=UNA 'DECRESCITA' CONTRO IL POTERE= Stampa
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Scritto da Redazione   
Venerdì 29 Novembre 2013 23:08

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Anche la crisi economica che oggi viviamo si traduce, in buona sostanza, in una sorta di “decrescita” dai più non voluta. Non voluta perché il calare del reddito, l’aumento della disoccupazione, la chiusura delle fabbriche ed il riemergere della povertà non sono processi innescati da una coscienza e cultura collettiva che intende, con ragionevolezza, cambiare il modo di produrre. La crisi infatti, appare ed è vista come una calamità che periodicamente e alla cieca si abbatte sulle comunità scaricando sui più indifesi la sua violenza

 

di  Mino Magrone

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L’argomento della “decrescita” conquista sempre più campo nella letteratura economica e sociale tanto da competere, in quanto a fiumi di inchiostro impiegati per spiegarlo, con l’altro cavallo di battaglia, oggi furiosamente in voga, della “crescita” economica. Penso che anche i popoli cosiddetti primitivi si ponessero la domanda su che cosa fare del “sovrappiù” che la loro produzione sociale procura.

 

E’ del tutto evidente che soltanto un potenziale produttivo capace di andare al di là del fabbisogno del consumo immediato è in grado di creare il “sovrappiù”. Con una differenza: che oggi esso è espresso in valore, ieri in termini fisici. A tal proposito il pensiero corre, quasi agli albori dell’economia politica moderna, a quello straordinario studioso che fu il medico francese Quesnaj (1694-1774) il quale, insieme alla corrente di pensiero detta della 'scuola fisiocratica' determinava il sovrappiù non in termini di valore ma in termini fisici.
Comunque perché sia possibile parlare di “crescita” è necessario che sia in atto il processo di accumulazione del sovrappiù prodotto. E’ infatti il sovrappiù via via accumulato che può creare le differenze sociali e con le differenze il potere di chi domina dall’alto delle sue ricchezze e la sudditanza di chi non le possiede.
Perciò con l’emergere del sovrappiù appare anche la prassi sociale del 'potlàc dei beni', cioè l’incredibile e rivoluzionaria distruzione dei benidecrescita2 e di grandi ricchezze prodotte con fatica e intelligenza.

Non siamo alla consapevole “decrescita” ma certamente i popoli primitivi con il 'potlàc dei beni' sostituiscono alla potenza che accumula e domina la potenza che rinuncia e perde.
In tempi a noi molto più vicini un’altra forma di distruzione materiale (fisica) di beni e strumenti di produzione del sovrappiù è il cosiddetto “luddismo”. Il movimento di Ludd (operaio inglese che visse la durissima vita dell’introduzione della macchina nei processi produttivi della rivoluzione industriale) distrugge la macchina a martellate perché per i “luddisti” le macchine causano disoccupazione dei lavoratori. I luddisti ragionano così: è giusto tornare indietro ad una fabbrica con maggiore intensità di lavoro e minore applicazione di macchine (minore intensità di capitale); quindi è giusto “decrescere” verso una fabbrica con minore produttività piuttosto che soggiacere alla disoccupazione e alla miseria.

Anche la crisi economica che oggi viviamo si traduce, in buona sostanza, in una sorta di “decrescita” dai più non voluta. Non voluta perché il calare del reddito, l’aumento della disoccupazione, la chiusura delle fabbriche ed il riemergere della povertà non sono processi innescati da una coscienza e cultura collettiva che intende, con ragionevolezza, cambiare il modo di produrre. La crisi, infatti, appare ed è vista come una calamità che periodicamente e alla cieca si abbatte sulle comunità scaricando sui più indifesi la sua violenza.
Per “decrescere” con consapevolezza e rimediare al disagio provocato dalla logica dello sviluppo bisogna oltrepassarla; è necessaria cioè una visione diversa delle cose.

decrescita3Delle cose con le quali quotidianamente siamo in contatto ed utilizziamo senza cura e rispetto. Le manipoliamo, le trasformiamo, le corrompiamo ed infine le annientiamo. Bisogna, invece, “lasciarle essere” non per contemplarle e così contribuire alla loro cattura per fini produttivi ma per illuminare la loro abitudine ad abitare la nostra stessa casa. Alleandosi con loro il nostro ed il loro disagio decrescerà.

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