MODUGNO. UNA COMUNITA' SENZA GOVERNO Stampa
Scritto da Redazione   
Giovedì 10 Febbraio 2011 12:42

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Bisogna ripartire di qui [foto sudcritica]

Temi per una mobilitazione delle coscienze

 

di Nicola Magrone
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Nel suo rapporto 2009, la Società Geografica Italiana parla dell’Italia come “suolo consumato”, soffocato da una cementificazione senza limiti e scrupoli “che aggredisce la bellezza dei paesaggi sfigurandoli e annullandone le caratteristiche identitarie sotto una massa indifferenziata di elementi artificiali anonimi e spesso volgari”; “il disastro ai danni del paesaggio non sta tanto nello scandalo dei grandi abusi e dei mostri edilizi, quanto nell’erosione continua , quotidiana, che si manifesta sotto i nostri occhi e rischia di cancellare il confine tra città e campagna".

 C’è in Puglia, letteralmente attaccato a Bari, un paese che questo assunto sostiene e conferma; del quale si sa poco e comunque nulla di diverso e di inedito rispetto ai periodici cambi di giunta comunale dei quali peraltro non si discute più nemmeno al bar o in piazza: cosa loro. Un paese, dunque, intristito, abbrutito e muto eppure ricco di intelligenze e di competenze rese socialmente inutili.

 Un paese ad antica vocazione agricola devastato da un assetto urbanistico a dir poco rivoltante: i quartieri orrendi e disgregati, le strade da dopoguerra, i pedoni in balia di aggressivi predoni motorizzati, non un marciapiedi per persone viventi, per carrozzine o per sedie a rotelle; il commercio isterico per ambizioni da piccola metropoli e per dimensioni di quartiere annidato negli interstizi tra un ipermercato e l’altro; l’industrializzazione, idea raccomandata e propagandata come occasione storica risoltasi nella storica sconfitta dell’agricoltura e dell’ambiente (infiocchettata con centrali che non si sa a chi servono, inceneritori che non hanno nulla da incenerire se non grossolane e indistinte montagne di rifiuti, capannoni che si affittano non si sa a chi e per che cosa); non un cinema, non un teatro (qualcuno ci prova con coraggio suicida), non una libreria che minacci di andare un millimetro oltre la cartoleria sotto casa, una biblioteca esangue e dispersa, l’evasione scolastica incontrollata. E infine, lì, in quel paese, non regge più agli insulti del tempo e degli uomini il centro storico, cosiddetto perché non è più così: le strade sono macchie rugose di catrame, bucate, sporche è dir poco, luogo preferito da scarafaggi e da topi impegnati in una lotta palmo a palmo per il controllo del territorio in conflitto permanente con bambini ed anziani sfuggiti alla clausura della vecchia casa o del condominio inventato sulle sue macerie - d’estate, ma d’inverno non si scherza quando l’urbanizzazione brutale sottrae alla pioggia le sue vie naturali e la raccoglie in piccoli e grandi laghi melmosi -.  

 

Un paese stordito perché impotente, inascoltato, umiliato ed offeso, il cui “tessuto sociale (ma non meno la sua rappresentanza politica ed istituzionale) soffre e muore - per dirla con la Società Geografica Italiana - sotto il peso degli scarti della civiltà urbano-industriale” .
Con un problema in più, trattandosi di un paese meridionale per tradizione conservatore del sistema dei privilegi miserabili e della struttura lobbistica del “potere”: la vocazione antichissima al trasformismo incapace anche solo di porsi il valore del bene comune, per tacere del bene pubblico, categoria del pensiero e dell’anima del tutto inesplorata. Può sembrare incredibile ma in quel paese - Modugno, quasi cinquantamila abitanti, attaccato a Bari - è stata praticata senza averla nemmeno pensata una inedita scuola politica e istituzionale con la quale fior di studiosi dovrebbero azzardarsi a cimentarsi: lasciare la comunità senza governo, abituarla a non farvi affidamento, a non attendersi nulla, a prendere quel che si può, un pezzo di giardino superstite per agitarvi tavolini e panini, l’intera strada per farvi un garage di famiglia, e così via praticando la personale libertà e l’arbitrio del prepotente.
Questa nuova scuola di pensiero e di inerzia mosse i suoi passi più decisi almeno un decennio fa ed oggi è graniticamente strutturata: lascia fare e chiede di essere lasciata in pace in un indistinto e limaccioso consiglio comunale tutto maggioranza: l’amministrazione amministra l’essenziale ordinario e si amministra, i cittadini facciano - e fanno - quello che vogliono e come vogliono.
Beninteso: non tutti hanno la forza personale e sociale di fare davvero quello che vogliono; tanti invocano una rete anche approssimativa di regole e di legalità; ma soccombono perché non stanno dentro alle regole materiali della complicità tra pezzi aggressivi della società e amministrazioni che si amministrano e lasciano fare.
Mettiamo, per parlare dei viventi meno rappresentati, dei cani randagi: sono tanti i cittadini che li aiutano come possono, danno loro da mangiare, li portano dal veterinario, puliscono i luoghi dove se la fanno anche in comitiva; dove andrebbero, se no? Di tanto in tanto l’Autorità ne prende qualcuno e lo fa scomparire mentre compare la multa al buon samaritano che ha osato aiutarli. Esempio tradizionale di potere impotente e incupito, di insofferenza per i problemi degli altri, fossero anche cani di nessuno. Mettiamo, ancora, lo strabiliante sistema di consegna e di raccolta dei rifiuti urbani inventato per il centro storico: ogni sera, ciascuna famiglia, deposita (deve depositare, dicono le delibere) sulla strada dinanzi alla porta della sua abitazione, il o i sacchetti o i sacchi dei rifiuti. Essi stanno lì, tutta la notte, rovistati a dovere da animali di tutti i tipi, vengono dispersi per le strade fino a diventare poltiglia e raccolti al mattino, tutt’insieme, liquido e solido essendosi rivelati, lì, concetti superati.
Un paese così, rischia di diventare scuola di egoismo sfiduciato contrastato da fugaci nervosismi sociali, un gruppetto lì un gruppetto qui a chiedersi che cosa si può fare per darsi un governo della comunità che non somigli troppo ad un logoro consiglio di amministrazione dove all’ordine del giorno sta scritto chi si deve nominare e chi si deve depennare; appunto, fatti loro; ai cittadini più furbi, la libertà, la loro; agli altri, la sottile tentazione della fuga.
Un caso così non è questione, per così dire, locale; un caso così, si merita l’attenzione di tutti e l’aiuto di tutti (Salvemini o Silone si sarebbero fermati senza retorica al capezzale di un paese in agonia) prima che tutto questo diventi il senso e la ragione dell’ipotizzato partito del Sud lamentosamente e torbidamente conservatore della società senza regole morali o giuridiche e finisca col dare la spiegazione desolante della insorgente tentazione alla fuga non solo dai distretti industriali ma anche dalle confinanti campagne sopravvissute alla furia dello sviluppo senza regole.

Ultimo aggiornamento Domenica 06 Marzo 2011 14:41
 
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