=IL DOVERE DELLA MEMORIA= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 01 Febbraio 2014 18:14

Manifesto Shoah2A Modugno, il 5 febbraio, per iniziativa della fondazione onlus Popoli & Costituzioni e del movimento Italia Giusta secondo la Costituzione, incontro pubblico sul tema “Perché non dobbiamo dimenticare la Shoah” (ore 18.30, Palazzo della cultura)

 

Il ricordo e la memoria, per non smarrire oltre la dignità

di  Francesca Di Ciaula

____________________

27 gennaio, la memoria dell'Olocausto istituzionalizzata. Il ricordo che ritorna nello scadenzario della società civile, fissato in una data del calendario. Il ricordo divenuto memoria, fatta propria dal consorzio sociale. In questo modo rinnovare ogni anno il ricordo per conservarlo, serve a riportare il gruppo sociale alla percezione di sé attraverso il racconto della propria storia al progetto o idea di convivenza civile che esso si è dato.

È il gruppo sociale cui apparteniamo, che rende possibile che il ricordo sia condiviso. In questa rete di appartenenze e relazioni, testimonianze di eventi traumatici, che hanno segnato una discontinuità nella personale storia di vita, hanno assoluto bisogno di essere riconosciute dal gruppo sociale di appartenenza, di essere comprese quale parte integrante della propria storia, pena la discontinuità col passato, pena la frantumazione della storia collettiva in storie e diverse memorie e vissuti individuali, pena l'estraneità dal gruppo sociale dei soggetti, la cui testimonianza non sarà ritenuta significativa, oppure ascoltata con disagio.

La difficile narrazione dei sopravvissuti ai campi di sterminio, il dolore dei loro racconti dopo tanti anni di silenzio e l'impossibilità a rimuovere l'orrore attraverso le parole, nel tentare di “partorire Auschwitz” - efficace, sconvolgente espressione della scrittrice Edith Bruck, sopravvissuta ai campi di sterminio - ha fatto il paio, fino a qualche decennio fa, con il rifiuto ad ascoltare questi racconti. Ciò che i reduci sperimentarono al ritorno ai luoghi da cui erano stati sradicati, fu proprio l'impossibilità della testimonianza, nell'assenza di schemi mentali preesistenti l'esperienza vissuta, che potessero in qualche modo comprenderla, per tutti coloro che l'esperienza traumatica della guerra avevano in qualche e diverso modo attraversato.

“Eravamo tristi perchè la nostra storia non bastava come testimonianza; nessuno voleva recepire le nostre parole” raccontava Elieschindlers list Wiesel, scrittore ebreo, premio Nobel per la Pace, in un'intervista di qualche anno fa a la Repubblica. Fu difficile abbracciare e ascoltare quelli che ritornarono da una lunga estenuante marcia dai campi liberati. Fu persino difficile per gli stessi ebrei che accolsero nel nuovo stato di Israele i sopravvissuti, riconoscerli come vittime. Dovette passare del tempo affinchè dei campi di sterminio si potesse parlare e far luce con le parole e i racconti in quel luogo opaco tra memoria e oblio, in cui le vite di tanti sopravvissuti all'Olocausto erano rimasti imprigionati. Si iniziò a far breccia in quel mutismo, in cui per anni essi avevano relegato parte di sé, per via dell'estrema difficoltà a trovare parole che esprimessero l'inenarrabile, l'indicibile, pena la perdita di una debole immagine di sé, lacerata durante l'esperienza dei campi.

La testimonianza e il ricordo personale immobilizzato nel passato, e intraducibile nella forma del raccontare, non può consentire il ritorno alle dimensioni sociali dell'agire, sia a livello personale, sia a livello collettivo in un terreno di incontro che è già relazione. Al contrario, dove esiste riconoscimento e ascolto, diventa possibile integrare il ricordo sia pur difficile, in una storia che tutto il gruppo sociale può assumere su di sé. Conservare il passato è allora ricordare come dovere di tutti, una specie di parola d'ordine per il consorzio sociale. Il ricordo che si impone come memoria collettiva.

Ogni anno, in occasione della giornata della memoria dell'Olocausto, ci ritroviamo a sovrapporre questi due aspetti del ricordo e della memoria, del ricordo affidato alla testimonianza personale, così intimamente dolorosa dei sopravvissuti ai campi di stermino e della memoria del gruppo sociale, l'elaborazione questa volta collettiva, di una terribile storia. Eppure ancora oggi questo racconto, che pur è parte dei libri di storia, che porta con sé il dovere dell'ascolto nelle celebrazioni ufficializzate della società civile, reca ancora qualche difficoltà all'elaborazione e al riconoscimento.

razzismo-rom-300x272Non si tratta più della verità dei fatti - irrazionalità e amoralità del negazionismo a parte. L'orrore partorito dalla mente lucida in un progetto politico e sociale che ha coinvolto parte notevole dell'Europa, Stati e gruppi sociali, non è liquidabile con il solo riferimento ad una mostruosità oggi espunta dalla società civile. Lo sappiamo, si è trattato di un progetto che abbracciava in toto quell'assurdo ed improponibile concetto di “razza umana”, che la moderna società civile un po' dappertutto in Europa ha condiviso nel Novecento, qui in Italia ufficializzato con le leggi razziali del 1938, con la realizzazione dei tanti – se ne contano 43 - campi di internamento, con la confisca dei beni agli ebrei, e la tortuosa storia della loro restituzione, in tanti casi mancata. Complice una certa magistratura della nostra Repubblica, già compromessa col regime fascista, che rivendicò una propria “separatezza” dagli eventi storici, rifugiandosi in una pilatesca interpretazione della legge alla “lettera”. (N. Magrone, Codice breve del razzismo fascista, edizioni dall'interno – Sudcritica).        

In uno dei primi romanzi di David Grossman, Vedi alla voce: amore, il piccolo Momik cerca di stanare l'oscura, inafferrabile “belva nazista”, responsabile di quella follia e perdita di sé, che Momik osservava nei sopravvissuti nel suo villaggio. La “belva nazista” era la spiegazione, l'unica possibile che Momik aveva potuto darsi e in quella sua ossessiva caccia, era pure il ribadire la sua esistenza al di fuori dell'uomo, la causa delle stravaganze e insicurezze di certi abitanti scomodi del villaggio. Quel razionale progetto di sterminio di una parte di umanità, che ad un certo punto della propria storia una certa parte di mondo e società adottò, fu la facile via che condusse a negare dignità umana a coloro che per inumana ed irragionevole semplificazione, vennero additati come causa dei mali sociali. Ad un certo punto della nostra storia questo è accaduto: che paure e incertezze collettive furono condivise da tanti in un progetto di lucida follia. Il venir meno di certezze sociali, le pressioni dell'alta borghesia e il supporto dei grandi capitali al partito fascista, le semplificazioni oggetto di propaganda portarono ad individuare un nemico comune, estraneo e diverso, in coloro che fino a poco tempopalestinesi prima erano stati parte integrante della società civile, nelle scuole, nei posti di lavoro, nella pubblica amministrazione e università. D'improvviso donne, uomini e bambini di cultura ebraica furono estromessi dalla società civile, negato lo spazio di vita, alienati i loro beni. Qui in Italia il progetto politico razzista prese piede in maniera abbastanza rapida. La svolta autoritaria non fu difficile. Le condizioni c'erano tutte e gli strumenti legislativi pure. Una legge elettorale a sistema maggioritario con basso quorum e alto premio di maggioranza aveva sottratto potere di rappresentanza all'assemblea legislativa parlamentare, ridotto a pochi lo spazio di decisione.

Oggi a questo dovrebbe servire il ricordo istituzionalizzato nella memoria sociale, a pensare il recente passato quale storia del presente, il passato quale parte integrante di un racconto che oggi continuiamo a scrivere. Ricordare l'Olocausto e le persecuzioni razziali non per esorcizzare la belva razzista, sconfitta alla fine del secondo conflitto mondiale e allontanata con la ricostruzione di una società democratica e una nuova veste costituzionale, bensì per rinnovare il ricordo di quei percorsi politici e istituzionali, anticamera del razzismo fascista e vergognosa pagina della nostra storia. Ricordare le condizioni e i segnali che hanno preceduto le leggi razziali nella moderna società del tempo.

La memoria che una moderna società civile decide di far propria, è bisogno essenziale di una continuità, che il racconto della propria Paul Klee. Ad Marginem. 1930. Kunstmuseum Basel, Basel, Switzerland. storia rivela; è memoria degli sforzi compiuti durante la ricostruzione sulle macerie della società e dell'assetto politico, in quella decisa affermazione di democrazia all'interno dell'Assemblea Costituente, che portò all'istituzione di un bicameralismo perfetto, all'istituzione di un Parlamento rappresentativo il più largamente possibile di idee e gruppi sociali, allo scopo di allontanare il pericolo del ripresentarsi di quelle condizioni che avevano portato ad un governo di pochi, all'espropriazione di libertà personali, allo svuotamento dei diritti civili.

Questo sforzo che la società di quel tempo fece per risollevarsi da quella catastrofe, che la guerra portò con sé all'indomani di un periodo di persecuzioni razziali e politiche di regime, questo sforzo nella realizzazione di un assetto democratico, una società non dovrebbe mai dimenticare. Si tratta di un impegno e un dovere di cui la stessa politica dovrebbe farsi carico, i soggetti politici oggi come allora responsabili dei cambiamenti nella storia, soggetti che invece spesso mostrano memoria corta e disinvoltura nei progetti di rimaneggiamento dei fondamenti del nostro assetto politico scritti nella Costituzione.

La funzione sociale della memoria è tutta in questo racconto della nostra storia, che rinnova il ricordo del come sia accaduto che un' intera collettività ad un certo punto sia stata espropriata del proprio potere di rappresentanza e decisione.

.

Ultimo aggiornamento Venerdì 12 Dicembre 2014 17:54
 
Condividi