=I SENZA FISSA DIMORA, TRA UN VISTO NEGATO DI AMBASCIATA E LE BRACCIA DEGLI SCAFISTI= Stampa
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Scritto da Redazione   
Domenica 17 Novembre 2013 11:03

pinguini

un approccio miope al tema dell’immigrazione genera un’incomprensione dei processi umani, sociali e storici in corso nello spazio euromediterraneo e una confusione indegna sulla complessità del fenomeno

  

di  Giuseppe De Liso

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Il 28 marzo del 1997, venerdì santo, a venticinque miglia da San Cataldo di Lecce, a metà strada tra Brindisi e Otranto, un’imbarcazione albanese, in collisione con la corvetta della Marina Militare italiana Sibilla, affondò e trascinò in mare decine e decine di profughi; il 3 ottobre 2013, al largo delle coste dell’isola di Lampedusa, sono state inghiottite dal mare nostrum (sarebbe più appropriato parlare di mare monstrum) altre quattrocento persone. Sono episodi che purtroppo si verificheranno ancora, di eguale e superiore entità, e non sempre avranno gli onori della cronaca. La domanda allora è: l’immigrazione è un problema o una risorsa?

L’immigrazione non è un problema, va detto subito senza mezzi termini, è una risorsa. L’immigrazione diventa un problema quando è affrontata demagogicamente e fumosamente. Parlano in tal senso, per esempio, le proposte per un conferimento del Premio Nobel (istituzione, questa, tanto screditata, ormai, quanto politicamente pilotata) all’isola di Lampedusa, come se non fosse territorio italiano (sulle ipocrisie dell’attuale vicepresidente del Consiglio, Angelino Alfano, si è già soffermato l’articolo scritto qualche tempo fa damigrazioni2 Francesca Di Ciaula, Stragi di migranti e ipocrisie di Stato, al quale rimandiamo). Ed intanto, i centri di prima accoglienza, forse meglio definiti come Cie, centri di identificazione ed espulsione, e un tempo come Cpt, centri di permanenza temporanea, scoppiano, vanno in tilt e non sono messi in condizione nemmeno di funzionare strutturalmente. Neanche Papa Francesco (al secolo, Jorge Bergoglio) si sottrae a questo fuoco fatuo. Da una parte è un propagatore di pace, e ciò certo non guasta, dall’altra diventa di fatto manovratore di mass media per accreditare sempre più l’idea che non solo la Chiesa è il perno principale della religione ma che essa ed essa soltanto può essere in grado di ritornare alla semplicità delle origini (sogno impossibile e sterile).

L’immigrazione resta un problema, anche quando è vista come un pozzo senza fondo nel quale scaricare frustrazioni, disagi e luoghi comuni. Si dice che i clandestini rubano il pane agli autoctoni. In realtà le migrazioni danno un forte impulso economico ai Paesi che accolgono i “senza fissa dimora”. Si stima che entro il 2040 l’Unione europea avrà bisogno di almeno 50 milioni di stranieri se vuole restare agganciata alla locomotiva economica mondiale. Si dice che i migranti entrano in Europa illegalmente e quindi vanno respinti. Ma se il sacrosanto diritto alla mobilità, specie in circostanze estreme, come per chi vive in aree di crisi, è sanzionato e ritenuto reato, non c’è nulla di strano che si spezzino gli equilibri. Si dimentica pure che molti di quelli che si rivolgono agli scafisti erano andati prima a chiedere un visto alle nostre ambasciate, senza tuttavia ottenerlo, così sono stati costretti a versare migliaia di euro per fuggire, andando a rimpinguare le casse della criminalità organizzata; la loro non è un’ostentazione di ricchezza ma un atto di disperazione. Molte Procure di città italiane sono piene di faldoni di sentenze sanzionatorie verso immigrati che non potranno mai onorare quest’ulteriore debito contratto con uno Stato a sovranità nazionale. Si dice che fra poco ci sarà un’invasione di immigrati. Si dimentica che già negli anni scorsi, l’abolizione dei controlli alle frontiere con l’Est Europa non ha generato la tanto temuta invasione. Inoltre, i quasi 25 mila immigrati sbarcati in Italia da agosto 2012 ad agosto 2013 (dati del Ministero degli Interni) sarebbero ben poca cosa in termini numerici se si impostasse una redistribuzione nei territori dell’Unione europea di persone che hanno pieno diritto ad una protezione internazionale.

Insomma, un approccio miope al tema dell’immigrazione genera un’incomprensione dei processi umani, sociali e storici in corso nello spazio euromediterraneo e una confusione indegna sulla complessità del fenomeno. Cosa dicono le leggi sull’immigrazione?

MIGRAZIONImarineNell’articolo 10 della Costituzione italiana si legge: “La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge”. (1) Da ciò si evince che le varie leggi che si sono avvicendate nel corso del tempo, dalla legge Martelli del 1990-91 alla Bossi-Fini, di più recente memoria, sono un abuso e un attacco alla Costituzione. Senza contare che la stessa Bossi-Fini, di fronte ad un mutato quadro internazionale (le primavere arabe, gli esodi di massa etc.), è diventata una legge anacronistica e stupida.

La Convenzione di Ginevra del 1951 sancisce il divieto di espellere o respingere “in qualsiasi modo un rifugiato verso confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate”. Alla luce di quest’altro testo, è facile rendersi conto di quanto assurda ed abnorme sia la prassi dei respingimenti e quanto incauti, per non dir peggio, siano stati l’accordo Italia-Albania firmato nel 1998 (subito dopo il quale si riversarono sulle coste pugliesi 500 clandestini albanesi) ed il trattato d’amicizia con la Libia stipulato recentemente, una vera e propria farsa ai danni degli immigrati ai quali era consentito vivere solo in acque internazionali.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 e 8 dicembre 2000, dice che (art. 18) “il diritto di asilo èmigrazioni-autunnali garantito nel rispetto delle norme stabilite dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 e dal protocollo del 31 gennaio 1967, relativi allo status di rifugiati, e a norma del trattato che istituisce la Comunità europea”. Nell’articolo 45, invece, si legittima la libertà di circolazione e di soggiorno. In realtà, tutto è disatteso e anzi si assiste ad un inasprimento sulla possibilità di ottenere i permessi per muoversi spontaneamente in Europa, si assiste a quello che tecnicamente è detto ‘refoulement’ (in francese, riflusso, rigurgito e infatti quando si guarda all’operato dei politici, sale un riflusso gastrico).

Anche gli ultimi grandi filosofi ancora viventi si sono misurati col tema dell’immigrazione. Etienne Balibar, classe 1942, francese, allievo di L. Althusser, è partito da Marx per elaborare una riflessione critica su identità, razza e cultura che approdi ad una nuova concezione di democrazia in Europa, più coinvolgente ed inclusiva. In un’intervista, legando a doppio filo il razzismo con l’immigrazione,  ha dichiarato: “Le varie forme di neorazzismo non sono legate ad un concetto biologico; la razza non ha nulla a che vedere con l’ideologia, ma piuttosto con la genealogia: le differenze e le prerogative collettive si trasmettono da una generazione all’altra. Questo processo dà origine a gruppi sociali etnici che si rivelano incompatibili fra di loro, ed è quel che avviene con certe forme di immigrazione”. E’ chiaro che solo una maggiore conoscenza, reciproca, permetterà di gestire profondi cambiamenti di vita che sono già in atto. Poi, anche l’integrazione deve fare la sua parte, imparando, a poco a poco, a considerare le frontiere  come luoghi di incontro.

zebreJürgen Habermas, epigono della Scuola di Francoforte, tedesco inviso alla Merkel per le sue concezioni innovative sull’Europa e promotore di un processo finalizzato alla stesura di una Costituzione europea, ha detto che i politici europei sono diventati da tempo una èlite di funzionari, assolutamente impreparati ad una situazione senza paletti di confine che avanza su scala internazionale. Egli vede l’Europa come una unità nella pluralità. Anch’egli, in un’intervista, ha dichiarato: “L’Europa potrà essere soltanto uno stato di nazionalità nel quale anche le più piccole nazioni manterranno il loro orgoglio e la loro identità e potranno dunque far valere la loro lingua e la loro cultura”. Ed ha aggiunto: “Gli europei vogliono davvero un futuro in cui la democrazia diventi soltanto una facciata, e dove lo Stato si specializzi nella garanzia delle libertà del mercato, e la politica nella creazione di condizioni favorevoli per la libera concorrenza?” La risposta la dà lui stesso: “la politica gestita democraticamente è l’unico mezzo per ottenere un’azione consapevole da parte dei cittadini nei confronti del loro destino collettivo”. Qui per politica si intende prassi costituita di aperture, fuori da ogni diatriba parrocchiale e campanilistica e dagli onnivori interessi economici.

Insomma, integrare si deve e si può. Bisogna che l’Europa responsabilizzi ogni Paese sui visti e sui flussi in entrata, che veda la guerra perché la guerra c’è e richiede impegno. C’è da rafforzare la rete dei centri di accoglienza, c’è da impostare il diritto all’asilo politico con lo ‘ius soli’ per garantire la piena e libera mobilità. Sotto questo aspetto, finora le uniche parole serie sono venute dall’attuale ministro per l’integrazione, Cécile Kyenge. Cos’è lo ‘ius soli’? Il Ministero dell’Interno, nel sito web istituzionale, scrive: “Lo ius soli fa riferimento alla nascita sul suolo, sul territorio dello Stato e si contrappone, nel novero dei mezzi di acquisto del diritto di cittadinanza, allo ‘ius sanguinis’, imperniato invece sull’elemento della discendenza o della filiazione. Per i Paesi che applicano lo ius soli è cittadino originario chi nasce sul territorio dello Stato, indipendentemente dalla cittadinanza posseduta dai genitori”.fenec

Note

(1)   In una postilla de Il piccolo libro della Costituzione, una vera chicca per chi ama dare una configurazione più speculativa ai concetti, Nicola Magrone scrive: “I diritti e la libertà dell’individuo e le ragioni della collettività trovano nella Costituzione un punto di possibile equilibrio. Il principio di solidarietà ne costituisce la sintesi più espressiva”.

 

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Ultimo aggiornamento Domenica 17 Novembre 2013 20:59
 
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