SOGGETTIVITA'. I DIRITTI DELLE 'POTENZE DI VITA' Stampa
Scritto da Redazione   
Domenica 01 Aprile 2018 10:53

CHAGALL MINO

L’essere di ogni cosaOgni corpo e ogni cosa - dice Spinoza - “effettua” la quantità di essere che possiede e che gli è propria. Le distinzioni così cadono. Tra viventi e non viventi, tra chi vede, pensa e sente e chi non vede, non pensa e non sente. Le differenze costituiscono l’ultimo diaframma dell’antropocentrismo. La pietra non pensa e neppure parla. Ciononostante “effettua la quantità di essere che le è propria”. Ed è completa. Non è mancante di niente. La sua potenza di vivere è effettuata totalmente.

di  Mino Magrone


___IMMAGINE DI BESNIK SOPOTI____

Se ne discute sempre molto poco. Per cui non c’è molto da lamentarsi se durante la recente campagna elettorale in Italia non se ne è discusso affatto. Salvo che nel suo prologo, quando l’on. Michela Vittoria Brambilla ha prospettato la possibilità della presenza di una lista autonoma di candidati in difesa dei diritti degli animali. La lista poi è scomparsa perché alcuni candidati sono stati mescolati nella coalizione di centrodestra.
Noi ne parliamo. E chiediamo con l’urgenza che la situazione mostra non solo in Italia ma in tutto il mondo: gli animali hanno diritti? Esiste la soggettività animale? E la sofferenza animale, per il principio di eguaglianza, richiede che sia valutata quanto l’analoga sofferenza di un altro essere? Infine, la nuova frontiera: esiste la soggettività delle cose? Questi sono argomenti sui quali sia il pensiero filosofico sia quello scientifico non si discostano granché dal senso comune. Tuttavia, ai nostri fini, allo scopo cioè di mostrare che gli animali hanno diritti e soggettività propria, sono molto preziose quelle che non è sbagliato chiamare eccezioni, quasi stonature, nel coro della regola del comune sentire.

 

Una di queste note per così dire stonate è quella molto forte del filosofo australiano Peter Singer il quale nel suo celebreanimali maiale libro Animal Liberation (1975, prima edizione italiana a cura della Lega Antivivisezione - Lav - nel 1987) afferma: “Spesso si dice che la vita è sacra in se stessa. Se fosse così, uccidere un maiale o sradicare un cavolo dovrebbe essere aborrito tanto quanto l’omicidio di un essere umano. Quando si dice che la vita è sacra si intende la vita umana”. Tutto ciò, sostiene Peter Singer, è connotabile come “specismo”. Vale a dire come una forma, altrettanto deplorevole, di razzismo.
Anche il filosofo inglese Jeremy Bentham fa sentire la sua voce stonata. Siccome tiene in debito conto che l’individuo umano condivide con alcuni primati superiori il 98% del patrimonio genetico dice “[… ] si potrà un giorno giungere a riconoscere che il numero delle gambe, la villosità della pelle o la terminazione dell’osso sacro sono motivi ugualmente insufficienti per abbandonare un essere vivente sensibile ai capricci di un torturatore?” (An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, 1789. In Italia, a cura di Eugenio Lecaldano, Torino, Utet, 1998).

Entriamo ora nella fitta selva del pensiero dominante; quello, cioè, che fa il coro ed è, quindi, egemone. Quando saremo usciti dalla fitta selva, conto di tornare a fare professione di visionario che sogna di volare come fanno gli uccelli e penso che troverò lo spazio per chiudere questi appunti con le Operette morali (1824) di Giacomo Leopardi il quale, appunto, ci parla di uccelli. Dell’ “Elogio degli uccelli”. È necessario dire che di questi argomenti fa oggetto di studio sistematico, filosofico e scientifico, Felice Cimatti, filosofo del linguaggio, il quale nella postfazione al libro di Roberto Marchesini intitolato Etologia filosofica (Milano-Udine, Mimesis, 2016) fa l’elogio dell’animismo. Che non ha nulla di magico o di sacro ma è, essenzialmente, una forte e persuasiva professione di “mutual immanence”. Nel continuum della natura tra tutti i corpi esiste la solidale immanenza.

bookshopNella selva non possiamo non trovare il solitario Martin Heidegger. Passeggia in vista di radure più luminose e divide gli esseri e i corpi in rigide e invalicabili gerarchie dove l’immanenza e la mutualità nel continuum della natura svaniscono. L’uomo ridiventa l’uomo di sempre, l’animale, quello che tutti credono di conoscere e la pietra sprofonda nella parte più bassa dell’ordine gerarchico.
Nel 1929-1930, nel corso tenuto all’università di Friburgo, Heidegger gerarchizza e contrappone l’uomo all’animale e alla pietra. È strano che Heidegger non dica neppure una parola sul mondo vegetale. È assolutamente dimenticato, assente, non esiste.
Ma che cosa dice il filosofo tedesco? Dice che l’uomo “è formatore di mondo”, che l’animale “è povero di mondo” e che la pietra “è senza mondo”. Come si vede, al vertice della gerarchia è situato l’uomo. A differenza dell’animale che vive nel suo piccolo mondo come in una bolla che non comunica con l’esterno e le sue vastissime esperienze, l’uomo pensa e agisce senza limiti ed è, perciò, capace di formare il mondo. Una farfalla “è povera di mondo” perché non capisce che, al di là del fiore del minerali-e-pietre-amazing-stones-minerals-15  700prato dal quale è attratta, esiste un altro mondo vastissimo e ricco che bisogna pensare e formare.
Come si vede, tra l’uomo e l’animale esiste una differenza gerarchica; non c’è una comune e solidale immanenza. La differenza e la divisione del continuum della natura appare ancora più netta quando Heidegger parla della pietra che “è senza mondo”. “La pietra - dice Heidegger - giace sul sentiero [… ed] esercita sul suolo una pressione. Nel farlo ‘tocca’ la terra. Ma ciò che qui chiamiamo ‘toccare’ non è un tastare”. “La terra per la pietra non è data come sostegno, come ciò che sorregge quella […]. Se la gettiamo sul prato vi rimane ferma. La scagliamo in una fossa piena d’acqua. Va giù e resta sul fondo. […] Ciò in mezzo a cui sussiste non le è, per essenza, accessibile”.

A ben riflettere Heidegger non dice nulla della pietra, mostra soltanto la presunzione dell’individuo umano di essere un demiurgo. Appunto un “formatore del mondo”.
L’uomo è un formatore di mondo che non riesce ad afferrare il significato della natura come continuum nel quale la soggettività umana, la soggettività animale, e, perché no, la soggettività pietrosa sono legate insieme in solida immanenza.
Ogni pietra ha una storia. Un calcare si forma in mare, anche nelle acque dei laghi, dei fiumi e nelle sorgenti. E nella sua quasi totalità è di origine organica. Un tempo la pietra era in qualche modo viva seppure ora non è né viva né morta. La minerali-e-pietre-amazing-stones-minerals-16  700sua storia continua e come ci dice Charles Darwin in L’azione dei vermi (The Formation of Vegetable Mould Through the Action of Worms, 1881) la terra è fatta di antiche rocce erose dai venti e dall’acqua. Poi arriva l’azione “di triturazione delle particelle di pietra nel ventriglio dei vermi”. Sicché la pietra passando attraverso il canale digerente di un verme diventa terriccio sul quale cresce l’erba mangiata da una pecorella che pascola e della cui carne si cibano molti filosofi “formatori di mondo”. È questo quel che si vuole dire quando si parla di “mutual immanence” e di continuum della natura.

E che cosa allora significa nel contesto di questo discorso essere animista? Non significa certamente credere che il mondo sia popolato di spiriti. Questo semmai è il mondo di chi non riesce a capire che significa essere animisti. L’animismo “non è un modo di credere come è il mondo, piuttosto una condizione, per essere nel mondo”. Essere nel mondo da animista significa esserlo nel rispetto totale della natura, degli uomini, degli animali, delle piante e delle pietre. Anche nei minuti comportamenti della vita di ogni giorno. Ma prima di chiudere questo scritto ritengo che non possa mancare nel contesto di questo discorso appena abbozzato un fugace riferimento al filosofo olandese Spinoza. In Cosa può un corpo. Lezioni su Spinoza di Gilles Deleuze (trascrizione di un corso del 1980-1981) è riportata questa affermazione del filosofo olandese: “Ogni ente effettua la quantità di essere che gli è propria”. Si tratta, come si vede, di una visione antigerarchica degli enti. Tutti gli enti sono uguali dal punto di vista dell’essere. È l’ontologia dell’equivalenza tra pietre, animali, uomini, piante etc.
Ogni corpo e ogni cosa “effettua” la quantità di essere che possiede e che gli è propria. Le distinzioni così cadono. Tra viventi e non viventi, tra chi vede, pensa e sente e chi non vede, non pensa e non sente. Le differenze costituiscono animali brandt 2l’ultimo diaframma dell’antropocentrismo. La pietra non pensa e neppure parla. Ciononostante “effettua la quantità di essere che le è propria”. Ed è completa. Non è mancante di niente. La sua potenza di vivere è effettuata totalmente.

Infine, le Operette morali di Giacomo Leopardi, “L’elogio degli uccelli”. Leopardi dice degli uccelli volanti, canterini. Parla dell’animalità, di un vivente la cui condizione, a differenza dell’homo sapiens, è quella di chi vive la vita che vive, e niente altro. Sì, sono gli uccelli “creature vocali e musiche”. Non soltanto soggettività umana. C’è quella, ancora misconosciuta, degli animali. La nuova frontiera è, però, la “meravigliosa” (nel senso greco di thàuma) sfida della soggettività pietrosa. Se la sfida sarà vinta nel mondo si camminerà in punta di piedi. Dopo millenni di guerra ai viventi.

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Ultimo aggiornamento Domenica 14 Aprile 2019 13:29
 
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