=DISCUSSIONI. UNA SINISTRA NATA PICCOLO-BORGHESE= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 14 Dicembre 2013 23:17

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di  Franco Schettini

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a mio avviso il nostro “marxismo” altro non è stato che riformismo piccolo borghese, nemmeno socialdemocratico

Il 15 giugno del 1975 Pasolini scriveva, dopo le effimere vittorie delle sinistre, che “l’Italia è nel suo insieme ormai un Paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici. L’Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione”.

Nel 1976 Mauro Bolognini filmava L’eredità Ferramonti, un film dedicato ai vinti (cioè alla sinistra!), un piccolo esercito di individui che si battono con la storia e ne rimangono sconfitti perché non hanno - come dice Dominique Sanda nel finale - dalla loro parte il mondo.

Allora, proverò a dimostrare perché non siamo riusciti mai ad avere dalla nostra parte il mondo! Cioè, bisogna pur capire perché siamo giunti a questa debacle, non è onesto far finta di nulla e, per quel che è peggio, restare all’infinito prigionieri di qualche tabù.

Come bene dice Andrea Micocci, la verità è che il marxismo italiano dai tempi di Labriola in poi è stato poco più di una strategia mirata300px-Georges Seurat - Un dimanche après-midi à lîle de la Grande Jatte a guadagnarsi la egemonia culturale nel Belpaese. E, aggiunge, che da noi si è spesso confuso idealismo di sinistra con marxismo. Ed a mio avviso il nostro “marxismo” altro non è stato che riformismo piccolo borghese, nemmeno socialdemocratico.

A conferma di ciò, tra l’altro, sta la politica del Pci verso i contadini e il mezzogiorno. Basta, al riguardo, fare riferimento alla cosiddetta politica delle alleanze (nel Sud) che vide il Pci fortemente propugnare qualsiasi tipo di alleanze, purché “antimonopolista”.

Dove erano i monopoli?

Mi tocca tornare a Micocci che giustamente sostiene che il Pci e i marxisti nostrani hanno lavorato a valorizzare al massimo le Istituzioni nelle quali detenevano la egemonia culturale (istituzioni che non hanno mai messo in discussione, come pure istituzioni borghesi)! Isolandosi così sempre più dal resto del mondo. Il Pci che del marxismo doveva essere nel nostro Paese l’espressione più compiuta, non ha provato nemmeno ad ipotizzare delle alternative a quelle istituzioni, alternative di chiara marca socialista. Inserendosi, rafforzandolo, in uno Stato ritenuto, ovviamente a torto come ebbe a scrivere a suo tempo Crisafulli, al di sopra delle classi secondo la lezione liberal-hegeliana, e non come il risultato della storica e concreta lotta di classe fra proletariato e borghesia, con quest’ultima vincente. Oggi ancor più di ieri. Divenendo, il Pci, di quello Stato uno dei difensori più convinti. Ricorrendo all’alibi del contesto internazionale.

dcUn sud che in breve volgere di tempo passò, grazie alla accorta politica di Fanfani (1954), armi e bagagli alla Dc che seppe così tesaurizzare al meglio le lotte alimentate dallo stesso Pci, proprio per la vaghezza delle proposte di quest’ultimo. Gramsci fu messo da parte per sempre e trionfò a tutto campo la politica del clientelismo di stampo liberaldemocristiano. Non solo.

Il grande concetto gramsciano di autonomia della politica fu totalmente dimenticato per fare poco alla volta posto alla cultura di impresa, diffusa dalle forze più conservatrici del nostro Paese. Conseguenza: il trionfo della economia e la sconfitta della politica.

Politica che da tempo in Italia non esiste più, e dove partiti e partitini, movimenti e associazioni di vario genere, liste personalizzate, altro non sono che la patetica parodia di un discorso politico forte ed autorevole (quando non sono solo passerella). Il nostro Paese è un guscio vuoto, abitato dal nulla!

Fare un serio dibattito su tale deriva è un preciso dovere morale e politico di chi ancora oggi si definisce comunista. Ed è giusto in tale vuoto (politico, morale, ideologico) che si è potentemente inserito il non-politico Berlusconi con tutte le conseguenze che conosciamo. Innescando fra l’altro una lotta di tutti contro tutti. Con il risultato che la lotta di classe nel nostro Paese è stata stravinta dal padronato.

Scrive Foa (Questo Novecento): “i comunisti invece erano allora sostenitori senza riserve del liberismo economico. Ricordo le loro conferenze dell’agosto ’45, la fermezza con cui Togliatti respinse ogni ipotesi di pianificazione”. Strano, perché nello stesso periodo in Inghilterra e in Francia si nazionalizzò in diverse direzioni. Da noi invece passò la politica della rinata Confindustria che ottenne proprio dal Pci e da Di Vittorio lo sblocco dei licenziamenti. E inoltre il Pci perse anche la battaglia fondamentale per il cambio della moneta (Gambino).

Tornando al Sud, il Pci fu tra i protagonisti della battaglia per la sua industrializzazione, che distrusse letteralmente il pascolo e l’agricoltura, con cattedrali nel deserto a capital intensive che assicurarono pochi posti di lavoro. E scrive Zitara: “il proletariato settentrionale combatte una sua battaglia dal corto respiro. Il proletariato settentrionale convive col capitalismo anche fisicamente e partecipa ai frutti della spoliazione che appunto il capitalismo italiano fa del sud… Il proletariato meridionale non ha ricevuto e non può ricevere che male da una simile impostazione della lotta di classe. Anzi, ciò è costato la sua impotenza e la sua evirazione politica di fronte a problemi gravissimi, primo fra tutti la emigrazione” (L’unità di Italia, pag. 161-162).

E nel Sud, si creò una situazione a dir poco paradossale che si sostanziò in uno scarto crescente fra le strutture produttive politiche e i rapidi processi di mutamento culturale indotti soprattutto fra i giovani meridionali dalla scolarizzazione di massa e dalla diffusione, distorta, di modelli di consumo di tipo nuovo. Perché tutto ciò? Perché, per come era avvenuto l’intervento pubblico nel Sud, voluto in tal modo anche dal Pci, sulle cui modalità sorvolo, si procurò certamente un benessere materiale e una sempre distorta diffusione dei consumi privati, pagati con la totale dissoluzione della legalità e delle regole che dovrebbero essere il fondamento indispensabile di una amministrazione bene indirizzata.

Che dire poi del compromesso storico, dell’appoggio ad Andreotti del ’76, che nominerà allora ben 47 sottosegretari? E della svolta dell’Eur in quegli anni ad opera di Lama? E la lotta ai consigli da parte della Cgil negli anni ’70?

E “mi sento più sicuro stando di qua, non appartenendo l’Italia al Patto di Varsavia” (è Berlinguer che parla con Pansa il 15guerra fredda giugno 1976). “C’è l’assoluta certezza che possiamo procedere lungo la via italiana al socialismo senza alcun condizionamento” (è sempre Berlinguer che parla). Bella marcia verso il socialismo.

Il Pci fu anche titubante di fronte al divorzio.

Scrive Crainz: “crescono a dismisura gli interventi di salvataggio delle P.S. Con l’avallo del P.C.I. E dei sindacati. Vengono forniti per questa via mezzi finanziari alle imprese ampliando anche la durata della cassa integrazione, senza verifiche, affidando la riconversione allo stesso titolare della impresa in crisi, favorendo accordi di basso livello fra imprenditori e sindacati.”, Il Paese mancato, pag. 429.

L’Egam di Mario Einaudi rileva più di cento società decotte nel 1976. Bella marcia verso il socialismo (le larghe intese di oggi vengono da tutto questo e altro).

Non è quindi un caso che il tutto sia finito con la effigie di Ingroia: nulla in comune col comunismo e con il marxismo. Quante vuote parole sulla unità dei comunisti. Non è vero?

Mi piace concludere con quanto ne Il Capitale scrive Marx e cioè che nel capitalismo la dinamica del mercato è il risultato di spinte e progetti concorrenziali posti in essere dai vari operatori, spinte e progetti che si elidono e si mediano a vicenda, producendo come sempre un risultato diverso dai progetti stessi. All’interno di questo gioco, circola per esempio una valanga di dollari, in grado di fare saltare qualunque mercato finanziario e qualunque politica governativa sgradita. Dove è la democrazia?

Alcune considerazioni di merito.

L’Iva è una tassa sui consumi, la pagano i lavoratori consumatori e non il profitto. Ed è regressiva nel senso che chi consuma tutto il suo basso reddito la pagherà in modo ben pesante; chi consuma, invece, solo l’undecimo di un reddito molto elevato, ed investe in nove decimi, sfuggirà ad essa. Se vi saranno investimenti si allargherà ancora di più la forbice produzione-consumo.banche

Uscire dall’euro: per svalutare ed incentivare le esportazioni. O in alternativa: unificare il debito pubblico dei Paesi membri della Ue; incaricare la Bce di comprare sul mercato primario i titoli del debito pubblico europeo che rimanessero invenduti alle aste; separare le banche di credito e risparmio da quelle di azzardo e speculazione.

Una precisazione.

Basti sapere che i membri del Bildelberg gestiscono le banche centrali e dunque possono a loro esclusivo piacimento stabilire i tassi di interesse, i livelli di emissione della moneta, il costo del denaro e quello dell’oro; e anche la quantità di prestiti da erogare ad un determinato Paese.

Ultimo aggiornamento Domenica 15 Dicembre 2013 01:01
 
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