MOBBING. L'ASSALTO COLLETTIVO AL LAVORATORE Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 09 Aprile 2011 10:57
mobbing

di Nancy Degiglio

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La comune definizione di mobbing identifica il fenomeno nella forma di terrore psicologico protratto nel tempo, attuato sul posto di lavoro e imputabile ad un superiore ovvero a  colleghi di lavoro singoli o in gruppo, con le più varie finalità. Ormai non può più considerarsi un fenomeno nuovo dato che a livello scientifico è conosciuto e studiato da una ventina di anni.

Esso può assumere forme svariate che vanno: dalla semplice emarginazione, alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla sistematica persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla compromissione, sotto ogni aspetto, dell’immagine sociale del soggetto.

Il mobbing mette a dura prova il patrimonio di valori e diritti acquisiti in questi anni nel mondo del lavoro fondato sulla solidarietà, sul rispetto e riconoscimento delle differenze fra le persone nonché sull’umanizzazione dei processi produttivi.

 

La competitività mondiale e la conseguente ossessione del raggiungimento comunque di un sempre maggior profitto da parte delle imprese ha  creato le condizioni favorevoli alla crescita e diffusione di tale fenomeno.

 

 

 

Le  “vittime”  del mobbing si identificano nelle persone sottoposte, sul posto di lavoro, ad aggressioni sistematiche con chiari intenti discriminatori e/o persecutori attuati con varie tipologie di molestie.

 

Il termine mobbing deriva dal verbo inglese to mob (prendere d’assalto collettivamente, assalire con violenza) e viene oggi utilizzato per descrivere particolari forme di degenerazione dei rapporti interpersonali nell’ambito lavorativo ed in particolare una molteplice tipologia di  aggressione sistematica che può essere  attuata direttamente o indirettamente  dal datore di lavoro ovvero  da suoi collaboratori e/o colleghi della vittima.

La caratteristica dell’azione mobbizzante si identifica nella  ripetitività, in un significativo lasso di tempo, e nella metodicità delle condotte persecutorie o  discriminatorie.

La dinamica  di questi comportamenti si manifesta di solito  in diversi ambiti relazionali quali, ad esempio,  la comunicazione umana quotidiana ovvero durante apparenti eventi occasionali, con molestie morali di ogni tipo.

Trattasi in tutti i casi di una forma di violenza psicologica altamente destabilizzante,  difficile da provarsi  per questo oltremodo diffusa e difficile da reprimersi.

Gli  studi sul  mobbing  ne hanno descritto varie tipologie: verticale, orizzontale, individuale e dal basso sia  in forma individuale che collettiva.

Gli studi hanno evidenziato che il bersaglio preferito del “mobber” cioè coloro che non sono legati a cordate di potere, rifiutano o non condividono determinate logiche, sono anziani e/o logori dal punto di vista lavorativo, ovvero costano troppo e sono ritenuti in esubero nell’ambito dei processi di ristrutturazione aziendale o di esternalizzazione.

 

 

Il mobbing è una situazione illegittima ed immorale che esula da ogni regola etica per cui bisogna prevedere idonei strumenti  per prevenirlo e reprimerlo onde evitare una  serie di conseguenze gravissime a carico del benessere psichico e psicosomatico del  lavoratore che li subisce e quindi del suo stato di salute, dando origine a situazioni di stress, ansia, depressione, frustrazione, fobia, attacco di panico, crollo dell’autostima ovvero all’insorgere di reazioni rabbiose che possono  sfociare in atteggiamenti aggressivi e violenti.

 

Il fenomeno mobbing  ad oggi non ha ancora trovato una disciplina normativa specifica né alcuna previsione di natura convenzionale  (contrattazione collettiva)  pur essendo avviate  iniziative  in sede  legislativa finalizzate  alla repressione dello stesso.

L’assenza di una specifica previsione legislativa non ha impedito di accordare tutela a chi lo subisce; ciò è stato possibile in quanto nel nostro ordinamento già esistono norme di principio che consentono di assicurare, sia pure indirettamente, la tutela del lavoratore ed il risarcimento dei danni subiti.

Tra le fonti normative troviamo sia quelle di diritto internazionale che nazionale, tra le prime la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (New York, 10 dicembre 1948),  la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (Roma, 4 novembre 1950) , la Carta comunitaria dei diritti fondamentali dei lavoratori (Strasburgo, 9 dicembre 1989) e le direttive del Consiglio della Comunità europea 75/117, 76/207, 79/7, 86/378, 867/613.

Tra le seconde (quadro normativo nazionale) vi sono i principi  costituzionali, su cui si fonda  il nostro ordinamento, art. 2 Cost. che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, art. 3 che afferma la pari dignità sociale di tutti i cittadini e vincola la Repubblica a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana ed art.4 che riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro. Il tutto correlato agli artt. 32 e 35 di cui il primo pone la salute, fisica e psichica, come fondamentale diritto dell’individuo ed il secondo la tutela del lavoro in tutte le sue forme.

Oltre alle norme costituzionali sono da citare altre norme di principio che possono indirettamente tutelare il lavoratore dai fenomeni di mobbing,  in particolare lo Statuto dei lavoratori (art. 15) e  la legge n. 903 del 1977 che salvaguarda la condizione femminile nel mondo del lavoro stabilendo la parità di trattamento uomo- donna.

In generale  le fonti normative nazionali si  suddividono, in ragione del loro ambito di applicazione, in  norme civilistiche che sono più inerenti al fenomeno in questione e penalistiche che in alcuni casi particolarmente gravi possono trovare applicazione.

      

 

Il fenomeno  mobbing  non è limitato al mondo del lavoro privato ma si è manifestato - di recente - anche nel pubblico impiego ove sono stati introdotti  dalle più recenti leggi di riforma, poteri decisionali caratterizzati dalla più ampia discrezionalità tali da poter essere esercitati in un modo arbitrario non facilmente sindacabile dall’Autorità Giudiziaria.

 

Pertanto, sussiste il rischio concreto che nel pubblico impiego privatizzato si sviluppi un’ampia casistica di condotte mobbizzanti e con esse un crescente e diffuso malessere tra i pubblici dipendenti.

In proposito alcuni studiosi del fenomeno hanno ipotizzato  un vizio  genetico insito nella vigente legislazione, per cui il diffondersi di condotte discriminatorie nel mondo del Pubblico Impiego richiederebbe  un urgente intervento normativo a tutela dei lavoratori.

Questi ultimi sia nel settore pubblico che in quello privato trovano certamente una prima forma di tutela giudiziaria nella richiesta di provvedimenti  cautelari urgenti di tipo inibitorio al giudice del lavoro.

Va altresì considerato che nel settore pubblico, una condanna della Pubblica Amministrazione al risarcimento del danno da mobbing può comportare, tra le altre conseguenze, un danno per l’Erario di cui il responsabile può essere chiamato a rispondere innanzi alla Corte dei Conti.

Infatti,  l’esborso conseguente al  risarcimento del danno da mobbing costituisce un danno erariale, cioè una ingiustificata diminuzione del patrimonio pubblico, che come tale va ascritto al responsabile della condotta illecita. 

 

Per poter conseguire il risarcimento del danno bisogna che sussistano tutti i presupposti  necessari all’accoglimento della  “domanda”  risarcitoria  ed in particolare,  con riferimento  al danno per violazione del diritto all’integrità psicofisica, la denuncia comprovata di  una condotta materiale illecita, indifferentemente, di natura contrattuale o extracontrattuale ed il nesso di causalità con la lamentata  patologia  entrambi oggettivamente accertati, come ribadito dalle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione la quale con la recente sentenza n. 4063/2010 ha ribadito:

 

“Ogni malessere e/o malattia  psicofisica va comunque necessariamente accertata e refertata da un medico meglio se specialista della patologia.”

 

 

Da quanto detto si evince che il mobbing sui posti di lavoro costituisce un grave problema etico-sociale che tanta influenza ha nel contesto della vita lavorativa di chiunque; per cui è necessario farvi fronte prevedendo nuove forme di prevenzione e repressione del fenomeno al fine di  una maggior tutela del soggetto più debole, specialmente nell’attuale momento di profonda crisi economica ed occupazionale.

 

Per quanto riguarda la Pubblica Amministrazione, l’imperante cultura del cambiamento deve tenere in maggior conto il buon andamento dell’azione amministrativa preoccupandosi di fondarla su elementi oggettivi  non discrezionali.

Allo stato è auspicabile l’emanazione di una normativa specifica che individui le condizioni soggettive o oggettive riconducibili al “ mobbing”; essa costituirebbe un valido e più efficace  strumento per  la prevenzione e repressione del fenomeno.


 

 

 

 

Ultimo aggiornamento Mercoledì 13 Aprile 2011 12:59
 
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