=UE E CRISI, I MILLE SVANTAGGI DI UNA POLITICA MONETARIA RESTRITTIVA= Stampa
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Scritto da Redazione   
Martedì 13 Maggio 2014 14:14

crisi economica

nei frangenti di crisi economica sarebbe necessario che la banca di emissione (come lo era la Banca d’Italia prima dell’avvento della Bce) provvedesse ad aumentare l’emissione di moneta allo scopo di compensare la fuga dei capitali e la preferenza per la liquidità e nel tentativo di colmare il dislivello tra risparmio ed investimento ed il suo pernicioso effetto sul livello del reddito. Del resto tutto ciò potrebbe essere fatto anche dalla Bce ma perché ciò avvenga è necessario che cambi la politica finanziaria e monetaria della UE

di  Mino Magrone

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La crisi economica che attraversiamo è dura a morire. Non ci vuole lasciare durando il suo momento più acuto ormai da oltre sei anni. In questi anni di crisi acuta il nostro reddito nazionale è andato via via diminuendo. La disoccupazione crescendo fino a raggiungere livelli impressionanti. I consumi e gli investimenti non sembra che abbiano toccato il livello più profondo della loro fase depressiva. Il livello generale dei prezzi scende e ciò non depone bene perché questa stabilità è tendenzialmente prossima ad un pericoloso “vortice deflazionistico” che è da scongiurare più di qualsiasi inflazione anche a due cifre.

In questi anni difficili la nostra economia, mano a mano che la crisi procedeva, in ogni momento è stata in equilibrio di sottoccupazione. Gli impianti non utilizzati, i lavoratori disoccupati non hanno impedito, dal punto di vista macroeconomico, che il sistema fosse in equilibrio. Vale a dire in equilibrio di sotto occupazione.

L’“identità” tra il reddito nazionale da una parte e le sue componenti dall’altra è sempre esistita. Cioè il reddito è sempre stato identico alla somma dei consumi, degli investimenti, della spesa pubblica, delle esportazioni (meno le importazioni).

L’equilibrio di sotto occupazione è paradossalmente sempre caratterizzato dalla identità:

R = C + I + Sp + Esp – Imp.

Che è “un’equazione di definizione” come, per esempio, lo è quella tra il risparmio aggregato che è identicamente uguale alla differenza tra reddito e consumo aggregati (risparmio è uguale al reddito meno consumo: Rs = R – C).

Fatte queste premesse la domanda che è inevitabile porsi è: come è possibile l’identità tra reddito da una parte e suoi componenti dall’altra non più verso il basso ma verso l’alto e fino a raggiungere la piena occupazione e, pertanto, l’equilibrio di piena occupazione?

Qualora le manovre di politica economica mirassero a modificare in aumento per esempio “C” (i consumi) a discapito della “Sp” (spesa pubblica) la somma dei componenti di quella che abbiamo chiamato equazione di definizione non cambia per cui R (il reddito nazionale) non subirà spinte verso la crescita.

Perché ci sia la crescita del reddito e quindi il raggiungimento verso l’alto di un nuovo equilibrio è necessario che almeno uno dei indice-consumi-confcommerciocomponenti del reddito subisca un “incremento netto” senza cioè la pari riduzione di un altro componente.

I consumi, cioè, dovrebbero aumentare senza, per esempio, la riduzione della spesa pubblica.

Solo gli incrementi netti, vale a dire gli incrementi non compensati e neutralizzati da pari riduzioni in altri componenti del reddito, possono disincagliare il sistema dai progressivi equilibri verso il basso ed innalzarlo verso il limite della piena occupazione.

Ma dove trovare la fonte autonoma di incremento netto?

E’ noto che nei momenti di crisi il fenomeno della “preferenza per la liquidità” aumenta. Aumenta non soltanto per la sfiducia dilagante, ma anche per le politiche finanziarie che scoraggiano l’investimento nella misura in cui sono più intensi i provvedimenti quali il redditometro, la fine del segreto bancario, la tassazione più forte dei beni di lusso e delle rendite finanziarie. Tutto ciò accentua la differenza tra il risparmio e l’investimento per cui non tutto il risparmio è investito. Una notevole frazione del risparmio non è investita provocando un effetto fortemente depressivo sul livello del reddito.

Con politiche appropriate bisogna rimettere quella liquidità sterilizzata e fuori dalla circolazione finanziaria dell’economia nelle vene del sistema perché possa creare l’incremento netto degli investimenti o dei consumi e quindi l’aumento del reddito nazionale.

Diversamente il risparmio sarà sempre maggiore di quello investito e gli investimenti minori rispetto alla grandezza del risparmio producono una rottura della più volte ricordata equazione di definizione (o di identità) verso equilibri di sotto occupazione di più basso livello.

Anche la “fuga dei capitali all’estero” è una forma, per il paese che li perde, di risparmio non investito. Il rientro di quei cospicui capitali tende a colmare la differenza tra risparmio ed investimento, accresce cioè nell’equazione “I” (l’investimento) senza ridurre le altre grandezze componenti il reddito.

Da ultimo non va sottaciuto il fatto grave che nei frangenti di crisi economica sarebbe necessario che la banca di emissione (come lo era la Banca d’Italia prima dell’avvento della Bce) provvedesse ad auequilibrio-arte-redes-commentare l’emissione di moneta allo scopo di compensare la fuga dei capitali e la preferenza per la liquidità e nel tentativo di colmare il dislivello tra risparmio ed investimento ed il suo pernicioso effetto sul livello del reddito. Del resto tutto ciò potrebbe essere fatto anche dalla Bce ma perché ciò avvenga è necessario che cambi la politica finanziaria e monetaria della UE.

E il pericolo dell’inflazione? Ora come ora il pericolo non esiste. Anzi oggi fa paura il “vuoto deflazionistico”.

D’altro canto il calo generale del livello dei prezzi è coerente con la situazione di equilibrio di sotto occupazione prolungata che oggi ancora viviamo. Ed è per questo che una forte e maggiore liquidità monetaria del sistema non provocherebbe inflazione. Ché, tuttavia, quando anche si dovesse verificare l’innalzamento dei prezzi di qualche punto, ben venga “l’inflazione controllata”; sarebbe un’inflazione da crescita e sviluppo della occupazione e del reddito nazionale.

Il governo Renzi, tanto per calarsi un po’ più da vicino nei fatti della cronaca annuncia che sarà ridotto il “cuneo fiscale” per 10 miliardi di euro. E’ indubbio che gli eventuali singoli soggetti beneficiari della promessa ne avrebbero un beneficio. Ma dal punto di vista delle grandezze aggregate della macroeconomia se la annunciata riduzione del cuneo, che dovrebbe nella nostra equazione aumentare “C” (i consumi), fosse (come certamente sarà) neutralizzata da una pari riduzione della “Sp” (spesa pubblica) o “I” (investimenti pubblici) l’effetto su “R” (reddito nazionale) sarebbe nullo. Non ci sarebbe, cioè, crescita economica.

Il discorso, in definitiva, è questo: perché sia conseguito un incremento del reddito nazionale è necessario che nella più volte ricordata “identità” (equazione di definizione) almeno un componente del reddito abbia un incremento netto. Da ciò la necessità di ridurre la “preferenza per la liquidità” e la fuga all’estero dei capitali e l’urgenza di avvicinare quanto più possibile il risparmio al risparmio investito (agli investimenti).

Abbiamo dimenticato in questo ragionamento il “convitato di pietra” dell’innovazione tecnologica? Intesa in senso lato come innovazioneIntelligenza-artificiale-296x300 tecnica, organizzativa, commerciale, legislativa?

Intanto va precisato che l’innovazione è massima quando è massima la distanza tra il bene già esistente sul mercato ed il nuovo bene frutto dell’innovazione. Può l’innovazione, a stabilità delle grandezze componenti il reddito dell’equazione, provocare di per se un aumento del reddito nazionale? Sì. Purché la sua forza propulsiva venga vista nel lungo periodo. La maggiore produttività del sistema economico dovuta all’innovazione tecnologica è percettibile nel medio-lungo periodo. Il ragionamento fatto a prescindere dalle nuove tecnologie è valido nel breve o brevissimo periodo segnati, come è il caso di questa lunga crisi economica, dalle urgenze immediate di scongiurare di precipitare in situazioni di povertà di massa che fino ad oggi avevamo visto come fatti di una storia ormai molto lontana da noi.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 14 Maggio 2014 12:41
 
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