=IN DIFESA DEGLI STRACCIONI DEL GIORNALISMO= Stampa
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Scritto da Redazione   
Martedì 16 Aprile 2013 22:17

 

 

di Giuseppe De Liso

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“In Italia ci sono quasi 110 mila iscritti all'Odg, di cui 50 mila pubblicisti che hanno la tessera perché si sono iscritti a loro tempo e non producono più, 45 mila attivi di cui 20 mila hanno tutte le tutele, il contratto e stipendi dignitosi, e 25 mila “straccioni” che campano con una media di 7.000 euro l'anno, nemmeno 600 euro al mese. Gli articoli, anche su testate prestigiose, vengono pagati in alcuni casi poco più di un euro (lordo)”

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Quella della professione giornalistica, del suo riconoscimento, della sua pariteticità con altre professioni, al di là delle fulgide apparenze (exempla ficta) dell’inviato Rai presso la Santa Sede o dell’editorialista del Corriere della Sera (ma adesso non si può più nemmeno citare questa testata, dal momento che anche qui si vuole operare un notevole ridimensionamento - l’ossimoro è d’obbligo - dell’organico) è una delle più tragicomiche questioni di cui l’Italia possa vantarsi, perché non si può chiedere ad un giornalista di mantenere intatte la dignità e il prestigio che la sua attività comportano e poi lasciarlo con le tasche e le scarpe sfondate (c’è poi chi lo scrivere ce l’ha nel sangue, ma il tema è troppo delicato per essere affrontato su una rivista on line di critica e denuncia qual è Sudcritica, lo scrivente è in profondo imbarazzo). E chiedere, per giunta, al precario accattone, di aggiornarsi, di formarsi continuamente, di tenere in linea il mestiere con l’avanzamento della tecnologia e della società a suon di verdoni (corsi a pagamento).

Lo Stato italiano sguazza in queste contraddizioni e chi può e sa non fa altro che arroccarsi dietro le sue posizioni di privilegio. I due dirigenti, per esempio, che hanno parlato durante l’incontro “Giornalismo: il futuro della professione”, tenutosi lo scorso 2 marzo presso l’Ordine, a Bari, strada Palazzo di Città, si sono sostenuti a vicenda sulla tesi che, malgrado la disfatta della riforma delle professioni - in sostanza, si sono convocati da tempo gli Stati generali, ma non si sa dove mettere le mani e non si intende entrare nelle segrete cose di ogni singola professione, tuttavia si intendono effettuare amputazioni finanziarie specifiche, nella speranza che facciano meno male -, malgrado, insomma, il clima di grande incertezza che regna nel nostro Paese, “dobbiamo essere tutti uniti, basta con la guerra, e chi spara contro non fa bene alla categoria e non permette di affrontare la situazione”.

Pare di capire che il “fuoco amico”, quello che sta esercitando lo scrivente con il medesimo articolo, non è consentito né, forse, tollerato, sebbene il mestiere giornalistico abbia nella visibilità l’unico amaro appannaggio. Gli ha fatto eco chi, in un’atmosfera di tavola rotonda informale (era sabato sera, un po’ di relax) si è vivamente augurato, nel suo tour di conferenze su e giù per l’Italia, di trovare almeno “un ribelle per ogni regione, uno che all’interno di una redazione trovi il coraggio di farsi sentire”. Come se non si sapesse la fine che fecero i gladiatori-schiavi dell’antica Roma, come se non si sapesse che il negro-schiavo dei tempi di oggi (nel gergo, è chiamato ipernegro), alle dipendenze di un vociante direttore, in redazione dalla mattina alla notte, senza tutele, senza garanzie, che non può fregiarsi nemmeno dell’iscrizione all’Albo, del mitico tesserino (quello che consentì ad un corpulento Spadolini di gestire per qualche tempo il citato Corsera), da solo non può andare in alcun luogo. In soldoni, è stato formulato l’ennesimo slogan, forse il più brutale, nonché il più convenzionale: ‘armiamoci per la guerra, ma partite voi e non tornate senza vittoria, oppure in stato orizzontale sullo scudo, possibilmente freddi’.

Ma rifacciamo il punto della situazione. C’è innanzitutto lo scandalo, l’ipocrisia e la posizione di comodo di stabilire una complicità dall’alto con i lavoratori del mestiere per indurre ad una ribellione dal basso che accenda i riflettori sulla professione presso lo Stato e rivaluti le posizioni dirigenziali. Si tessono gli elogi dei lavoratori delle redazioni, di coloro che esercitano de facto una professione turpe e bellissima; e poi si rema al contrario, monopolizzando l’accesso alla professione attraverso scuole di abilitazione costosissime  e pretendendo, per chi è già iscritto, una formazione continua obbligatoria e a pagamento. Infatti, la riforma dell’Ordine persegue l’obiettivo di stabilire un vincolo di aggiornamento, contravvenendo al quale, si determina un illecito disciplinare. La formazione permanente dovrà essere coordinata dal Consiglio nazionale e avverrà mediante l’attribuzione di crediti.

Ma torniamo al giornalismo, quello dei sacrifici. La legge del 31- 12 -2012, n. 233 stabilisce, per i giornalisti, l’equa retribuzione: “per equo compenso  si  intende  la corresponsione di una remunerazione proporzionata  alla  quantita'  e alla qualita' del lavoro svolto,  tenendo  conto  della  natura,  del contenuto e delle caratteristiche  della  prestazione  nonche'  della coerenza con i trattamenti previsti dalla  contrattazione  collettiva nazionale di categoria in  favore  dei  giornalisti  titolari  di  un rapporto di lavoro subordinato”. Come garantire il rispetto della legge? Attraverso due modalità “coercitive”: “verrà istituito un elenco dei giornali che si impegnano a riconoscere l'equo compenso (ed applicarlo), e solo le testate giornalistiche presenti in questo elenco potranno accedere ai contributi pubblici per l'editoria”. (art. 3 comma 1); “è nullo ogni patto (contratto) che violi l'equo compenso” (art. 3 comma 2).

Anche la Carta di Firenze ha permesso di compiere un passo avanti. Cos’è la Carta di Firenze? E' una Carta deontologica, che impone una serie di doveri agli iscritti all'Ordine dei giornalisti (Odg) che, se non rispettati, faranno scattare sanzioni, nelle quali è prevista la sospensione dello stipendio e dei contributi previdenziali per un anno, sino alla radiazione. Insomma, è una Carta che stigmatizza e abolisce lo sfruttamento dei collaboratori giornalistici, siano essi, redattori, free lance etc.; è una Carta che si affianca alla Carta di Treviso, nota per il dettato di regole cui attenersi quando si tratta la comunicazione sull'infanzia. A promuovere la Carta di Firenze sono stati i free lance e precari che ricoprono ruoli nel Gruppo osservatorio precariato dell'Ordine nazionale e nella Commissione nazionale Lavoro autonomo del sindacato Fnsi, a scriverla le centinaia di colleghi che sono confluiti fisicamente a Firenze in una apposita convention, dopo essersi contattati on line.

Ha dichiarato Antonella Cardone, consigliera nazionale dell’Ordine, in un’intervista: “In Italia ci sono quasi 110 mila iscritti all'Odg, di cui 50 mila pubblicisti che hanno la tessera perché si sono iscritti a loro tempo e non producono più, 45 mila attivi di cui 20 mila hanno tutte le tutele, il contratto e stipendi dignitosi, e 25 mila “straccioni” che campano con una media di 7.000 euro l'anno, nemmeno 600 euro al mese. Gli articoli, anche su testate prestigiose, vengono pagati in alcuni casi poco più di un euro (lordo)”. In sintesi, è una situazione che si trascina da troppi anni e deve finire. Ma non finirà mai se le leggi restano inapplicate. Quanti libri dei buoni propositi, quanti testi giuridici di impeccabile fattura dobbiamo ancora redigere per assistere ad un cambiamento di rotta? E’ un marasma che su carta viene puntigliosamente analizzato e regolamentato. Su carta, però. Ogni settore sprofonda in questa contraddizione (per esempio, c’è la legge 328 del 2000, ma i servizi sociali sono allo sbando). Anche lo Stato italiano è in questa potente contraddizione (chi si ricorda della Costituzione italiana? Eppure, basterebbe applicarla).


Post Scriptum Beppe Grillo, leader del Movimento 5 Stelle, si è ormai confermato un populista rivoluzionario degli stivali. Auspica l’abolizione dell’Ordine dei Giornalisti, snobba la carta stampata e le emittenti televisive, salvo poi farsi corteggiare dall’una e dalle altre. Appena ha la possibilità, in pubblico, di fronte ad una domanda scomoda, mortifica pesantemente il malcapitato giornalista, rifacendogli i conti della misera busta paga percepita. Uno spettacolino degno di un clown.

.sudcritica

Ultimo aggiornamento Mercoledì 17 Aprile 2013 00:09
 
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