=STRAGI DI MIGRANTI E IPOCRISIE DI STATO= Stampa
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Scritto da Redazione   
Mercoledì 16 Ottobre 2013 12:13

migranti_1Di fronte alle tragedie, le parole di commiserazione si sprecano. Ma la questione del diritto d'asilo in Italia è antica. A Bari, nel 1990, Nicola Magrone fu il primo magistrato in Italia a porre il problema, contro la “legge Martelli” che imponeva i respingimenti in mare

 

di   Francesca Di Ciaula

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La storia degli sbarchi di coloro che continuano a fuggire da paesi africani e asiatici è storia che ormai ci appartiene. Lampedusa e le coste della Sicilia sono i luoghi di approdo dei viaggi della speranza di centinaia di profughi. Piccoli scafi e gommoni - notizie recentissime - sono stati avvistati e per fortuna soccorsi anche in acque libiche. Una tragedia infinita, tanto più orribile quando ha come protagonisti bambini e donne incinte. L'ultima ennesima straziante morte del naufragio del 3 ottobre davanti alla costa della baia dei Conigli di Lampedusa, è stata quella scoperta dai sommozzatori nella stiva del barcone: il corpo di una giovane donna col suo piccolo ancora legato al cordone ombelicale. La madre che moriva e il bambino che nasceva in un mare nero. E poi corpi abbracciati, corpi a braccia aperte. Storia di vita e di morte, di speranza e di negazione della vita.

Questo per dire che esiste una questione di rilievo internazionale, imbastita su accordi diplomatici e leggi di Stato, che è fatta sostanzialmente di materia umana e un carico spaventoso di morte, questione di sopravvivenza e disperata ricerca di condizioni semplicemente umane di vita, che ad ogni sbarco soccombe contro il muro del linguaggio burocratico e politico, le ipocrisie dei governanti di turno, le loro parole impudiche davanti a tali tragedie. Fresca di stampa la proposta del vicepremier Alfano di un premio Nobel a Lampedusa, osceno atto ipocrita da parte di esponente di rilievo di un governo, che ha regolamentato gli sbarchi con una legge, che di fatto ha previsto gravi sanzioni ai motopescherecci dell'isola coinvolti in operazioni di soccorso a chi muore in mare. Reato: favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Così davanti a questi drammi le parole si sprecano, si ripropongono le stesse identiche dichiarazioni: “Mediterraneo mare di morte, situazione intollerabile, sgomento, tristezza infinita ...”. migranti2

L'unico personaggio politico che non si è prestato all'ennesimo atto di blasfemia massmediatica è stato il ministro Kienge. In occasione della sua visita a Lampedusa, davanti a microfoni e riflettori, sollecitata sulla sua opinione in merito a questa tragedia, ha detto: «Preferisco tenermelo per me». A ribadire che esistono livelli di percezione e accoglienza di una simile tragedia che non possono restringersi al discorso politico di occasione, a sottolineare che invece il discorso politico nasce dalla comprensione di una materia complessa, soprattutto a partire dalla sua dimensione umana. Dimensione scomparsa per decenni nelle parole di esponenti di Governo, solo per emergere per forza di cose davanti ai morti affogati in mare, il loro ultimo viaggio sulle carrette del mare che uccidono, davanti ai corpi sottratti al mare davanti Lampedusa il 3 ottobre, come se esistesse una soglia limite nel numero di morti che induca ad occuparsi della questione.

Ancora una volta l'occhio si ferma solo a ciò che vediamo e già si è pronti a dimenticare altre uguali tragedie: i trecento morti nel canale di Sicilia, il 25 dicembre 1996, a seguito dello scontro fra un cargo battente bandiera libanese e una motonave, e poi la strage nel Canale d'Otranto, donne e bambini albanesi affogati in un'operazione di “respingimento di profughi” ad opera della marina Militare Italiana. Era il 28 marzo 1997, versante adriatico delle coste italiane. Ancora una volta l'operazione fu quella di rimandare indietro, fermare come strategia temporanea, precaria, arginare un problema complesso di ordine sanitario, di pubblica sicurezza, diplomatico con strumenti legislativi persino inadeguati per i tempi e i luoghi che danno origine ai fenomeni migratori.

Ci sono voluti trecento morti davanti all'isola di Lampedusa per convincere illustrissimi esponenti del Governo a cancellare una legge ignobile, sorta su colpevoli responsabilità politiche, che hanno avallato politiche criminose, quali quelle libiche di Ghedafi, nostro alleato di un tempo, e le sue disumane carceri in cui sono stati trattenuti i migranti della Terra. Eppure quella volta, a Bari nel 1990 fu diverso perché un magistrato, Nicola Magrone sostituto procuratore a Bari, si oppose all'ennesima soluzione politico-diplomatica, quella manco a dirla dei respingimenti, avallata dell'allora legge Martelli, prima legge italiana in materia di immigrazione.

repubblica3marzo90Bari, febbraio 1990. Nel recinto del porto viene fermata una motovedetta cipriota proveniente dalla Grecia. A bordo quarantotto uomini e sei donne provenienti da India, Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka. La nave, già fermata a Bari, era stata rimandata in Grecia, luogo di partenza di quel viaggio della speranza, ma la Grecia aveva pensato bene di impedirne lo sbarco e rimandare la nave in Italia. La soluzione comunitaria dei respingimenti imponeva alla Grecia, primo paese ad essere toccato dalla nave cipriota, lo sbarco dei cosiddetti clandestini. Una norma volutamente ignorata in prima battuta, ma che a seguito del lavoro della Farnesina, le autorità greche si decisero a rispettare. La questione sarebbe stata chiusa qui, ma a Bari il sostituto procuratore Nicola Magrone era fermamente convinto che la cosa non potesse esser risolta in quei termini, che invece fosse indispensabile avviare un'inchiesta su quella traversata di disperati, sui responsabili ed eventuali connessioni criminose. In realtà la questione dirimente, ancor oggi attualissima, era quella del diritto d'asilo, una questione che riguardava direttamente le persone provenienti dallo Sri Lanka, portatori di una domanda di asilo politico e dichiarata persecuzione nel loro paese a causa della loro etnia Tamil.

La cronaca di quei giorni registra un trasferimento, dopo un ricovero in ospedale, di parte dei cinquantotto migranti alla “Casa del profugo”, ente allora allocato in un complesso di fronte il porto di Bari. Qui gli accertamenti medici richiesti dal magistrato Magrone, avevano confermato stati di debilitazione e necessità di cure. L'azione del sostituto procuratore, che si inserì in una azione politico-diplomatica di respingimenti, fu dettata da un duplice considerazione dell'ordine pubblico e delle condizioni fisiche di quei migranti. In sintesi, procedure diplomatico-legislative furono per la prima volta messe da parte e comunque assoggettate ad un primo livello di considerazione che riguardava le persone in quanto tali, il fatto di essere state oggetto di sfruttamento da parte di eventuali organizzazioni criminali, così come le indagini predisposte andavano ad accertare. Infatti dagli interrogatori emerse che somme di denaro erano state pagate per la traversata. E fu un giudice qui per primo in Italia e nella storia infinita che dovette seguire, fatta di respingimenti e annesse irresponsabili politiche del nostro paese, che con azioni mai viste e che più non avremmo visto in questo paese dalla corta memoria, mise al centro dell'indagine non l'indifeso soggetto migrante, colpevole di reato di “clandestinità”, bensì i loro traghettatori, le organizzazioni criminali che hanno per tutti questi anni continuato a lucrare e alimentarsi sulla condizione senza diritti del migrante, qual'è stata identificata dalle vergognose leggi italiane.

La cronaca è ancora recente eppur lontana e ricordare è sempre un'operazione impegnativa per chi vive il quotidiano,migranti4 ma qui il ricordo serve a comprendere meglio i contorni propri di una questione, che è fondamentalmente questione di diritti umani. Un magistrato qui a Bari osò interporsi ad azioni diplomatiche lineari e sbrigative, che poco o nulla concedevano a considerazioni attente riguardo allo stato di rifugiato, vale a dire la distinzione tra migranti in cerca di lavoro e e migranti in cerca di asilo politico, l'analisi delle condizione di vita nei paesi, Stati nazionali oggi instabili, dai quali chi approda sulle nostre coste, è costretto a fuggire. Oggi forse anche quelli più sordi, quelli che masticano il linguaggio sterile di una politica che ha dimenticato la sua giusta finalità, forse qualcosa hanno capito: quanto illogiche, disumane e in definitiva fuori dalla storia, siano risposte di Stati nazionali, imbastite su sommarie distinzioni, procedure di riconoscimento inadeguate, quanto irrispettose dei diritti umani inalienabili di cui i migranti sono portatori.

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Ultimo aggiornamento Mercoledì 16 Ottobre 2013 16:20
 
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