=LA LINGUA MORTA DEL POTERE. MASSACRATI MA CON UN 'PROGETTO CONDIVISO' Stampa
Scritto da Redazione   
Lunedì 14 Ottobre 2013 17:04

SACCOdi  Diego e Nicola Sacco

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La luce in fondo al tunnel”, “Serve un grande progetto condiviso”, “Uno sforzo da parte di tutti”, “Basta coi giochi al massacro”, “La stabilità (o patto di, o legge di )”, “Rassicurare i mercati”, “Lo spread”, “Mettere il territorio in sicurezza”, “Democrazia partecipata”.

Florilegio ricavato da kit e tic linguistici dell’archetipo politico parlante interscambiabile tra centrodestra, centrosinistra, presidenza della repubblica, presidenza del consiglio e ministeri vari. Basta imbastire un discorso provando, e variando ogni volta, tutte le possibili combinazioni delle espressioni sopra riportate, e si è di colpo, altra caduta in luogo comune, alti rappresentanti della Responsabilità, la quale, oltre che politica, non può che essere, va da sé, di governo. Nasce così il discorso di buonsenso prêt-à-porter: lo si può sfoderare ovunque, da Barbara D’Urso a Servizio Pubblico, e una figura di decorosa insipienza è sempre, bene o male, garantita.

Vediamo, in questo modo, la politica ridotta a una sua contrazione di frasi fatte, con ovvio scorno della Politica che si dovrebbe nutrire dell’esatto opposto di questa contrazione. Una lingua organizzata a stento in una misera griglia espressiva, vieppiù irrigidita, incapace d’un guizzo o colpo d’ala, occlusa, priva di intelligenza dialettica, assertiva del nulla, dunque bloccata e inutile, che risulta, a ben vedere, la lingua morta del Potere.

Si tratta di una questione di non poco momento, questa della lingua: utile, per chi la parla, a mettere in atto il contrario di quanto va predicando, e ormai anche estremamente utile per chi la subisce. Questi, oggi, infatti, non deve esitare (non dovrebbe più esitare) nel bollare come dannoso, per sé e per la collettività, tutto ciò che inalbera i vessilli della condivisione, della pacificazione, della responsabilità, della securizzazione dei conti nonché del territorio. Anche a costo di schierarsi momentaneamente e apparentemente contro tutto ciò che sarebbe più sensato sostenere e difendere (chi non vuole il risanamento dei conti, chi non sogna un ambiente migliore di questo, chi non desidera un benessere diffuso?), è auspicabile il formarsi di un sentimento e di un metodo di sistematica riprovazione d’ogni solfa presidenziale o ministeriale, d’ogni tiritera partitica di segretari, portavoce, capigruppo, candidati nelle primarie e varia umanità parlamentare restante.

L’inganno semantico è ormai di sistema e consiste nel procedere per poderose astrazioni enunciate col tono vagamente accettabile tipico del dicitore di idee ricevute (le più banali e scontate) nel momento stesso in cui si attuano le scelte più deteriori che a popolo di nazione sia dato di sperimentare.

Parlano di stabilità (patto di o legge di) e di luce in fondo al tunnel, ormai da tre anni, alludendo nei primi sei mesi dell’anno in corso a una fantomatica ripresa prevista negli ultimi tre, e puntualmente spostano la ripresa all’anno successivo. Puntualmente si è costretti a una revisione in senso peggiorativo delle stime del Pil, del Debito Pubblico e del Deficit. È un giochino astuto, ormai si capisce, per riprendere di lì a poco la consueta propaganda di governo e di governo di responsabilità, del quale è partecipe tutta la compagnia di giro. Intanto però l’Italia è ben murata nella sua crisi economica, sfondata nei conti pubblici, disgraziata e colpita da lutti per la totale assenza di giustizia sociale. In tutto ciò, la costituzionalizzazione dell’obbligo del pareggio di bilancio, compiutasi tramite uno spettacolo di obbedienza di massa come non si vedeva da parecchio, viene per giunta ignorata nel dibattito politico, taciuta nelle sue immani conseguenze da chi l’ha fermamente e unilateralmente voluta. Si preferisce continuare a cianciare di manovrine quando sarebbe necessaria, già a partire dal 2014, una manovrona e, più che altro, sarebbe necessaria un’operazione verità, a partire da subito, sullo stato dei conti pubblici e sulle azioni da intraprendere in rapporto agli obblighi verso l’UE, così come da loro fissati in costituzione. Tra l’altro, è proprio in questo ribaltamento tra diminutivo e accrescitivo del termine “manovra” che si può vedere all’opera il raggiro linguistico. Lo dice ormai la Costituzione che dal 2014 l’Italia deve inventarsi manovre finanziarie le cui entità siano utili al rientro del Debito di un ventesimo, su base annua, del totale dell’eccedenza rispetto a un rapporto Debito/Pil fissato al sessanta per cento. Il Debito/Pil italiano è oltre il 132%. Non è granché difficile, in questo caso, fare due conti e ricavarne che la manovrina, oltre ad essere un’idiozia contabile, e concettualmente una fandonia, finirà per configurarsi soprattutto come vero e proprio crimine.

A dimostrazione di quel che qui si sostiene, si invita a ricordare il tweet trionfalistico del Presidente del Consiglio Enrico Letta, nel Luglio scorso, appena tre mesi fa, "Ce l'abbiamo fatta! Commissione Ue annuncia ora ok a più flessibilità per prossimi bilanci per paesi come Italia con conti in ordine. La serietà paga". Commentava così l’uscita del Paese dalla procedura d’infrazione europea grazie a un rapporto Deficit/Pil stimato, per il 2013, addirittura qualche punto sotto il tre per cento. Ciò che consentiva “deviazioni temporanee dagli obblighi di medio termine di pareggio di bilancio”; liberava, cioè, risorse per investimenti pubblici (ma solo quelli cofinanziati dall’UE) e, come tali, utili a rilanciare la crescita. Nel Documento di Economia e Finanza dello scorso Settembre, però, succede che il Governo parli di Deficit/Pil oltre il tre per cento. In sostanza, ammette lo sforamento e lo fa, dice Letta, per serietà. Naturalmente, la ripresa economica è però alle viste già nel 2014. Dove e come, la presidenza del consiglio riesca a dimostrare questa serietà, è un mistero glorioso (doloroso per i suoi concittadini). Da ultimo, straparla anche di aumenti di centinaia di euro nelle buste paga dei lavoratori, previsti sempre per l’anno prossimo. Quando si avvererà questa profezia, Presidente del Consiglio, ci faccia un tweet. Per ora c’è solo un regime assolutista che massacra di tasse i cittadini mentre si allarga spaventosamente il divario economico tra questi e i suoi ultraprivilegiati rappresentanti politici e non si fa, di contro, un solo passo in avanti nel miglioramento dei conti pubblici; per ora c’è, inoltre, tanta propaganda dell’assolutismo a favore di sé, e troppo spregiudicato cinismo in beffa agli italiani.

Intanto, il governo delle larghe intese, con lo sforzo da parte di tutti, evitando giochi al massacro per rassicurare i mercati, reggendo a contraccolpi di varia natura finzionale, riesce nell’eroica impresa di contenere lo spread. Noncurante del fatto che la correlazione tra spread e andamento economico resta sconfessata empiricamente, ovvero sbugiardata nei fatti: differenziale calmierato ed economia interna rasa al suolo. Le emanazioni di Napolitano, Monti e Letta, dopo aver scambiato (se per premeditazione o asineria, non ha nemmeno più molta importanza) una parte (lo spread) per il tutto (la politica economica), verranno ricordati solo come pessimi statisti, pessimi economisti, pessimi politici. Altrettanto si dica dell’Emanatore.

“Ma ce lo chiede l’Europa.”

Cosa ci chiede l’Europa? Qualcuno sa dirlo? E quale Europa? Non è forse sbagliata l’impostazione del ragionamento (parola grossa)? E quel chiedere, non suona forse come un imporre? Controdomandiamo ancora: ma l’Italia non è anch’essa Europa? Non è forse anch’essa partecipe e promotrice di un processo di unificazione iniziato decenni orsono? Non è forse presente, con suoi stimatissimi uomini, nelle istituzioni europee? E dunque, non è anche, e magari soprattutto, l’Italia che chiede o impone a se stessa ciò che, per ennesimo tranello semantico, si addebita all’Europa?

Ma ecco s’avanza la madre di tutte le frodi linguistiche: “Nel rispetto della Costituzione”. Frase fatta, luogo comune, guscio vuoto. Mal sopportata da tutti ma sempre pronta ad essere sventolata per ragioni di parte. Tale è l’ossequio verso la Carta che, dopo averla sconciata col fiscal compact (sconciando al contempo l’economia italiana), si intende ora modificarla proprio nel punto in cui, art. 138, una volta intaccato, ci si potrebbe incuneare per produrre uno squarcio lungo dall’articolo 1 alle norme transitorie. Il taglio sulla zampetta del coniglio da scuoiare.

Ma non c’è da meravigliarsi, è il medesimo rispetto che questa classe politica porta verso il popolo italiano.

Ultimo aggiornamento Mercoledì 16 Ottobre 2013 16:24
 
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