica, nel periodo considerato dal documento ministeriale, è stato essenzialmente finalizzato all’ampliamento delle funzioni dello Stato sociale (come del resto è accaduto nella gran parte dei Paesi OCSE, in quel periodo) che, a sua volta, si è reso necessario per venire incontro alla crescente domanda di giustizia distributiva in una fase storica caratterizzata da un elevato potere contrattuale dei lavoratori e delle loro rappresentanze nell’arena politica. Appare, dunque, a dir poco riduttivo ritenere – come fa il Governo – che la spesa pubblica è aumentata perché è stata gestita male.

2. Non è chiaro perché la revisione di spesa venga effettuata a partire dall’andamento dei valori assoluti della spesa pubblica. L’andamento del valore assoluto della spesa pubblica non tiene conto delle variazioni del tasso di inflazione, così che non si hanno informazioni relative al suo andamento in termini reali. In ogni caso, anche assumendo l’ipotesi governativa, si rileva – su fonte Bundesbank – che, con la sola eccezione del 2004 e del 2011, la spesa pubblica in valore assoluto in Germania è costantemente aumentata. Può essere sufficiente rilevare che, nel triennio 2008-2010, la spesa pubblica in Germania è aumentata, nel 2008, del 3,16%, del 4,66% nel 2009 e del 3,8% nel 2010, e ben oltre il tasso d’inflazione, quindi anche in termini reali. L’aumento è imputabile essenzialmente alla crescita degli investimenti pubblici, dei salari dei dipendenti pubblici e della spesa per il pagamento degli ammortizzatori sociali

La propaganda governativa fa gioco sullo stato di emergenza e, in larga misura, lo crea, diffondendo il timore di attacchi speculativi determinati da un eccessivo debito pubblico e il conseguente possibile fallimento dello Stato italiano. Occorre preliminarmente rilevare che un elevato debito pubblico non costituisce in sé un problema, se è data alla banca Centrale la possibilità di acquistare titoli di Stato non acquistati da privati. In altri termini, la teoria economica, ad oggi, non è in grado di stabilire il limite di sostenibilità del debito pubblico, se non rinviandolo a fattori extra-economici che, per loro natura, attengono alla sfera delle decisioni politiche. Non si spiegherebbe diversamente per quale ragione, a titolo esemplificativo, l’economia giapponese non ha un problema di eccesso di debito pubblico con un rapporto debito/PIL che supera il 220% (a fronte del 120% italiano).

E’ stato ampiamente sperimentato che le politiche di austerità (riduzioni della spesa pubblica e aumento dell’imposizione fiscale) sono del tutto inefficaci per l’obiettivo che si propongono, dal momento che, riducendo l’occupazione e la base imponibile, aumentano semmai il rapporto debito/PIL (passato dal 107% del 2007 a oltre il 120% di oggi). A fronte di questo scenario, il prof. Monti, in polemica con il Presidente di Confindustria, ritiene che sono le critiche all’operato del suo Governo a influenzare o determinare l’andamento del differenziale dei tassi di interesse fra titoli italiani e bund tedeschi. Si tratta di una tesi piuttosto sorprendente, soprattutto per le implicazioni profondamente illiberali che ne deriverebbero. Se il Presidente del Consiglio la ritiene vera, dovrebbe, per conseguenza, limitare (o abolire, o anche solo sospendere) il diritto di critica. Sarebbe un ulteriore sacrificio necessario per mettere i conti pubblici ‘in ordine’? Lo stesso prof. Monti, in precedenti dichiarazioni, ha dato risposta: la “credibilità” internazionale del Governo dipenderebbe, per contro, proprio dalla sua impopolarità (tesi esattamente contraria a quella utilizzata in polemica con il Presidente di Confindustria). E’ chiedere troppo al Presidente del Consiglio di chiarire ai cittadini italiani cosa esattamente pensa a riguardo, soprattutto per far capire loro per quale reale ragione devono fare sacrifici?

 

Ultimo aggiornamento Lunedì 09 Luglio 2012 20:21
 
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