=ECONOMIA. LA STRETTA FINALE= Stampa
Scritto da Redazione   
Sabato 15 Novembre 2014 22:51

St John LabirintoL’Europa, la Commissione europea di Bruxelles, devono al più presto maturare la convinzione che una maggiore flessibilità è la condizione imprescindibile perché l’Europa stessa continui ad essere uno scopo giusto e praticabile e smetta di essere nella realtà e nell’immaginario di buona parte del popolo europeo la causa del suo profondo disagio sociale.

di  Mino Magrone

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Siamo alla stretta finale.
Che significa, infatti, per l’Italia questa lunga fase depressiva della sua economia? E’ da presumere che significhi il livellamento della sua capacità corrente, attuale, di produrre con la sua capacità potenziale. Fino a qualche anno fa gli interpreti più ottimisti della economia di mercato affermavano che le fluttuazioni economiche sono il modo di essere del processo di incremento del reddito e dell’accumulazione del capitale. Insomma, nel medio e lungo periodo l’economia mostra sempre più incremento netto del proprio sovrappiù. Quindi il suo prodotto potenziale di medio e lungo periodo è sempre accompagnato dal segno positivo. Si capisce con ciò che il prodotto potenziale è quello che si stima di realizzare prescindendo dall’andamento ciclico dell’economia e facendo leva sulle capacità produttive strutturali e di più lungo periodo.

Pare, anche se ciò non emerge con evidenza nei dibattiti sulla politica economica in Italia, che il Governo italiano dica alla Commissionedeficit europea di Bruxelles che il nostro prodotto potenziale rassicuri tutti ed in forza di tale rassicurazione è giusto e saggio riconoscere all’Italia una maggiore flessibilità nel risanamento dei conti (deficit/pil, pareggio di bilancio rinviato e ”fiscal compact” da rivedere).

Il Governo italiano crede o spera che la crisi del nostro paese sia più congiunturale che strutturale. Per cui invoca più clemenza sui conti facendo affidamento sul prodotto potenziale (stimato positivo) e non su quello in atto (molto negativo).

Ma le perdite italiane sono molto gravi e suggeriscono di non fare affidamento su capacità produttive potenziali, tra l’altro di difficile misurazione. Si stima, infatti, che in Italia la crisi ha espulso dal mercato ben oltre 500 mila imprese con conseguente distruzione di capitale e capacità imprenditoriale. Sei disoccupati su dieci sono senza lavoro da oltre un anno per cui col passar dei giorni si perde nel nulla la capacità produttiva dei lavoratori. Interi settori della forza lavoro diventano improduttivi. Milioni di individui e di famiglie sono precipitate al di qua della soglia di povertà.

crisiIn una situazione come questa, appena accennata, è del tutto prevedibile che il prodotto potenziale subisca (al contrario di ciò che afferma il Governo) una forte riduzione livellandosi sulla capacità produttiva in atto. A Bruxelles non bisogna chiedere maggiore flessibilità perché riteniamo che il nostro prodotto potenziale ci salverà. A Bruxelles bisogna dire che la nostra capacità potenziale di produttore sarà negativa per cui la nostra economia ha bisogno di interventi (anche statali) di forte impatto. e che perciò il rigore dei conti, il pareggio di bilancio, il fiscal compact non sono soltanto sbagliati e ingiusti; sono, soprattutto, impossibili da sostenere per un’economia per la quale il prodotto potenziale è in declino.

Nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, l’Europa e l’Italia subirono il tremendo contraccolpo di una crisi di inaudita violenza. L’Italia prima e poi la Germania imboccarono e percorsero la via più disastrosa e violenta. Poi l’Europa ed il mondo intero presero coscienza del necessario cambiamento degli interventi di politica economica.

Oggi l’Italia e tutta l’Europa periferica sono in grave crisi: attendersi un sovrappiù potenziale significativamente positivo è un graveflessibilità3 errore di prospettiva. L’Europa, la Commissione europea di Bruxelles, devono al più presto maturare la convinzione che una maggiore flessibilità è la condizione imprescindibile perché l’Europa stessa continui ad essere uno scopo giusto e praticabile e smetta di essere nella realtà e nell’immaginario di buona parte del popolo europeo la causa del suo profondo disagio sociale.

In questo senso siamo veramente alla stretta finale: per ora già si combatte tra due parole del nostro linguaggio di uso comune, il “rigore” e la “flessibilità”. Il guaio è che le parole in lotta velano una preoccupante e vasta fenomenologia di interessi, di dolore e devastazione sociale.

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Ultimo aggiornamento Sabato 15 Novembre 2014 23:59
 
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