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Scritto da Redazione   
Sabato 02 Novembre 2013 15:26

euro-indexL'euro forte ci fa più deboli


di  Mino Magrone

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Si dice ripetutamente che l’economia italiana dà segni di ripresa. Invero, e a detta degli stessi scopritori di tali segni misteriosi, essi sono così evanescenti da scomparire nel nulla.

Piuttosto sembra opportuno soffermare l’attenzione su alcuni fatti che certamente non mancheranno di appesantire ulteriormente la condizione economica e sociale del nostro paese. 

 

Vediamo come, sul mercato dei cambi, si sta comportando l’Euro. Oggi è vicinissimo alla quota di 1,40 con il Dollaro. E’ una quota molto alta nonostante il fatto che il Pil della eurozona è in calo e nel 2013 per l’Italia si preveda che scenda del 2%.

L’Euro molto forte scoraggia le esportazioni verso i mercati extraeuropei. E’ noto che oggi l’economia italiana non può fare affidamento sulla domanda interna. Deve, e lo sta facendo con successo, guardare al mercato americano ed ai mercati ricchi di prospettive dei così detti paesi emergenti. Tra i quali ultimi sono da comprendere non soltanto i cosiddetti “Bries” (Brasile – Russia – India – Cina e Sudafrica) ma anche i paesi magrebini, dell’Africa subsahariana e del sud-est asiatico.

L’Italia si rivolge all’estero; sta esportando i suoi prodotti di maggior prestigio. Tanto è vero che oggi la nostra “bilancia commerciale” è in surplus.

Ed è proprio qui che entra in scena l’Euro forte in riferimento a quei mercati internazionali in cui è ancora egemone la “divisa” (il dollaro) degli Usa.

Se l’Euro non dovesse calare di quotazione (ma calare stabilmente) rispetto al dollaro, le esportazioni italiane verrebbero ostacolate perché i nostri prodotti di esportazione costerebbero molto per i compratori stranieri. Se la quotazione dovesse ancora aumentare il prezzo di acquisto dei nostri beni diverrebbe proibitivo per i nostri acquirenti internazionali.

Ma v’è di più: l’Italia è un paese con una propensione al risparmio tradizionalmente molto alta anche se la crisi economica ha ridotto la percentuale del risparmio sul reddito prodotto, l’Euro forte o ancora più forte ci fa correre il rischio di un notevole aumento del “risparmio non investito” sul reddito prodotto (Pil).

E’ intuibile, infatti, che con una domanda interna di beni di consumo e di investimento molto debole, il flusso del risparmio finanzi le imprese di esportazione. Ma se il dollaro dovesse ancora indebolirsi rispetto all’Euro e se non dovesse deprezzarsi di almeno il 15% rispetto all’attuale quotazione, le nostre esportazioni cesserebbero di incrementarsi ed andrebbero incontro ad una vistosa contrazione. Ciò provocherebbe un irreparabile “eccesso di risparmio non investito” ed un vero e proprio squilibrio macroeconomico con ulteriore accentuazione della depressione economica e sociale.

Un altro motivo di preoccupazione dell’Euro forte riguarda, questa volta, il mercato interno e la sua capacità di consumo (la cosiddetta “domanda effettiva”).

L’Euro forte determina una notevole pressione al ribasso dei prezzi delle merci che combinata ad una inflazione già di per se stessa molto bassa (circa l’1%) può sospingere la nostra economia in una complicatissima situazione che in una parola si potrebbe definire di “deflazione”.

La “spirale deflazionistica” è rischiosa e pericolosa come il suo opposto: il “vuoto inflazionistico”.

Se i prezzi in generale calano (deflazione) il debito privato e pubblico aumenta di peso reale per il debitore e l’Italia ha un “debito sovrano” del 133% del Pil.crisi_economica In una situazione del genere chi potrà più garantire la sostenibilità del nostro debito pubblico? Chi potrà essere in grado di scongiurare l’insolvenza dello Stato?

Eppure un rimedio a tutto ciò ci sarebbe: è la riduzione dei costi di produzione interna dei nostri prodotti, anche di quelli destinati all’esportazione. Ma la “legge di stabilità” del Governo è molto deludente e lontana dai reali problemi del paese. Ridurre i costi di produzione per accrescere la domanda interna e affrontare adeguatamente l’Euro forte. La riduzione dell’incidenza eccessiva del “cuneo fiscale” sul livello dei costi di produzione è il rimedio che nello stesso tempo da una parte accresce il potere di acquisto dei ceti lavorativi che notoriamente per i loro bassi redditi hanno una propensione al consumo molto alta e più alta dei ceti abbienti e dall’altra parte aumenta la competitività delle nostre imprese di esportazione sui mercati internazionali.

 

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Ultimo aggiornamento Sabato 02 Novembre 2013 23:23
 
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