=LA CRISI NELLE MANI DELLA POLITICA. ITALIA GIUSTA SECONDO LA COSTITUZIONE DISCUTE DI SE'= Stampa
Scritto da Redazione   
Giovedì 27 Ottobre 2011 12:38

TEMPORALI

Nicola Sacco
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Che cosa può fare Italia Giusta

in questa grande confusione sotto il cielo?

"Non si vede perché individui che stanno di fronte alla minaccia di perdere tutto, lavoro, reddito e riserve accumulate in via di rapido esaurimento, gli stessi individui che non sono certo tra coloro che “hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità”, dovrebbero restare ad aspettare le scadenze naturali, tutti i passaggi necessari al corretto funzionamento delle istituzioni, insomma le “lungaggini” della democrazia parlamentare. Una domanda alla quale, per quanta inquietudine porti dentro di sé,  anche a noi, nel nostro piccolo, tocca di rispondere. La discussione è aperta."

 

scioperoMino Magrone
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Che cosa rispondiamo a quegli individui

che stanno di fronte alla minaccia di perdere tutto

" mi sentirei di dire, con tutta la timidezza necessaria, che il loro dolore e la loro forza andrebbero vissute nella battaglia, appunto: secondo Costituzione, per l’attuazione onesta e senza sotterfugi della Carta. Nell’invivibile paese di provincia dove pure riusciamo a sopravvivere, non è questo che facciamo noi di Italia Giusta; e non è nei nostri confronti (e non certo nei confronti di Sel o di Idv) che, non a caso, si erigono steccati per proteggere l’area famelica nella quale si esibisce il peggio dell’egoismo sociale e della cultura della illegalità?"

   

 

Nicola Sacco

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CHE COSA PUO’ FARE ITALIA GIUSTA

IN QUESTA GRANDE CONFUSIONE SOTTO IL CIELO?

Grande è la confusione sotto il cielo.

Credo che per Italia Giusta, per il suo angolo visuale, mai come in questo momento sia risultata più vera la già molto abusata massima di Mao Tse Tung. Il cielo è quello politico-economico e il campo di osservazione è l’Occidente.

La crisi, dunque.

È arrivata davvero a dispiegare i suoi effetti devastanti? E il governo, le forze politiche, le istituzioni europee, come la stanno fronteggiando? E per venire a noi: Italia Giusta e Sudcritica come valutano, interpretano e vivono questa crisi?

Chi scrive ritiene che la risposta al primo di questi interrogativi sia affermativa senza alcun dubbio, mentre i restanti quesiti impongano uno sforzo di articolazione di idee e di elaborazione di pensiero politico che forse finora gli sono mancate. E ritiene che nei militanti di Italia Giusta debba farsi largo la necessità di far emergere, precisare e spingere in primo piano sia le proprie convinzioni, sia, perché no, le proprie proposte, i rimedi, i contravveleni potenzialmente praticabili in un quadro politico che abbia come obiettivo quello di tornare al benessere, inteso nella sua accezione più ampia, dei popoli.

Queste righe, pertanto, sono scritte in primo luogo nel tentativo di riordinare le idee del sottoscritto, in quanto componente dell’organo politico di Italia giusta secondo la Costituzione, e il passo successivo è quello di sottoporre parziali approdi e risposte a un’eventuale “discussione”.

Si diceva della confusione, confusione che aumenta man mano che si approfondisce una lettura critica dei principali fatti dell’attualità politica (la morsa economica, i sacrifici richiesti a questo come ad altri paesi, le manifestazioni di protesta). Vediamo come si genera, chi la genera e perché. A mio parere la scena è occupata da ‘attori’ molto intercambiabili; si va, come esempio, da un Presidente del Consiglio italiano sempre più deprecabile e inadeguato a un Governatore della Banca Centrale Europea, fresco di nomina, che dal primo sembra aver mutuato uno dei tic più stigmatizzati: l’ossessione di piacere a tutti. Almeno, così soltanto ci si spiega la sortita di Mario Draghi con la quale solidarizza con i contestatori indignados. Pare credibile che colui che va a presiedere l’istituzione-pilastro della Unione Europea, faccia finta di ignorare come uno dei bersagli della protesta sociale sia esattamente la BCE? Perché se è vero che Silvio Berlusconi, lungi dall’aver realizzato una qualunque rivoluzione liberale, incarna in Italia una politica propriamente di destra, conservatorista e classista, di segno identico a quella del partito repubblicano statunitense, è altrettanto vero che non si vede cosa, di diverso da questo, incarni l’Europa dei banchieri. In altre parole, abbiamo sì il dispiacere di avere in Italia il volto più grottesco d’occidente del capitalismo ma questa osservazione non cambia la sostanza delle cose. E la sostanza è, a mio avviso, il pensiero unico che ammorba tutti gli aggregati politici - dal sovranazionale al più strettamente locale -: il mercato. Concetto composito e non un male di per sé ma che oggi va particolarmente soggetto ad essere confuso con l’accumulazione illegale di capitali, con la corruzione, con la criminalità, laddove quest’ultima si estende alla dimensione internazionale (vedi le grandi potenze occidentali che non ripudiano affatto la guerra come strumento di offesa nei confronti di altri stati e, immancabilmente, nell’ottica della salvaguardia di un capitalismo economico sempre più insostenibile).

Tra di noi si discute sempre mantenendo come faro la Carta Costituzionale, il che significa attenzione costante alle regole della democrazia e riprovazione all’indirizzo di tutti i soggetti che quelle regole percepiscono come scomodo ingombro. Lo facciamo, ben sapendo che questo atteggiamento possa recare nell’immediato svantaggi, disagi, rinunce e non immediato tornaconti di parte. Questa ci pare la politica più nobile, questo ci pare “senso civico”. Tuttavia, sono qui a domandarvi se quella che chiamiamo crisi, non sia un fatto inedito, per proporzioni e asprezza, nella storia repubblicana del nostro paese. La sua capacità di ridurre alla disperazione larghi strati della popolazione è reale o è solo un’enfatizzazione dei mezzi di comunicazione? E se è reale, come io penso, questa capacità non è almeno pari a quella di scardinare la coesione sociale, ovvero di produrre disordine e violenza? Come se ne esce?

Osserviamo che alle politiche economiche vieppiù stabilite e praticate, cosiddette ‘del rigore’ (misure di rientro dal deficit e di contenimento dell’abnorme debito pubblico), si aggiungono ogni giorno gli ultimatum di Bruxelles che chiedono all’Italia discutibili provvedimenti, dalle riforme del mercato del lavoro in favore di una maggiore flessibilità a quelle del sistema pensionistico alle ‘ricette’ per la crescita e lo sviluppo. Azzardo che in queste sue richieste la UE si rivela alquanto rigida e dogmatica. Essa non si rende conto che riforme come quelle che invoca per noi italiani, in un sistema soffocato da sprechi e inefficienze, niente affatto sfiorato dalla meritocrazia e schiacciato da malcostume e malversazioni, otterrebbero solo effetti peggiorativi della qualità del lavoro e della vita della stragrande maggioranza della popolazione. È come se l’Europa dicesse all’Italia: “Non ci importa come tu li raggiunga, basta che ci porti i risultati”. L’aziendalismo più spinto e cieco. Ebbene sì, l’aziendalismo. Una delle critiche più gettonate rivolte al Berlusconi politico e presunto statista. Ancora una volta, confusione, rimescolamento delle carte, stordimento. Non fatico ad immaginare come molti cittadini sperimentino un senso di frustrazione crescente, non fatico ad immaginare disoccupati che non credono più alla politica. E d’altra parte, alcuni esponenti dei movimenti di protesta hanno apertamente dichiarato di non credere più nel parlamento e nei suoi rappresentanti, addirittura di non credere più neanche a questa democrazia estenuata, di rifiutare la concentrazione di poteri decisionali nelle banche, di voler rivedere anche la logica della crescita illimitata che sta alla base del modello di vita occidentale. In tutto questo, anche sgomberato il campo dal teppismo e dal ‘prurito alle mani’, si intravede una grande carica sovversiva, suscettibile di travolgere principi democratici faticosamente introiettati nella nostra vita. Non si vede perché, infatti, individui che stanno di fronte alla minaccia di perdere tutto, lavoro, reddito e riserve accumulate in via di rapido esaurimento, gli stessi individui che non sono certo tra coloro che “hanno vissuto al di sopra delle proprie possibilità”, dovrebbero restare ad aspettare le scadenze naturali, tutti i passaggi necessari al corretto funzionamento delle istituzioni, insomma le “lungaggini” della democrazia parlamentare.

Ecco, di fronte a quest’ultimo interrogativo si arresta la mia capacità di dare delle risposte. Davvero, non saprei indicare secondo costituzione come quegli uomini debbano comportarsi.

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Mino Magrone
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Che cosa rispondiamo a quegli individui

che stanno di fronte alla minaccia di perdere tutto?

 

Direi: nulla di nuovo sotto il cielo; la confusione di sempre. Come si intravvede la luce?

Una risposta la si può tentare; a condizione che sappiamo, senza lasciarci prendere dall’isteria, che oggi tutto ci viene dato in copia; l’originale si è perso: sentiamo quello che altri dicono, vediamo quello che altri hanno visto. L’esperienza diretta non c’è più, ci dobbiamo accontentare della copia ma le copie non sono quasi mai fedeli: esse vengono manomesse, alterate, si perdono per giunta. E allora, che cosa sappiamo e vediamo dei fatti e delle parole?

Nicola Sacco si chiede, non senza timore dell’abisso che sta un po’ oltre la sua domanda: “Non si vede perché individui che stanno di fronte alla minaccia di perdere tutto, lavoro, reddito, riserve accumulate (…) dovrebbero restare ad aspettare le scadenze naturali, tutti i passaggi al corretto funzionamento delle istituzioni, insomma ‘le lungaggini della democrazia parlamentare’”: e conclude chiedendosi, mentre esplicitamente dichiara di non essere lui capace di una risposta: “Di fronte a questo ultimo interrogativo si arresta la mia capacità di dare delle risposte. Davvero non sarei capace di indicare secondo Costituzione come quegli uomini debbono comportarsi” (dove sembra di capire che il dilemma starebbe nella scelta dell’attesa paziente o della rivolta che manda tutto per aria).

Sacco, però, la sua domanda la fa e se la fa dando per scontato che l’unico strumento a disposizione è la Costituzione (“non saprei indicare secondo Costituzione come quegli uomini debbono comportarsi”), per quanto questa unità di misura delle cose e delle azioni collettive non sia di facile uso. E perché la domanda Sacco la fa con quel metro e non saltando a piè pari verso un indefinito nuovo sistema di ide, di parole e di azioni? peggio, perché non la fa correndo all’indietro in un disperato tentativo di riconciliazione con pensieri ed azioni del passato dei quali siamo più o meno compiutamente informati?

Io penso che a Sacco questo accade perché in realtà lui, come me e come tutti noi di Italia Giusta secondo la Costituzione, è ancora in tempo ed in grado di tenere tra le mani  l’originale e non la copia tramandata e manipolata della Carta Costituzionale. Insomma, perché lui, e noi tutti, abbiamo la possibilità di una esperienza diretta e personale qual è il collaudo, dentro ai conflitti della cronaca prima ancora che della storia, di uno strumento di regolamentazione delle relazioni sociali come la Costituzione. Il resto, credo che Sacco convenga (dal fascismo al comunismo al liberismo) o è repressione o è demagogia, insomma nulla che cerchi di incontrare i bisogni di “quegli uomini” che stanno per rischiare di non contare più nulla.

Per stare all’economia, terreno sul quale Sacco ha scelto di porsi e di porre  i suoi interrogativi, credo non vi siano dubbi sull’ispirazione keynesiana della Carta Costituzionale; il che non è senza significato a proposito dei problemi sociali nei quali si dibatte ormai anche l’Occidente a cominciare dagli Stati Uniti per finire all’Italia. Mi pare francamente difficile cogliere in quel documento impronte, per così dire, tradizionali liberiste o comuniste; e tuttavia c’è lì a chiare lettere la traccia solida di una concezione dello Stato che lo vede capace di interventi economici, industriali e finanziari, non solo come misura anticiclica ma anche attore in prima persona delle politiche economiche. Si tratta di temi e di visione della società e dell’intero Paese non ancora esplorati a dovere nonostante il coro che vuole convincerci dell’inutilità o addirittura dell’arretratezza di quello strumento (i pulpiti, naturalmente, sono quelli liberisti e comunisteggianti, insomma di quanti abbiamo già dolorosamente visti all’opera).

Personalmente, a quegli “individui che stanno di fronte alla minaccia di perdere tutto, lavoro, reddito, riserve accumulate” mi sentirei di dire, con tutta la timidezza necessaria, che il loro dolore e la loro forza andrebbero vissute nella battaglia, appunto: secondo Costituzione, per l’attuazione onesta e senza sotterfugi della Carta. Nell’invivibile paese di provincia dove pure riusciamo a sopravvivere, non è questo che facciamo noi di Italia Giusta; e non è nei nostri confronti (e non certo nei confronti di Sel o di Idv) che, non a caso, si erigono steccati per proteggere l’area famelica nella quale si esibisce il peggio dell’egoismo sociale e della cultura della illegalità?

bambin_per_titoli

Ultimo aggiornamento Venerdì 04 Novembre 2011 15:36
 
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