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CONVERSAZIONI SU IGNAZIO SILONE - 3 ERNESTO BALDUCCI PDF Stampa E-mail
Scritto da Redazione   
Giovedì 10 Marzo 2011 18:53

Pubblichiamo il terzo di una serie di dialoghi di Sudcritica con testimoni e protagonisti della storia del Novecento. Temi e questioni di oggi. 

 ERNESTO BALDUCCI
UTOPIA E PROFEZIA
SCOMODI OSPITI DELLA STORIA
Alle radici dell’Occidente smarrito scava ed interroga una talpa: il Sud del mondo

 

  balducci

 

 

 

 

 

 

[foto Sudcritica]


la
conversazione con Ernesto Balducci è del 30 maggio 1991.
A Fiesole fu una mattinata incantevole.La Badia Fiesolana concilia con i pensieri e con le speranze.

La pubblichiamo d’inverno. A troppo tempo da allora. Ma questi sono i nostri "ritmi". Probabilmente ad andare "più veloci" diventeremmo altro; forse più "lenti" ed in ritardo con noi stessi e con i nostri bisogni…

Balducci è una persona assolutamente ottimista ed assolutamente pessimista. Sta nella Chiesa, la vede e la vive "dal basso"; Marx non serve ma non serve non dargli più alcun ascolto; l’occidente è destinato alla definitiva sconfitta ma la sua salvezza è a Sud. Rigore morale, intransigenza etica, tolleranza umana, capacità di perdono, inflessibile attitudine al giudizio sui torti e sulle ragioni. Le sue radici? Quelle della fanciullezza e della giovinezza. Lì, le sue "sentinelle" etiche.

Volevamo chiedergli altro e altro. Poco tempo per molte domande.

Ma noi pure ci andiamo accorgendo che siamo fatti così: ci muoviamo per chiedere e torniamo che vorremmo chiedere.

E che cosa c’è di più "rivoluzionario", in un uomo, di questa capacità di provocare la passione e la curiosità permanente? Quanto disordine autoritario, invece, in questi tempi di pensieri imposti. Sudcritica non fa molta strada, si sa; raggiunge poche persone. Finisce che le conosciamo una per una. Ma Sudcritica non è e non vuol essere nemmeno un "intellettuale collettivo"; le basta tentare di essere, più modestamente e più semplicemente, una "curiosità collettiva". Il resto viene dopo, forse da sé. Non ha finito, Balducci, col parlare degli Indios quasi stessero lì, nel chiostro della badia?

 

Nicola Magrone

gennaio 1992

 

Sudcritica - Lei ha conosciuto personalmente Silone ed ha avuto un incontro, sia pur fuggevole, sappiamo, con lui. Vorremmo che ce lo raccontasse, quell'incontro,  e che parlasse un po’ con noi di lui; di ciò che, secondo Lei, lega Silone ai protagonisti dei suoi libri.

 

BALDUCCI - Silone è uno di quei personaggi la cui importanza si comprende molto meglio a posteriori… dopo. Nella mia vita ho conosciuto uomini - coi quali ho anche avuto rapporti di amicizia - che, quando sono scomparsi, mi sono rammaricato di non aver compreso adeguatamente (uno di questi è, ad esempio, Aldo Capitini); che avevano, insomma, un messaggio che ci sovrastava, al di là dell’intelligenza del tempo.

Ora che siamo in una fase di resa di conti - secondo me al dissolvimento di un modello di cultura che, grosso modo, io amo ricondurre alla categoria delle modernità - siamo portati a rintracciare nella nostra memoria pubblica, e nella nostra memoria privata, quelle figure che in qualche modo anticipavano il loro tempo.

Questa profonda revisione è comandata dagli avvenimenti. Ne metto due immediati: uno è il  crollo dei "muri", che non segna solo la fine di una competizione ideologica che ha comandato la storia d’occidente almeno per un secolo e mezzo; l'altro, la guerra nel Golfo, che ci mette nelle condizioni di verificare il carattere strutturalmente repressivo, di dominazione, di egemonia conquistatrice della cultura occidentale. In questa revisione, io sono portato a rintracciare, anche nel passato più lontano, figure che acquistano  importanza. Per fare un esempio, la figura, che nelle nostre sistemazioni manualistiche è certo importante, ma un po’ marginale, di Erasmo da Rotterdam, che pose, ai primi del Cinquecento, il vero dilemma - che riguardava sì la Chiesa ma anche la società, data la omologazione totale che c’era a quei tempi - della vera riforma: la scelta della pace. In questa epoca atomica; io personalmente riconosco che la scelta della pace è l’unica scelta valida per la Chiesa.

Quando dico pace alludo a una cultura che elimini dal suo interno tutte le categorie di legittimazione della violenza di ogni genere, anche teologica. Ecco perché per me Erasmo è contemporaneo, mentre è antico Machiavelli, perché, per così dire, egli è  "interno" alla modernità.

 

E Silone?

 

Appunto. Ho voluto fare un’analogia. Ritorno subito a quello spicchio di storia che coincide con la mia autobiografia. Ebbene, la mia simpatia nel senso forte, etimologico della parola, per Silone, e per uomini come lui, deriva dalla medesima origine. Io vengo da un ceppo popolare, ho vissuto anch’io in un mondo sottosviluppato: la bassa Toscana. L’Amiata, quando io ero ragazzo, era il terzo mondo della Toscana come l’Abruzzo di Silone, in qualche modo. Di questo mondo del quale ho goduto - anche qui l’apprezzamento è retrospettivo - si parla in un mio libro, pubblicato da Marietti, un’intervista autobiografica, "Il cerchio che si chiude". Ve ne faccio omaggio, se me lo ricordate, prima di andar via…

 

…Glielo ricordereremo...

 

Un "cerchio che si chiude". Sì: il senso del mio itinerario è di ricongiungermi alle origini, non secondo la spinta normale della nostalgia (quando si va in là con gli anni l’infanzia diventa un eldorado), ma perché scopro che i valori che ora perseguo attraverso un’impostazione culturalmente critica, con punti di riferimento tutt’altro che provinciali o strapaesani, quei valori io li ho sperimentati nella mia infanzia, tra la povera gente.

Sono i valori che ritrovo nella testimonianza e nella proposta letteraria e culturale di Ignazio Silone, nella sua incapacità di omologarsi con i modelli dominanti della cultura; una specie di condanna - che è un privilegio - alla estraneità.

In Silone questa solidarietà - le categorie che devo usare sono quelle del cifrario dominante, tutte inadeguate - questa solidarietà con gli oppressi, con gli emarginati,  è preideologica, è di tipo antropologico; è legata a una memoria che sta prima della memoria cosciente, è iscritta nei cromosomi, insomma.

Questo il punto di partenza della mia "simpatia" per Silone.

 

E, infatti, in "Uscita di sicurezza", come Lei ricorderà, Silone spiega perché diventò comunista e racconta la storia della vecchietta aggredita dal cane del barone…

 

Anche qui c’è una perfetta simmetria con le mie esperienze, che adesso non sto a raccontare. L’antifascismo per me è sempre stato, innanzitutto, un fatto di fedeltà a questo magistero della povera gente, un magistero esistenziale. Per levarmi dal debito di parlare della mia conoscenza diretta di Silone: io l’ho conosciuto quand’era già verso la fine, perché un comune amico, Mario Motta, che era della Rai, mi disse: "Sai, Silone, avrebbe il piacere di..."; allora, ricordo, stava non so in che straduccia di Roma... Si stette a pranzo insieme, dove abitavo io allora, a Monte Mario. E così, ebbi modo di constatare che era un uomo di un’estrema delicatezza, senza il minimo di esibizionismo; di una grande semplicità. Di non aver approfittato di più di questo incontro conviviale, in un clima di massimo abbandono, è uno dei rimorsi che ho. Comunque, ebbi il modo di verificare in maniera tattile, se posso dir così, l’immagine che di lui mi ero fatto attraverso quella frequentazione con l’opera siloniana che fa parte di ogni persona colta decente. Ricordo "Uscita di sicurezza" che lessi nei primi anni Sessanta... non so di quando è...

 

...è del ’48, ma nel ’64-’65 ebbe più larga diffusione...

 

e poi mi viene in mente "L’avventura di un povero cristiano" che mi ha estremamente affascinato, e mi ha anche guidato, in qualche modo, quando ho scritto un libro che ho pubblicato l’anno scorso: quello su Francesco d’Assisi, in cui faccio uso non dico di categorie siloniane (perché per essere sincero, non sono andato a riconsultarlo) ma certo di categorie che hanno trovato in Silone una convalida.

In Silone, infatti, c’era questa componente francescana. Ricordo alcune sue pagine sul suo incontro con don Orione; ma soprattutto ricordo la sua rappresentazione di questa frangia di Francescani, questa scheggia in apparenza smarrita in cui viveva però la grande utopia di Francesco. Qui le analogie sono intime: lui era un cristiano senza dogmi e senza Chiesa...

 

…ma che cosa vuol dir questo? Siamo a un punto nodale, credo. Che cosa vuol dir questo? Si sente ripetere spesso questo concetto. Alla fine, uno finisce con il convincersi che un vero cristiano non ha dogmi e non ha chiesa. Ed è lo stesso concetto che si sente ripetere "dall'altra parte": per esempio, proprio di Silone non si dice sempre, con una sorta di complice civetteria, che fu un socialista senza partito? Il fatto è che simpatie di questo tipo, per Silone e per tanti come lui che pur affollano la storia, vengono poi da chi sta nella Chiesa o nel Partito: perché non escono…?

 

Glielo dico subito che cosa vuol dire, almeno secondo me. Io mi sono accostato a Francesco, per esempio, liberandomi dalle immagini agiografiche di lui, dalla sistemazione che la cultura dominante, anche ecclesiastica, ne ha dato.

Un grande libro "siloniano" è un libro "collettivo" del ’200: le Fonti francescane, un libro che io ho indicato come un capolavoro da recuperare nella memoria pubblica. San Bonaventura, per prendere un grande santo, che fece? Era generale dei Francescani, aveva conosciuto Francesco... dette ordine di bruciare tutte le vite di Francesco d’Assisi, scritte da chiunque: e fece lui la vita ufficiale di Francesco. Certo, Bonaventura non è un lestofante, un "uomo del Cremlino"; ma scrisse con l’intento di legittimare quello che era avvenuto.

 

E che cos’era avvenuto?

 

Era avvenuto che la profezia vissuta di Francesco - la chiamerò utopia -, quella di un mondo di fratelli, dove era proibito chiamarsi "padre", dove era proibito avere superiori, dove clerici, cioè dotti, e analfabeti avevano da fare gli stessi lavori, dovevano vivere insieme, con gli ultimi, con la povera gente, con i lebbrosi, era divampata come il fuoco nella stoppia in tutta Europa. In pochi anni erano 25.000 - che, fatto il rapporto con la popolazione, sarebbero come dire 250.000 o 1.000.000 oggi - i suoi seguaci in tutta Europa. Francesco, però, non voleva regole …non voleva regole, e la Chiesa gl’impose di far delle regole. In quel momento disse: "Io non sono più il vostro superiore, da questo momento non vi conosco", e si ritirò alla Verna dove visse con misteriose stigmate.

Il problema di fondo, dunque, è quello del rapporto tra utopia e storia. In linguaggio non antropologico ma teologico: tra profezia e storia. E‘ un rapporto di necessario "fallimento". Ma il fallimento - che, nelle categorie ufficiali, è una disgrazia - è un momento fisiologico. Di fatto, nello sviluppo storico, le coscienze che vogliono emergere dalla sudditanza, dai luoghi comuni, che vogliono recuperare un’autenticità, non hanno, alla fine, che da ispirarsi proprio ai grandi "falliti".

 

Ma bisogna proprio ispirarsi ai "fallimenti"? e che utilità c'è, per se stessi e per gli altri?

 

Il monumento siloniano è proprio qui. La nostra esistenza si svolge sulla linea di conflitto tra la cultura degli oppressi - che è la cultura dell’esistenza autentica, quella che respinge il dominio, si sottrae alla manipolazione del dominio di qualsiasi tipo - e la cultura del dominio, una cultura dall’alto - della Chiesa, dello Stato, o dell’Impero - che mira a inserire gli uomini nell’ordine, l’ordo , come ai tempi di Francesco. Un ordine sociale basato sul principio d’autorità. Che poi è la premessa per tutte le degenerazioni ideologiche della cultura, fino al Cremlino, fino, se vogliamo, anche al Vaticano inteso come centrale di dogmi e di scomuniche. C’è insomma una crescita culturale dell’uomo, governata dalle esigenze, dai sogni, dalle sue attese più profondi: è questa la matrice antropologica della cultura creativa, che non è sempre una cultura letterata. Io amo dire: è il conflitto fra l’uomo inedito e l’uomo edito. L’uomo edito, come siamo un pochino noi - ed è una necessità storica -, si conforma alle categorie, al cifrario, al codice della cultura esistente. L’uomo inedito mira invece ad esprimere se stesso, le proprie attese. Questo crea un conflitto che molte volte si risolve nella omologazione con la cultura dominante.

Lo stesso Silone è vissuto in mezzo ed accanto a letterati che erano omologati. Quanta gente del resto è stata fascista col fascismo, democristiana con la Democrazia cristiana, socialista... etc., si è omologata? E c’è gente, Silone è uno di questi, che invece rimane ferma a questo ceppo: l’uomo inedito. Senza, naturalmente, disdegnare poi la frequentazione con la cultura... ma rimanendone esterno, altro, rimanendone altro.

 

Silone, infatti, era un grande organizzatore, era capace di costruire sempre nuove iniziative…

 

Sì, sì: però sempre con le "uscite di sicurezza". Perché l’uscita di sicurezza è quella che uno, che pure s’inserisce nella cultura del suo tempo, tiene come riserva: al momento giusto scappa, non c’è più…

 

Come, appunto, quella di Celestino V, nell’"Avventura di un povero cristiano"…

 

Sì, il "gran rifiuto"... La simpatia di Silone è per questi uomini, per la povera gente, la gente autentica.

Quando facevo il fabbro ferraio, da piccino, dissi al mio padrone, un fabbro ferraio anarchico, bestemmiatore: «Sai, vado in collegio a studiare dai padri». «Va bene - mi rispose - fa’ quel che vuoi, ma non ti lasciare imbrogliare dai preti». Mi ricordo, avevo 12 anni. Avevo ancora la tuta. Poi, feci la mia lotta per l’obiezione di coscienza, che mi dette notorietà sulla stampa: eran passati - fatemi pensare un po’… faccio i calcoli - trent’anni. Al cimitero incontrai questo vecchio - era diventato vecchio - e mi disse: «Ernesto, non ci sono riusciti». Ecco la saggezza... trent’anni prima aveva detto quella frase, trent’anni dopo sentenziò: «non ci sono riusciti». Ad imbrogliarti, voleva dire.

Quando uno nella vita ha questi punti di riferimento...!  Ce li hanno un po’ tutti, ma uno che li abbandona pensa alle figure dell’infanzia come alla propria preistoria; invece uno che non li abbandona li sente come segnali, come presenze, sentinelle interiori che ti sorvegliano... per vedere se sei fedele o no.

 

Ma chi le pone, professore, queste sentinelle? oppure… chi ce le ha, ce le ha? così, per caso?

 

Le sentinelle? Non sono cose, dipendono da un’opzione della coscienza...

 

...sa… un burocrate direbbe: le pone il partito, l’altro direbbe: le pone il Vaticano...

 

…questo dipende da un’opzione morale, un’opzione di fondo.

 

Ma dove nasce questa opzione, perché nasce?

 

E’ proprio qui che si rivela, direi, la qualità di un uomo. Nel linguaggio che mi è più proprio, io parlo della qualità profetica: il Cristo a cui Silone si riferiva era il Cristo che i suoi compaesani volevano buttare da un dirupo, è il Cristo che i farisei non compresero, il Cristo che, una volta omologati con l’Impero, i suoi fedeli abbandonarono. Anche il Cristo è fuggito: quando lo volevano far re fuggì solo, aveva l’uscita di sicurezza anche lui. La moltitudine entusiasta - aveva fatto un miracolo - lo voleva fare re e lui rimase ipse solus, se ne andò da solo. E’ qui che si rivela la qualità morale di una persona. Secondo me, le sentinelle non sono poste dall’esterno per una imposizione della cultura, ma sono elette dalla coscienza. Dimmi che sentinelle hai dentro di te e ti dirò chi sei: se a te preme il giudizio della repubblica letteraria, allora so come sei, ti dirò anche come devi fare…

 

…ti dò una mano...

 

se a te preme del giudizio del tuo amico d’infanzia che ti segue, rimasto nella campagna, se ti preme il suo giudizio, il giudizio della povera gente, allora sei su un’altra strada. Anche se pure la povera gente è omologata. Questo è poi il dramma: anche per questo il fascismo fu un fenomeno drammatico…

 

A Silone questa contraddizione è ben presente e chiara: non rievoca con esplicita simpatia Pisacane, partito con i suoi per liberare il popolo e finito massacrato proprio per mano del popolo?

 

Già. La cultura della povera gente spesso è in realtà la cultura data dal potere. Il Meridione, purtroppo, è questo, parlando per grandi linee: in questi centocinquant’anni ha avuto fremiti rivoluzionari. Si è omologato, voglio dire. La plebe napoletana era per il re, era per la monarchia.

Questo ci porta anche a capire un discorso importante, a mio giudizio. Dopo il crollo del comunismo staliniano, a cui si ribellò il nostro Silone in momenti drammatici, ci accorgiamo qual è la vera causa del fallimento delle rivoluzioni: è di presumere di trasferire l’idea rivoluzionaria dall’alto in basso e, quindi, non di assecondare la coscienza degli oppressi, ma di manipolarla, di integrarla. Il fallimento dell’idea leninista della rivoluzione è qui: la coscienza rivoluzionaria è propria di un partito, di un’élite che la trasmette alle plebi. Invece, Silone appartiene a quella schiera di falliti, ma di perennemente risorgenti, che dice che la coscienza rivoluzionaria è interna agli oppressi. Gli oppressi la devono esprimere, sono loro che portano in sé la cultura alternativa. Quindi è chiaro che un intellettuale, diciamo, gramscianamente, organico agli oppressi non è uno che si fa il portavoce dell’élite intellettuale del partito; è uno che interpreta maieuticamente la coscienza degli oppressi. Ora, Silone si è mosso, certo, con solitudine... a volte con ondeggiamenti. Io qui non voglio dare una lettura di Silone basata su una conoscenza analitica della sua opera, però intuitivamente credo che Silone ha dovuto muoversi fra questi due opposti richiami.

 

A volte, per la verità, dà una sensazione d’ambiguità, in qualche momento...

 

...l’ambiguità è purtroppo uno scotto che va pagato…

 

...soprattutto nell’ultima fase, prima dell’uscita dal partito comunista: il suo rapporto con Trotsky, o meglio con suoi compagni divenuti trotskisti, praticato ma negato, testimoniato da lettere di solidarietà, anche di avvertimento: "attento che ti fanno fuori; attento che ti stanno seguendo", però poi negato...

 

D’altra parte… sa…  questo è anche comprensibile perché appena si entra nelle dialettiche della cultura ufficiale, diciamo anche di un partito, con questo carico dentro, non è facile trovare una giusta collocazione, non sempre se ne ha la capacità: ecco perché Silone non è un Togliatti... Togliatti, secondo me, fu anche grande; ma entrò, appunto, con grande fiuto nella scacchiera delle parti.

 

Intuiva subito da che parte stare...

 

Però, da Togliatti non possiamo aspettarci niente di più di quel che ha dato. Togliatti è tutto edito, per così dire; Silone è parente degli uomini inediti, di coloro che, appunto, vivono con tutti i propri fallimenti e con tutti i propri compromessi. La sua fu un' invincibile fedeltà alla propria origine, da intendere non solo in senso anagrafico ma nel senso assiologico, cioè ai valori fondanti dell’esistenza: ecco dov’è il cristiano anonimo, il cristiano senza chiese, l'opzione per l’uomo autentico, per il povero, il mite. Un’opzione, per me evangelicamente fondamentale, che rende però inevitabilmente "eretici". Perché l’eretico è colui che si separa; da chi? appunto: a deciderlo è chi detiene le tavole della cultura dominante.

L’uomo eretico, nel senso che ora ho spiegato, non se ne deve certo preoccupare più di tanto. E tuttavia egli deve vivere nella comune degli uomini, deve portare avanti anche la voce che gli oppressi gli hanno trasmesso, e non può farlo che dentro il foro, o il sinedrio, o il pretorio. E’ lì, la fatale necessità, come per Francesco quando, non volendo, scrisse una regola. Gliela bocciarono, la prima regola, perché non era fatta come si deve: non c’erano le punizioni, ordini, c’erano esortazioni. Gliela fecero riscrivere e lui se ne andò. Trovò l’uscita di sicurezza, che per lui fu la Verna.

 

A proposito  di questa Sua definizione dell' uomo edito  e dell'uomo inedito, io ho avuto la sensazione - riguardando la vicenda di Silone - che se oggi, proprio oggi, noi chiediamo a chiunque e a ciascuno un giudizio su Silone, nessuno osa  esprimere su di lui un giudizio negativo. Come si concilia questo? Non è ancora una forma di rimozione il fatto che, poi, alla fine, tutti ne dicano bene, e così la partita sarebbe chiusa? anche i comunisti, voglio dire, o gli ex comunisti del Pds; anche i cattolici, anche i socialisti…

 

…sì, sì, anzi saranno portati a rivalutarlo…

 

…già, ma noi vogliamo precorrere i tempi, prima che lo rivalutino condannandolo definitivamente, Lei intende… Un accenno di rivalutazione c’è già stato, anche se è stato subito dimenticato perché è comunque difficile, credo, per il partito comunista e ora per il PDS, accettare una figura come quella di Silone; e non lo è meno per un cattolico o per un socialista, di là dalla retorica delle commemorazioni ufficiali.

 

E no, non è facile per i comunisti, perché essi devono fare una profonda revisione della loro storia che, anche se hanno cominciato a farla, non è poi così semplice come può sembrare anche a loro. Essi non hanno categorie alternative per giustificare, oggi, la propria posizione politica. Il pericolo, per i comunisti d'oggi, è  l’omologazione, come è accaduto ai socialisti. E tuttavia, sottrarsi a questo pericolo che cosa vuol dire? Rimanere forse dentro la forma comunismo? no, non è più  possibile.   

 

Non serve proprio più il marxismo? per niente?

 

Sono tutt’altro che convinto che non serva più. Io recupero, del marxismo - cosa che del resto si faceva classicamente -, l'intuizione rivoluzionaria del Manifesto, in cui si pone la prospettiva di una società in cui la libertà di ciascuno sia effetto e condizione della libertà di tutti, in cui si fa l’analisi dell’alienazione umana all’interno della sfera produttiva. La componente utopica in Marx non va affatto perduta.

E però la critica di Marx si svolge - ecco qual è la estraneità antropologica di Silone al marxismo (magari, non se ne rendeva conto nemmeno lui) - all’interno di quella cultura "moderna" di cui parlavo agli inizi, secondo cui le dialettiche sono fra due soggetti: la borghesia e il proletariato. Tutto il resto, quello che non è borghesia e non è proletariato, non è soggetto storico. Il mondo di Silone, invece, non è né borghesia né proletariato, come il mio delle origini. Ora noi stiamo riscoprendo, a scala planetaria, nuove soggettività. Ormai è chiaro che le dialettiche della storia umana non sono quelle che si giocano in questo piccolo promontorio che si chiama Europa, sono quelle del pianeta. E non per nulla, ora, perfino le culture subalterne dell’Europa stanno riscoprendosi; e non vogliono, per così dire, omologarsi alla dialettica che ha sinora governato tutto. Anche il proletariato è stato, in qualche modo, assunto all’interno del destino della borghesia, dal momento che il modello della civiltà industriale, con tutti i suoi annessi e connessi, è stato assunto come unico modello valido. Oggi è in crisi quel modello, ed emergono soggettività storiche che erano rimaste ai margini e che hanno la loro parola da dire.

Sono soggettività che cambiano il sistema, perciò potenzialmente rivoluzionarie.

Ora, per queste soggettività, il marxismo tradizionale ha poco da dire.

Appunto perché era interno alla forma storica della civiltà industriale, quella che nell’Abruzzo di Silone, nel mio paesino, invece non c’era.

 

C’erano i contadini...

 

C’erano i contadini. Ma i contadini, infatti, non erano soggetti rivoluzionari; anzi spesso erano reazionari. La reazione contro l’unità d’Italia, qui, in Toscana, fu fatta appunto dai movimenti contadini al nome di "Viva Maria".

 

Anche se non è che i contadini siano stati solo reazionari...

 

No, no. C'è un personaggio della mia comunità montanara, Davide Lazzaretti, che era un profeta-contadino. Creò una comunità di contadini, che mettevano tutti i loro averi insieme e, leggendo il Vangelo, volevano una repubblica di Dio. Un carabiniere, nel 1878, uccise Lazzaretti con una fucilata e la cultura dominante, con Cesare Lombroso, il grande criminologo, portò i suoi abiti nel Museo dei Criminali! Era un innocente ammazzato, ma siccome voleva sovvertire l’ordine… allora era un criminale! E’ sepolto, Davide Lazzaretti, a trenta metri dalla tomba di mio padre.

Sono convinto che il disastro attuale è nella integrazione attraverso il consumismo, attraverso i mass media, delle frange estranee dentro la cultura dominante. I nipoti di Lazzaretti vanno in giro col transistor e pensano alla casa al mare, mi spiego? E’ una forma di subalternità grave, in un certo senso.

Allora, ritorno a dire: in Silone c’è un magistero di vita e di creazione culturale-letteraria, che mette in luce non già - io non so quanto ne fosse cosciente lui stesso... - una vera cultura marxista…

 

...lo dice anche lui che di queste cose ci si rende conto dopo…

 

Però sono convinto che la critica di Marx alla società industriale vale ancora; solo che le contraddizioni che vive la società non si riducono a quelle dell’homo oeconomicus, sono di altra natura, e per queste contraddizioni Marx non ha quasi niente da dire: sono la novità del nostro tempo, la novità del nostro tempo che ci porta in casa gruppi etnici estranei

 

e chi ha da dire qualcosa più utilmente?

 

Più utilmente, non lo so. Io non so trovare ora un maestro... Non c’è un Marx nel nuovo tempo e non so se ci potrà essere. Anche perché i pensieri di Marx (l’ho dimostrato in un’enorme Storia della filosofia che ho scritto) arrivano per genealogia dal pensiero - per andare vicino - di Spinoza, di Hegel, cioè sempre in una linea eurocentrica. Noi siamo in una realtà dove non è più pensabile uno sviluppo del pensiero unilineare, come è avvenuto invece in Occidente. Ci troviamo a confrontarci con culture altre dalla nostra, culture che rischiamo di disprezzare appunto perché non assomigliano alla nostra. Noi diamo valore di cultura soltanto a ciò che si esprime nel libro, concettualmente; e invece ci sono culture erompenti: da quella islamica a quella indiana a quella latino-americana, che hanno la loro parola da dire. E’ questo,  il grande mondo siloniano del 2000.

Ora, io non devo attribuire a Silone compiti che non erano suoi. Però, per analogia, io sento che il compito nostro, oggi, è questo: devo saper parlare non tanto a nome dei villaggi emarginati dell’Abruzzo, ma dei villaggi del pianeta. Questa è la novità.

Chi sarà il nuovo Marx? Non lo so… Ci vorrà forse un Marx collettivo, non più un individuo, foss'anche un genio, che non è mai programmabile. Sento però che la cultura che deve emergere è questa. La cultura occidentale, secondo me, sta lentamente deteriorandosi, è dominata dalla sindrome della paura, anche se non non lo dà a vedere e sembra molto sicura di sé.

 

Anzi, sembra vincente,  trionfante…. Lei diceva, però, della cultura occidentale sinora dominante e dell'esplodere invece, ora, di queste culture, delle quali bisogna tener conto. Queste culture ci sono sempre state: perché oggi vediamo che esistono mentre sinora abbiamo ritenuto che quella eurocentrica fosse l'unica o almeno l'unica che valesse la pena riconoscere? Perché solo oggi ci rendiamo conto che la storia l'ha scritta questa cultura eurocentrica e che le altre - che pure c'erano - sono state soffocate?

 

Certo, certo che c’erano. Però c’è una novità che le interpella, che le costringe a uscire. Anche le altre culture erano tutte etnocentriche anch’esse, cioè centrate sulla propria etnia, sul proprio orizzonte d’esperienza, per cui si trattava di culture, sommariamente parlando, giustapposte, esterne l’una all’altra. Per andare un momento nella grande storia, ancora una volta prendiamo il 1400.

C’erano nella mappa della umanità delle culture immense: quella cinese, quella indiana, quella islamica, quella della cristianità europea che erano, possiamo dire, senza contatti. Non c’era una cultura egemone, planetaria. Avevano uno sviluppo etnocentrico, con conflitti marginali.

Che cosa è avvenuto? Il merito - se vogliamo, anche la iniquità - della cultura europea, attraverso la rivoluzione scientifica industriale, è di aver realizzato un'egemonia planetaria e di aver creato una struttura tecnologica planetaria che obbliga - ecco il punto nuovo - le culture sommerse a venir fuori, le culture chiuse in sé o a scomparire o a confrontarsi.

Questa è la situazione epocale nuova in cui siamo, i cui aspetti, potremmo dire capillari, si vedono anche nel mio paesino, e in Abruzzo, e ovunque.

 

Qual è precisamente il suo paesino?

 

Santa Fiora, sul Monte Amiata, un paesino medioevale. Però, nel mio paesino oggi ci sono gli stessi consumi che in città, le stesse manie. C’è lo spopolamento,  i bambini nascono di meno, ma c’è tutto...

Che cosa è avvenuto? E’ avvenuto che questo modello vincente è colpito da sentenza di morte, perché non ha la possibilità di espandersi sul pianeta terra, per una ragione entropica. Io dò molta importanza a questo principio, che per me è un principio strutturale analogo a quello che Marx aveva individuato nella economia dello sfruttamento, nell’analisi del plus valore. C’è un limite allo sviluppo, per cui, oggettivamente, il modello di vita realizzato in questa porzione dell’umanità, che è la quinta parte del tutto - a essere generosi - non può essere estesa agli altri quinti, perché questo non è tollerabile dagli equilibri ecologici. E, allora, una delle due: o gli altri si adattano a rimanere sfruttati, emarginati etc. - e la cosa non mi pare prevedibile - oppure ci vuole una revisione di fondo di questo modello di cultura, che sia condotta all’interno della zona metropolitana, che è la nostra.

Dovranno, dunque, essere recuperati quei valori della convivenza umana che non sono interni alla cultura della competizione, tipica dell’Occidente egemonico: il libero mercato, la guerra come strumento di soluzione dei conflitti. Le culture chiuse in se stesse sono provocate: non è più possibile che restino lì, perché, appunto, c’è la pervasività planetaria del modello, una pervasività a livello di sfruttamento. Noi vediamo, per esempio, che il petrolio del Golfo serve a questo modello; il legname delle foreste dell’Amazzonia serve a questo modello… Questo modello, insomma, non si può reggere se non assorbendo le risorse nel pianeta.

E così anche gli Indios si stanno mobilitando…  Io mi sto occupando molto degli Indios, perché siamo al 1992, quinto centenario della scoperta dell’America. Sono responsabile di un comitato nazionale per la controcelebrazione della scoperta, perché siano gli "scoperti" a raccontare la scoperta.

 

In che modo?

 

Ci faranno capire che è stato un genocidio di impressionanti proporzioni, il più grosso genocidio della storia, di cui la nostra memoria pubblica non registra nulla, a cominciare dalla Chiesa: 70 milioni di Indios sterminati. Proprio in questi giorni mi sono occupato della pubblicazione di un documento del Settecento di un abate toscano, il quale manda a un’accademia una sua memoria in cui parla di questi Indios, citando autorità - alle quali io avrei potuto aggiungere Kant, Voltaire per parlare di uomini di primo piano - che dicono che gli Indios non sono uomini, al più sono uomini-bambini che rimarranno così e la cui cultura è del tutto da disprezzare.

Ora, noi scopriamo che la cultura india è una grande cultura, una cultura che si fonda su valori antitetici ai nostri: per esempio, il senso della terra, il senso della natura. Senza entrare nei particolari: noi abbiamo oggi, per sopravvivere, la necessità di ascoltare altre culture che fan parte della medesima avventura della specie umana.

sono portato a sottolineare questo punto: in questo momento, per la prima volta nella storia, la specie umana come tale è sotto rischio. La specie umana, nelle molteplici sistemazioni culturali che si è data e che noi eravamo soliti distinguere in primitive, sviluppate etc., è chiamata ad assumersi la responsabilità della sopravvivenza. Le culture che si isolano per difendersi sono culture perdute, che vengono meno a un imperativo che tocca ormai, quali che siano le strutture del passato, la specie intera. Ogni tentativo di difendere la propria identità culturale è ambiguo, perché, come avviene nell’Est europeo, una delle due: o volete difendere la vostra diversità culturale isolandovi, rinunciando ad assumervi le responsabilità che competono a tutti, e che richiedono unità sovranazionali, una comunità mondiale; oppure se vi isolate siete morti. Non c’è altro futuro.

 

Questo però non significa, professore, che non si riproporranno tutt’interi le questioni e i conflitti che noi abbiamo attraversati e attraversiamo: basta questo occhio sugli altri popoli, sulle altre civiltà, a farci sperare e a farci lavorare per un mondo e per un'umanità che non siamo quelli che, noi occidentali, abbiamo conosciuti?

 

No, no… ma non saremo noi da soli a risolverli, i problemi e i conflitti. Non toccherà a noi risolverli. Dobbiamo risolverli con gli altri, con loro. Per ripetere una frase del filosofo francese Levinas, molto bella: «L’europeo è andato in tutte le parti del mondo, ma non ha mai incontrato l’altro». Perché l’altro, quando lo incontrava, o lo assimilava o lo distruggeva. Oggi deve imparare a parlare con l’altro ed è il primo momento in cui può farlo nella sua storia. Ora, quando parlo dell’altro, parlo certo dell’indio, del negro, del musulmano,  del cinese, non in quanto sono già stati omologati ma in quanto hanno difeso la loro alterità. Interrogare l’altro per scoprire la sua alterità, significa dilatare la mia umanità, risalire anche alle radici mie.

 

Per quanto ci riguarda, Lei parla anche un po’ di noi, meridionali?

 

Il dilemma del Meridione non è molto diverso. Io ho parlato della bassa Toscana, ma a mezz’ora di macchina da qui c’è Barbiana, il paesino di don Milani...: i problemi si riproducono in scala diversa in ogni luogo.

 

Noi meridionali, per esempio, professore, rispetto all’unità d’Italia che cosa siamo?

 

Voi siete stati oggetti di storia, non soggetti di storia. L’unità d’Italia va ripensata appunto perché è stata un’avventura governata da una classe ridotta e geograficamente dislocata tra Firenze, Milano, insomma nel centro-nord. Il sud non ha vissuto l’unità d’Italia se non di riflesso, e quindi ha dovuto subire i modelli, le progettazioni che sono state fissate dall’Italia economicamente sviluppata, agraria e industriale. Per cui il sud dell’Italia è diventato semplicemente oggetto di integrazione, di compensazione, di alimentazione di un progetto gestito da altri.

Gli uomini del sud sono stati anche importanti (pensiamo a Crispi), però sono stati omologati dalla classe risorgimentale, che è la classe del centro-nord, cioè la  (adesso uso il termine con molte nuances).

La borghesia non c’era nel sud data la struttura feudale; c’era un sottoproletariato, non c’era il proletariato, non c’erano ceti intellettualmente evoluti, salvo eccezioni, ma l’eccezione conferma la regola. C’era un Settembrini, c’era un De Sanctis, quel che voi volete. Ricordo alcune pagine di Pasquale Villari scritte nel 1871: «O voi date a questa gente la possibilità di un suo sviluppo, o domani saranno tutti contro voi», diceva ai suoi colleghi di Parlamento. Alcuni avevano coscienza del problema, ma la questione meridionale è stata mal risolta, perché è stata risolta nel quadro di un’egemonia, che era analoga a quella dell’occidente nei confronti del Sud del mondo. E siccome mai i conti sono del tutto chiusi nella storia, noi che inveiamo giustamente contro la mafia, la ‘ndrangheta, la camorra, dobbiamo anche ricordarci dei debiti storici: cioè che lo Stato, di cui noi celebriamo continuamente la dignità, l’importanza, laggiù non c’è mai stato.

 

Non proprio o non solo, direi. Talvolta proprio lo Stato ha utilizzato questa criminalità - mafia, camorra, ‘ndrangheta - per il controllo e lo sfruttamento delle popolazioni…

 

Sì, e si è creato un sottostato autonomo. Si sono create forme di organizzazione analoghe a quelle dello Stato, però di carattere privato. Questo male ha un’origine antica, naturalmente.

 

Che non è soltanto un fatto locale, per così dire...

 

No. L’ultima fase della storia della mafia è questa che stiamo vivendo: da quando, cioè, essa si è legata alle forze finanziarie internazionali e anche alle istituzioni politiche pubbliche.

 

E dall’Europa, noi meridionali possiamo aspettarci qualcosa?

 

Dipende dalle scelte dell’Europa, perché anche l’Europa è nei guai.

L’Europa o disegna il proprio futuro nel quadro geopolitico che sta tra un polo economico che sono gli Stati Uniti e un altro polo economico che è il Giappone, cioè sul versante nord, per inserirsi nella competizione tecnologico-economica, e allora il suo destino è disastroso, a mio giudizio. Disastroso per ragioni che adesso non posso mettermi a discutere, ma essenzialmente perché il modello dell’Europa dell’ovest non può inglobare in sé tutta l’Europa dagli Urali all’Atlantico: non ce la fa, perché le masse dei disoccupati farebbero schiantare il sistema. Oppure l’Europa sceglie il versante sud.

Il futuro dell’Europa, a mio parere, è il Mediterraneo, perché nella sponda sud del Mediterraneo c’è il Maghreb, c’è il Medio Oriente, che hanno, per esempio, un’onda demografica spaventosa rispetto alla denatalità della sponda nord (e questo non è che un aspetto).

Il futuro economico e culturale dell’Europa non è nel nord, è nel sud, nel sud del mondo.

Il sud d’Italia, dunque, è alla vigilia del suo destino, può esserlo. Come si è detto, parlando della Spagna: "La Spagna ha questo di proprio: che è l’Africa dell’Europa ed è l’Europa dell’Africa", potrei dire che anche il sud d’Italia è l’Africa dell’Europa, ma è insieme l’Europa dell’Africa e del Medio Oriente.

Ecco - per ritornare al discorso antropologico che si faceva - il riconoscimento del valore delle culture "indigene", fuori da ogni forma di integrazione nel modello del centro-nord, può essere non solo una ricomposizione finalmente capace di attuare il sogno che ha accompagnato l’Italia dall’Unità, ma anche l'occasione per una rivoluzione tecnologica nel sud, misurata sulla cultura del sud, sulle potenzialità del sud. Noi ci troviamo in un’Europa che, se la guardiamo nella parte felice, è dominata dal rito delle eccedenze produttive. Ci sono magazzini sovrabbondanti. E in fondo, oggi l’Europa sta giocando proprio al sud, mette dei limiti. Bagnoli non serve più? Via!  Il sud subisce le alterne vicende di un’economia che è al di fuori della sua consapevolezza e della sua possibilità di intervento e di controllo.

 

A proposito, professore, di queste considerazioni sul meridione, sul Mezzogiorno d'Italia come nord dell’Africa e Africa del nord, qual è stata a Suo parere la caratteristica fondamentale del processo di unità a cui è pervenuta l’Italia? Qual è stato in particolare il ruolo della Chiesa? Secondo Silone (ed è questo uno dei punti-cardine del suo saggio Il Fascismo, che andiamo pubblicando su "Sudcritica"), in tutta la fase precedente al fascismo, la Chiesa per un verso e per altro verso le forze che poi fecero l’unità d’Italia utilizzarono le masse ma per scopi diversi  ed anzi opposti, e comunque fino ad un certo punto. Fin dove, cioè, lo consentì il timore di movimenti insurrezionali autonomi, di spinte rivoluzionarie autonome del proletariato e del sottoproletariato, dei contadini poveri, dei cafoni. Insomma, la Chiesa - secondo Silone - utilizzò queste masse ma contro l'Unità d'Italia, che le avrebbe sottratto terre e potere; le utilizzò però fino a un certo punto, perché temette che spingendosi oltre si desse luogo a movimenti insurrezionali incontrollabili, fino a travolgere la Chiesa stessa. Anche il Partito Socialista, secondo Silone, si comportò nello stesso modo: aveva una grande forza che però teneva a freno perché temeva di esserne scavalcato e di non riuscire poi a dominarla.

 

Hegelianamente parlando, l’unità d’Italia è stata l’avventura portata avanti generosamente, direi con lungimiranza, da un’élite dislocabile nel centro-nord. Poi, si è aperto il baratro, perché questa unità, quando avrebbe dovuto realizzarsi nelle istituzioni e nell’economia, apparve un’impresa impossibile. Senonché furono due le forze che in qualche modo favorirono, in tempi diversi, l’integrazione.

Il comunismo ha avuto l’enorme importanza di integrare nel processo unitario le masse (perché, in fondo, Porta Pia è un’impresa borghese). Se si pensa al proletariato del nord, del centro-nord, l’importanza del Partito Comunista, in fondo, la si coglie nell'aver inserito nel problema dello Stato, attraverso la Resistenza in particolar modo, le grandi masse.

Questo ha fatto, in fondo,  anche la Chiesa, per quanto riguarda il mondo contadino e il mondo del sud. La Chiesa ha avuto un grosso ruolo, e anche la Democrazia cristiana in questo senso ha avuto un grosso ruolo: quello di appacificare con uno Stato estraneo masse i cui interessi non coincidevano con quelli di uno Stato a direzione borghese.

 

Ma questo lo ha fatto forse meglio Giolitti, per la verità…

 

Giolitti lo ha fatto attraverso l'abile manovra del "trasformismo"... Però anche il gioco giolittiano ebbe i suoi limiti, perché non raggiunse e non coinvolse le masse proletarie. Io penso qui ai miei minatori...

 

…se permette, però, Giolitti è stato più moderno nell’accezione negativa del termine alla quale Lei si riferiva; più moderno nel senso che le masse alle quali Lei si va riferendo in definitiva le cooptò; adesso è così - a me pare - nel senso che le masse sono cooptate per clientele, sono cooptate per stratificazioni di piccoli privilegi...

 

…sì, bisogna però vedere fino a che punto il proletariato non abbia esercitato, anche in maniera diretta e non puramente strumentale, una sua soggettività politica, una sua visione del mondo. Mi pare si debba dire che il proletariato italiano del 1991 non è quello di cinquanta o cento anni fa. I diritti sociali sono stati largamente diffusi, il sindacato ha avuto un suo ruolo...  A parte, s'intende, l’esito ultimo che può essere appunto l’integrazione nel sistema con sbocchi, tutto sommato, conservativi. Però, se guardiamo alla fisiologia dello Stato unitario, vediamo che il momento del convogliamento delle forze esterne al Risorgimento dentro allo Stato risorgimentale, è avvenuto per opera anche delle forza di sinistra, ultimo, in fondo, il partito comunista. Del resto, le scelte togliattiane - ricordiamo Salerno, etc. - sono state scelte non contro questo Stato, ma dentro questo Stato.

   

Fin troppo...

 

Fin troppo, appunto; lo sappiamo. E così della Chiesa potremmo dire gramscianamente che essa ha perso il potere ma ha mantenuto l’egemonia in Italia: il potere lo ha perso con Porta Pia - intendo il potere istituzionale, anche il potere economico, perché le sorgenti di ricchezze erano fondiarie - ma non ha perso certo la sua egemonia, nel senso cioè del potere culturale, del dominio sulle coscienze…

La Chiesa ha avuto fino ad oggi, ed ancora oggi ha in parte, una costante (la Chiesa edita, dico, quella contro cui io polemizzo). Il modulo, il paradigma teocratico della Chiesa - che c’è perfino in un’enciclica per altri versi ultramoderna, che è quest’ultima "Centesimus Annus" - è il paradigma che senza la Chiesa non si dà progresso. E quindi, che la Chiesa deve mantenere un potere se non diretto - ormai s’è rassegnata ad averlo perso - per lo meno indiretto, quello magisteriale, dell’insegnamento, della direttiva etica dello Stato. Questa è la sua pretesa. E di fronte a questa pretesa, la Chiesa ha cambiato i partners secondo le circostanze. Con Leone XIII - della cui "Rerum Novarum" celebriamo il centenario - ha compiuto ralliementes, cioè ha "accettato". Non accettava lo Stato liberale, lo Stato democratico: alla fine lo ha accettato, pur di conservare il suo ruolo egemonico. E ha patteggiato, in tutti i sensi. I patti col fascismo sono dovuti non al fatto che essa fosse fascista; ma al fatto che il fascismo le consentiva questa egemonia... Pensiamo agli spazi nella scuola... Si può dire che questo è vero ancora oggi. Lo vediamo: anche l’unità politica dei cattolici è stato uno strumento cui la Chiesa ha tenuto e tiene, per mantenere la sua egemonia sulle coscienze. 

 

Ma al cospetto dell'irrompere sullo scenario mondiale degli "altri" popoli, delle "altre" culture, come si colloca la Chiesa?

 

Ora la Chiesa si trova di fronte a un bivio: potremmo dire che essa deve scegliere tra una teologia della dominazione e una teologia della liberazione.

La Chiesa vive ancora dentro la teologia della dominazione, in cui cioè i riferimenti teologici servono a giustificare un certo ordine sociale, che è quello che giova alla egemonia della Chiesa e, diremmo, ai poteri costituiti, tutto sommato. Però, la Chiesa ormai è frazionata al suo interno: non solo nell’America latina c’è la teoria della liberazione - che, nonostante tutto, va avanti - ma anche nel resto del mondo. Io sono qui a parlare anche come uomo di Chiesa, con la quale però non sono sempre d’accordo.

 

Lei, professore, che cosa è nella Chiesa?

 

Io sono un sacerdote, anche con precisi ruoli. Ho avuto molte noie, ma ormai da una quindicina d’anni non ne ho nemmeno più...

 

Ed oggi, professore, Lei non coglie, come a noi capita di cogliere, un processo di grave restaurazione autoritaria, in Italia ma non solo in Italia?

 

Cominciamo a parlare del sud. E’ avvenuto e avviene che le uniche voci che si alzano a difesa degli oppressi sono quelle della Chiesa. Parlo delle realtà locali: penso ora all’amico Tonino Bello, di Molfetta, a Riboldi, via via... alla situazione siciliana, a Palermo. Però, che nella centrale della Chiesa predomini, come dicevo prima, un paradigma teocratico è vero; è vero quindi che si va assecondando quel processo di restaurazione al quale Lei accennava. In America latina si scelgono vescovi ligi al potere centrale, si scartano quelli troppo aperti alla teologia della liberazione, e anche in Italia si fanno scelte di potere di questo tipo.

Credo di poter dire che esiste una "Chiesa duale": c’è una Chiesa di apparato, che mira a restaurarsi e che però non ha più risorse. A cominciare dai preti: ce ne sono sempre meno, non ci sono più vocazioni. Bisognerà passare a un nuovo modello di Chiesa e credo che ci si arrivi. Poi c’è una Chiesa che cresce, invece, dal basso, molto legata appunto a quelle dinamiche, a quelle culture di cui parlavamo prima, a quelle frange dove la cultura dominante non arriva più: i drogati, gli immigrati, i carcerati stessi… Chi ne difende i diritti umani? sono spesso gruppi cristiani, non sono certo più i comunisti.

C’è dunque una Chiesa che rinasce, diremo silonianamente, accanto al povero cristiano, cioè alla gente che non ha potere, che non ha voce. E questa è una Chiesa che cresce, a mio giudizio, anche nelle zone come questa. Qui ho la domenica un’assemblea di tre o quattrocento persone che vengono da tutta la città, persone che magari sono senatori, sono magistrati, sono gente che ha scelto di lottare contro questo sistema pur appartenendo ad un mondo sociologicamente borghese. E’ venuto dal Perù, domenica scorsa, un complesso; abbiamo cantato insieme..., verranno gli Indios domenica prossima… Insomma, il problema nostro è di essere una grande quinta colonna degli emarginati.

 

...però, dal punto di vista, per così dire, statuale, ordinamentale...? che cosa accade? insomma, ai poteri costituiti che male fa che voi cantiate con senatori e con indios…?

 

...accade che questa è la Chiesa che cresce: l’altra Chiesa, dal basso, von unten, quella dal basso. E’ una Chiesa che cresce e il potere costituito non ce la fa più a dominarla.

 

E tuttavia, tutto questo concesso, Lei non vede che nella società e nelle nostre istituzioni e nei rapporti tra ceti e classi, addirittura tra individuo ed individuo, l'itinerario che ci stanno facendo percorrere rievoca per molti aspetti quelli altre volte percorsi e che portarono a soluzioni propriamente autoritarie?

 

Io sono molto più pessimista di Lei. Ho detto prima che l’Occidente, l’Europa, l’Italia sono avvinti da una sorte di sindrome della paura... diventano reazionari i socialisti...  c’è una spinta alla difesa, perché c’è l’oscuro sentimento che tutti gli esclusi stanno affollandosi alle porte, sia geograficamente sia sociologicamente: gli esclusi sono alla porte. Ecco che tutti gli apparati di potere, Chiesa compresa, stringono le fila e si demonizza il diverso... E’ una condanna. Si mette gli immigrati in carcere; a Rebibbia, nel carcere femminile, la maggioranza è fatta di donne negre. Sarà l’emarginazione, l’esclusione del diverso la tendenza di questi e dei prossimi anni...

 

E si demonizza anche la Costituzione, però...

 

La verità è che non solo si demonizza la Costituzione, ma si cerca di andare invece a soluzioni di tipo propriamente autoritario.

A mio parere, la spiegazione di tutto questo è quella che ho detta. Gli Stati, gli apparati di potere sono portati - proprio perché la contraddizione ormai attraversa i due emisferi - a favorire soluzioni dure… la guerra nel Golfo... le proposte per fare un esercito di specialisti, e così via: le proposte vanno sempre in quel senso.

Mi domando se tutto questo risponde, poi, alle vere attese della società e soprattutto della società meridionale.

 

Noi temiamo che tutto questo strappi consenso al sud.

 

Anch’io ho questa paura, perché la cultura trasmessa è quella del potere. Però io ho visto durante quella tragica trasmissione televisiva su San Luca d’Aspromonte, quando fu portato il cadavere di quell’uomo che aveva tentato su nel nord - vi ricordate? -  non so quale rapina... ho visto che la gente guardava e ce l’aveva con la polizia. C’è un popolo muto, un popolo ostile a questo Stato, che però non ha gli strumenti culturali per esprimersi. Io ho visto in questa estraneità ostile qualcosa di serio, perché quello è un mondo che ha conosciuto lo Stato solo con il carabiniere, non altro.

 

Professore, noi siamo un giudice e una giornalista...  come giudice e come giornalista, che cosa dobbiamo fare al cospetto di tutto questo? che cosa ci direbbe di fare?

 

Intanto per il giornalista è più semplice. Ma i giornalisti sono una pessima razza...

 

…proprio brutta...?

 

...terribile genus avrebbe detto Tacito, perché sono strumenti di questa omologazione culturale... E così anche per quanto riguarda i giudici. Lo sappiamo: non si può dire che i giudici siano tutti venduti… Vediamo che non è così. Essi hanno, anche nelle leggi esistenti, margini di discrezionalità in cui possono inserire un’altra lettura del diritto che non quella, appunto, della criminalizzazione del diverso.

 

Però, se lo fanno, e a volte lo fanno, o cercano di farlo, gliela fanno pagare...

 

Bisogna avere l’uscita di sicurezza.

 

Ha ragione, bisogna averla. Anche se un'uscita di sicurezza può finire per costituire una soluzione sterilmente individuale…

Professore, Lei ricorda che, appunto, in "Uscita di sicurezza" - questa domanda l’abbiamo già fatta al prof. Canfora - Silone racconta la storia del bambino-marionetta… mi permette di leggerGliela rapidamente?

All’inizio di "Uscita di sicurezza", Silone racconta questo episodio della sua fanciullezza; quando lo leggo, Lei certamente lo ricorderà. Dice:

 

«Ricordo in proposito una vivace discussione sorta un giorno nella classe di catechismo, tra noi ragazzi e il parroco. Ne fu causa una rappresentazione di marionette alla quale noi ragazzi, assieme al parroco, avevamo assistito il giorno prima. Il soggetto, lo ricordo benissimo, esponeva le drammatiche peripezie d’un bambino perseguitato dal diavolo. A un certo punto il bambino-marionetta era apparso sul proscenio tremante di paura e per sfuggire alle ricerche del diavolo si era nascosto sotto un lettino che occupava un angolo della scena. Poco dopo era sopraggiunto il diavolo-marionetta e l’aveva cercato invano.

"Eppure dev’essere qui", diceva il diavolo-marionetta, "sento il suo odore. Adesso chiedo a questi bravi spettatori". E rivolto a noi, aveva

chiesto: "Cari miei ragazzi, avete forse visto nascondersi in qualche posto quel bambinaccio che io cerco?"

"No, no, no", immediatamente gli rispondemmo in coro e con la più grande energia.

"Dove si trova, dunque? Perché non lo vedo?" insistè il diavolo.

"E’ partito, è andato via", noi gli rispondemmo, "è andato a Lisbona" (nel nosto parlare e nei nostri proverbi, Lisbona è ancora oggi il punto più lontano nel globo).

Devo spiegare che nessuno di noi, andando allo spettacolo, prevedeva di essere interpellato da un diavolo-marionetta; e il nosrto comportamento era stato pertanto del tutto istintivo e spontaneo. E suppongo che, probabilmente, in qualsiasi altro paese del mondo, davanti all’identico spettacolo, i bambini reagirebbero alla stessa maniera. Ma il nostro curato, una colta e pia persona...»

 

[per Silone, ha notato, professore?, i preti sono sempre stati abbastanza buoni, per la verità; sono individui buoni, inseriti in un contesto un po’ terribile]

 

«..il nostro curato, una colta e pia persona, con nostra sorpresa non fu interamente soddisfatto. Ce lo spiegò con rammarico nella piccola cappella di Santa Cecilia, ove di solito egli impartiva le lezioni di catechismo. Quel luogo a noi ragazzi era assai gradito perché la martire romana vi era raffigurata sull’altare nelle bellissime sembianze di una fanciulla bionda, assorta e melanconica, e con un oggetto tra le braccia somigliante in modo strano all’utensile domestico chiamato "chitarra", che nelle nostre case serve a fare gli spaghetti all’uovo. L’immagine ci attirava a tal punto che, per sottrarci a quella seduzione, almeno durante l’ora di catechismo, il curato era stato costretto a disporre i banchi di noi ragazzi in modo da costringerci a voltare le spalle a Santa Cecilia.

"Il vostro comportamento durante la rappresentazione delle marionette", egli ci disse dopo averci imposto di sedere, "mi è dispiaciuto".

Noi avevamo detto una bugia, egli ci avvertì preoccupato.

L’avevamo detta a fin di bene, certo, ma era pur sempre una bugia. Non bisogna dir bugie.

"Neppure al diavolo?" domandammo noi interdetti.

"Una bugia è sempre un peccato", ci rispose il curato.

"Anche davanti al pretore?" domandò uno dei ragazzi. Il parroco ci redarguì severamente.

"Io sono qui per insegnarvi la dottrina cristiana e non per fare

pettegolezzi" ci disse. "Quello che succede fuori della chiesa non m’interessa".

E tornò a spiegarci la dottrina sulla verità e sulle bugie, in generale, con bellissime e difficili parole. A noi bambini, però non interessava, quel giorno, la questione delle bugie in generale; noi volevamo sapere: "Dovevamo rivelare al diavolo il nascondiglio del bambino, sì o no?"

"Non si tratta di questo", ci ripeteva il povero curato, veramente sulle spine. "La bugia è sempre peccato. Può essere un peccato grande, uno medio, uno così così e uno piccolino; ma è sempre un peccato".

"La verità è", dicevamo noi, "che da una parte c’era il diavolo e dall’altra c’era un bambino. Noi volevamo aiutare il bambino, quest’è la verità".

"Ma avete detto una bugia", ripeteva il parroco. "A fin di bene, lo riconosco, ma una bugia".

Per farla finita io gli mossi un’obiezione d’una perfidia inaudita e, tenuto conto dell’età, piuttosto precoce:

"Se invece d’un bambino qualsiasi si fosse trattato di un prete" gli chiesi "che dovevamo rispondere al diavolo?".

Il parroco arrossì ed evitò una risposta, imponendomi, come punizione per la mia impertinenza, di restare tutto il resto della lezione in ginocchio accanto a lui.

"Sei pentito?" mi chiese alla fine della lezione.

"Certo", gli risposi. "Se il diavolo mi chiede il vostro indirizzo, glielo darò senz’altro"».

 

…molto bella… molto bella…

 

E’ bella, vero?

 

Molto bella, davvero…

 

C’è tutto, no? C’è questa cappa di regole, di norme, di schemi...

 

…sì, sì... dove si rivela il formalismo moralistico della Chiesa che, in genere, giova sempre al diavolo. Prescinde dal riferimento alla sostanza delle cose e risolve le contraddizioni attraverso l’applicazione di un formalismo moralistico che giova sempre al più forte.

Come quando si dice: la lotta di classe è male, perché bisogna volersi tutti bene. Ecco, ma se io vedo che uno bastona un altro e quest’altro si ribella, da che parte sto? mi domando io. Da nessuna delle due parti, si replica,  perché non dobbiamo inserirci nella lotta. Però di fatto questo significa, allora, favorire il bastonatore. Questo è avvenuto. E’ un apologo che può essere applicato alla storia intera, insomma. Si condanna la rivoluzione, ma non si condanna la violenza istituzionale.

 

Il prof. Canfora, nella sua posizione un po’ difficile per il suo schema culturale per giunta vissuto con totale onestà intellettuale e morale, alla mia domanda se bisognasse salvare il bambino mi rispose: "Bisogna vedere che bambino è". Bisogna vedere, disse; perché potrebbe andare a finire che salvando il bambino  si compromette la giusta causa: per eccesso d’amore per l’individuo si può finire con l'ammazzare una massa d’individui. Io gli dissi: professore, io non Le so spiegare teoricamente, ideologicamente perché la penso diversamente, ma… mettiamoci d’accordo: glielo diamo al diavolo questo bambino? può essere anche un SS, può essere anche un nazista, però se ci capita tra i piedi, a tu per tu, tu che fai? lo dai? che fai? che facciamo, professor Balducci?

 

Ah… no… no, non glielo diamo mai… mai. Il discorso della bugia, poi, è tutto un discorso formalistico, appunto perché la bugia si dice quando si nega la verità a uno che ha il diritto di saperla.

 

E se il partito, la Chiesa, lo Stato o qualunque altro apparato costituito in luogo di comando e di controllo si arrabbiano con me perché gli ho negato, appunto, il diritto di sapere? mi riconosceranno il diritto mio alla disubbidienza, in nome di quelle "sentinelle" morali delle quali Lei parlava all'inizio della nostra conversazione? che forza avrò per imporre a mia volta il rispetto ed il riguardo per quelle "sentinelle" mie?

 

C’è l’uscita di sicurezza, questo è il discorso. Ma intendiamoci: l’uscita di sicurezza non è la ricerca individuale di salvezza, come Lei ha temuto un attimo fa: uno si compromette invece, dà anche la sua vita per non tradire un debole, un perseguitato. Uno deve essere pronto anche a compromettere se stesso, evidentemente. Ora non so se Lei si riferiva a Trotski, in riferimento a Silone

 

Per qualche verso, sì. In sostanza, Silone, nel suo rapporto con Trotsky, assunse qualche atteggiamento che legittimò formalmente l'accusa nei suoi confronti di trotskismo. Naturalmente, qui non si tratta di discutere le ragioni di Trotsky o quelle di Stalin, quelle di Togliatti o quelle di Silone… Qui, il problema è più semplice e più terribile:  chi dei due, in quel drammatico contesto, fu il diavolo-marionetta, chi il bambino-marionetta? o bisognava fare in modo che si salvasse?

 

Certo, bisognava salvarlo. Io non ho nessun dubbio.

Penso con sgomento a quanto uno dovrebbe pagare per questa sua scelta; questo sì. E qui, posso essere tollerante sulla paura. Ma sull’imperativo morale del momento non ho nessun dubbio.

 

E allora noi ci salutiamo così…  lo salviamo…

 

Lo salviamo.

 

Fiesole, 30 maggio 1991

Ultimo aggiornamento Giovedì 30 Giugno 2011 17:35
 

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‪‎Investire‬ nell'‪olivicoltura‬ significa anche ‪valorizzare‬ il ‪territorio‬ e il tessuto‬ ‪sociale‬.
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=IL COMUNE DI MODUGNO ABBATTE IL 'MURO'. LO ACQUISTO' COME OPERA D'ARTE, LO DISTRUGGE COME BAGNO FATISCENTE=
di Francesca Di Ciaula.Il 2 febbraio scorso, in piazza Romita Vescovo, un tempo adibita a mercato del pesce, sono iniziati i lavori di demolizione della parete adiacente ai bagni pubblici.
La motivazione è presto detta: sicurezza e salvaguardia della pubblica incolumità, fatiscenza delle strutture. Il tutto per una spesa di 35 000,00 €.
La parete ricoperta di marmo nero, fu costruita a ridosso della chiesa seicentesca delle Monacelle in pieno centro storico, per nascondere un bagno pubblico, alla vista di chi sostava nella piazzetta. Una visione dai contrasti indicibili. Un monolite scuro e dietro la parete chiara dell'antica chiesetta. L'antico e il nuovo, maldestro tentativo di dare dignità al piastrellato che ha invaso il paese, eppure opera pubblica. La modernità imposta per capriccio o arbitrio, il marmo contro la pietra povera antica. Oggi ulteriore denaro pubblico è stato impiegato per distruggere quel manufatto a nessuno mai piaciuto per la sua manifesta volgarità.

[v.leggi tutto in Sudcritica Modugno]

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=ITALIA GIUSTA, IL COMUNE DI MODUGNO BLOCCHI LO 'SFRATTO' DELL’ISTITUTO DEL NASTRO AZZURRO=
di Tina Luciano.

Il movimento Italia Giusta secondo la Costituzione sollecita il Commissario prefettizio a Modugno perché blocchi lo ‘sfratto’ dell’Istituto Nastro Azzurro fino a quando sarà pronta la nuova sede ad esso destinata, in locali comunali che oggi ospitano i Servizi sociali.Il Museo e le Associazioni combattentistiche raccolte nell’Istituto custodiscono oggi le poche tracce esistenti di una memoria collettiva di Modugno, perse le quali va definitivamente in frantumi l’identità dell’intera città.
Un luogo della memoria va protetto e tutelato: insistere nel volerlo ‘sfrattare’ ha il sapore iconoclasta della provocazione, del voler far apparire come insensibile al bene pubblico una pubblica amministrazione che deve invece avere a cuore unicamente le esigenze sociali.

[v.anche in Sudcritica Modugno]

I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=CONSUMO DI SUOLO E COMUNITA' SENZA IDENTITA'. INCONTRO CON GIUSEPPE MILANO=
Il 23 gennaio 2015. Sono intervenuti Pasquale De Santis e Nicola Magrone."Contro il mostruoso consumo di suolo in tutta Italia, serve una mobilitazione dei cittadini, una coscientizzazione che ci faccia capire che la cementificazione costante ha un forte impatto sociale, significa alienazione, perdita di coesione della comunità, significa che non esiste più un'identità delle nostre città. Sentiamo spesso dire che si vuole 'costruire il futuro': ma lo si dice a vuoto, mentre si perpetuano questi atteggiamenti di noncuranza e di malapolitica. Costruire il futuro significa cominciare a far le cose per bene ogni giorno nelle nostre città. Quel che è successo a Modugno lo sapete voi, non ho titolo per parlarne ma parlano i fatti. Basta col dire che edilizia e urbanistica vanno visti come motore dello sviluppo, se poi sappiamo che servono per creare solo lo sviluppo di pochi... basta!"

Riprese video di A.Covella per Italia Giusta/Sudcritica

[v.anche in Sudcritica Modugno]

=DISCUSSIONI=

=SOVRANITA' NAZIONALE
MONETARIA
E DEBITO PUBBLICO=

Serafino Pulcini/
Mino Magrone

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I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=PROTEZIONE CIVILE, INCONTRO CON GIUSEPPE DI CIAULA=
Il 9 gennaio 2015. Coordinamento, formazione, esercitazioni, sicurezza sono i cardini di una buona protezione civile.Fondamentale un piano dettagliato di intervento, con volontari professionali i quali - quando dovessero verificarsi emergenze - sanno che fare ma non usurpano i compiti dei professionisti. Partecipano il presidente di Italia Giusta secondo la Costituzione, Pasquale De Santis, e Francesca Di Ciaula, della segreteria del movimento.
Riprese video di A.Covella per Italia Giusta/Sudcritica

[v.anche in Sudcritica Modugno]

I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=PROTEZIONE CIVILE, INCONTRO CON WILLIAM FORMICOLA=
Il 12 dicembre 2014, su ''Stato di salute del territorio italiano e ruolo della protezione civile''.Al centro dell'intervento, le azioni che gli amministratori devono compiere per prevenire, e per intervenire nel verificarsi di emergenze; gli effetti della mano dell'uomo sull'aggravamento dei rischi, i pericoli legati al consumo del territorio e al costruire senza regole. E' intervenuto il presidente di Italia Giusta, Pasquale De Santis.
Riprese video di A.Covella per Italia Giusta/Sudcritica

[in Sudcritica Modugno]

=POLITICA E CONSENSO=

=LA POLITICA
DELLE LOCUSTE=

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se si vuole tentare
un recupero
delle regole
che tutelino tutti,

bisognerà scontentare
i gruppetti di interesse
che si concentrano come locuste
intorno al patrimonio pubblico

di  Tina Luciano
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I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=CULTURA, SCUOLA E
TERRITORIO E LA 'NUOVA'
FIERA DEL CROCIFISSO
A MODUGNO=

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Per i Seminari di Italia Giusta
secondo la Costituzione,
incontro - il 21 novembre 2014 -
col musicista dei Radiodervish
Michele Lobaccaro
e con Francesca Di Ciaula
e Valentina Longo.
Su politiche culturali a
Modugno, sul successo
della 'nuova' Fiera
del
Crocifisso inaugurata
con l'amministrazione
Magrone
e sull'importanza
delle relazioni
tra scuola e territorio.

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=DISCUSSIONI=

=ECONOMIA E UE.
CI VORREBBE KEYNES
MA E' TROPPO
DI SINISTRA=

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Ilquadro
macroeconomico

dell’Europa
dovrebbe suggerire
la ripresa di politiche economiche
poggiate sulle argomentazioni
della cosiddetta sintesi postkeynesiana.
Invece, ciò è ancora molto lontano
dall’essere preso in considerazione
dalle istituzioni europee

di  Mino Magrone

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I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=LE SCELTE FISCALI DELLA GIUNTA MAGRONE PER PROTEGGERE I CETI MENO ABBIENTI=
Incontro con Dino Banchino.

Per i seminari di Italia Giusta secondo la Costituzione, incontro con l'assessore al Bilancio dell'amministrazione comunale di Modugno guidata da Nicola Magrone.Banchino ha parlato delle scelte fiscali fatte dalla giunta, tutte improntate all'art.53 della Costituzione italiana, per il quale il sistema tributario nel nostro Paese "è informato a criteri di progressività”.
Per questo, per il 2014 a Modugno non si è pagata la TASI, preferendo scaricare il peso maggiore della contribuzione dei cittadini sull'Irpef. Sono intervenuti Pasquale De Santis, presidente di Italia Giusta secondo la Costituzione, e Nicola Magrone.

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I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=MODUGNO, LA GIUNTA MAGRONE E L'AIUTO AI PIU' DEBOLI=
Incontro con Rosa Scardigno

Per i seminari di Italia Giusta secondo la Costituzione, incontro con l'assessore ai servizi sociali dell'amministrazione comunale di Modugno guidata da Nicola Magrone.Al centro dell'intervento dell'assessore, gli sforzi per ricostituire servizi disastrati (Ufficio di Piano, in primis), le necessità cui assolvere senza arbitrio, la descrizione di un lavoro interrotto a poco più di un anno dall'insediamento, quando avrebbe potuto dare aiuti più congrui.

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=DISCUSSIONI=

=MODUGNO.
CON ITALIA GIUSTA
PER ROMPERE
L'AGGLOMERATO
DI POTERE=

logo italia giusta internet


Da queste parti
smuovere la stagnazione
di poteri è stato
un azzardo
ed una scelta
 coraggiosa.
E tuttavia la dimostrazione
che un movimento possa spezzare

un meccanismo consolidato
c'è stata.
[...] Che si possano tentare
scelte politiche limpide e nette,
l'esperienza amministrativa
modugnese ce lo insegna

di  Francesca Di Ciaula
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I SEMINARI DI ITALIA GIUSTA

=MODUGNO, LA NUOVA FIERA DEL CROCIFISSO=
Incontro con Tina Luciano -
"Queste sono le ragioni e le modalità della nuova configurazione della Fiera del Crocifisso......da un lato riannodare i fili con il centro della città, dall’altro garantire la sicurezza in un sito che, oltre ad essere isolato non garantiva nemmeno l’incolumità dei visitatori".

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=I LUOGHI=

=BORGO TACCONE.
STORIA PICCOLA
DEL SUD=

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Borgo Taccone
è questo luogo
dell'assenza,
una storia mancata
di insediamenti rurali.
Eppure non riesci
ad individuare la parola fine
a questa storia.
Il borgo intero sembra piuttosto
un racconto interrotto.

di  Francesca Di Ciaula
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=DISCUSSIONI=

=IL MATTONE DI CALVINO.
60 ANNI DOPO=

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“Un sovrapporsi
geometrico di parallelepipedi
e poliedri, spigoli e lati di case,
di qua e di là, tetti, finestre,
muri ciechi per servitù contigue
con solo i finestrini smerigliati
dei gabinetti uno sopra l’altro”.

di  Nicola Sacco
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=DISCUSSIONI=

=CRISI. PER SALVARE
L'EUROPA BASTEREBBE
SVEGLIARE IL GIGANTE=

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Una modesta
frazione

di questo gigante finanziario
narcotizzato e costretto
a stare improduttivo può,
purché l’Europa e la Germania
lo vogliano, finanziare opere
e interventi comuni di sviluppo
e crescita dell’occupazione
di lavoratori in Italia ed in Europa

di  Mino Magrone
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=DISCUSSIONI=

=MODUGNO.
LA DIGNITA' POSSIBILE=

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Questo, il sindaco
di Modugno,
Nicola Magrone,
ha insegnato nel primo anno
di amministrazione a chi
ha voluto comprendere:
a essere chiari,
a pronunciare il nome delle cose
senza timore, pubblicamente,
non in cenacoli all’ombra
di qualche interesse
che non fosse quello
di tutti i cittadini.

di  Francesca Di Ciaula

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=DISCUSSIONI=

=TAMARO, IL GRANDE NEMICO
E' IL NIENTE. O LO E'
PIUTTOSTO IL NICHILISMO?=

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L'angoscia e il disagio
non sono soltanto
sentimenti dei giovani,
sono invece
di noi tutti
in quanto mortali
destinati a finire,
al niente

di  Mino Magrone

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Sudcritica Modugno

=GUASTO A PASSAGGIO A LIVELLO MODUGNO. IL SINDACO, SITUAZIONE ASSURDA CHE SI RIPETE= 5 aprile 2014 - Dice Nicola Magrone: "Prendero' le opportune iniziative per l'attuazione puntuale di intese precise sui compiti i di Fal e Rete Ferroviaria Italiana. Quello che serve e' scongiurare ulteriori situazioni di grave pericolo".[Leggi tutto in Sudcritica Modugno]

=DISCUSSIONI=

=“La grande bellezza”?=

la grande bellezza


Finché continua
l’umana avventura
in questa valle,
ci sarà scienza, arte,
religione
e l’apocalisse del pensiero
lasciamola ai meno dotati.
Non ci riguarda.

di  Pippo De Liso

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=DISCUSSIONI=

=JOBS ACT, LAVORO

SENZA DIRITTI

E SENZA DIFESE=

CGIL crisi

 
l’Europa solidifica
interessi preminenti
anche sottraendo
ai Paesi
a sovranità nazionale
le tradizioni politiche
e i documenti storici d’identità.
L’Italia è in prima fila con la cessione
della Costituzione e la fiammata
di follia collettiva del cambiamento
a tutti i costi, soprattutto in peggio

di  Pippo De Liso

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=DISCUSSIONI=

=Per far ripartire l'Italia

non serve stravolgere

la Costituzione=

costituzione

Proposta, da parte di un attivista

di Italia Giusta, di una piccola

guida pratica, aperta a suggerimenti,

per orientarsi tra i temi

di stretta attualità politica

di  Nicola Sacco

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Sudcritica Modugno

=RACCOLTA DIFFERENZIATA A MODUGNO, SUDCRITICA INTERVISTA L'ASSESSORE = 17 marzo 2014 - Puoi seguire l'intervista anche alla pagina di Sudcritica Modugno.Tra breve, finalmente, anche a Modugno (e per l'intero Aro del quale Modugno è capofila) ci sarà un bando di gara per una vera raccolta differenziata. Con l'aiuto e la collaborazione di tutti i cittadini dovrà portare al traguardo 'rifiuti zero'. L'assessore comunale Tina Luciano spiega a Sudcritica come accadrà.

Riprese e post produzione di Alberto Covella

Per discutere con il Movimento Italia Giusta secondo la Costituzione, questi gli indirizzi:
sede: via X marzo 88 - 70026 MODUGNO
posta elettronica: [email protected]
[email protected]
rivista: www.sudcritica.it

=DISCUSSIONI=

Larroganza

della Rai

In nessun altro

Paese europeo

si assiste al pagamento

di un canone obbligatorio

a fronte di una pubblicità

invadente e accentratrice

di  Pippo De Liso

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=DISCUSSIONI=

Il documento

alternativo

"Il sindacato

è un'altra cosa"

per il XVII Congresso

della Cgil

 

di  Pippo De Liso

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=DISCUSSIONI=

Una sinistra

nata piccolo-borghese

 

di  Franco Schettini

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a mio avviso il nostro “marxismo” altro non è stato che riformismo piccolo borghese, nemmeno socialdemocratico

Il 15 giugno del 1975 Pasolini scriveva, dopo le effimere vittorie delle sinistre, che “l’Italia è nel suo insieme ormai un Paese spoliticizzato, un corpo morto i cui riflessi non sono che meccanici. L’Italia cioè non sta vivendo altro che un processo di adattamento alla propria degradazione”.

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Contro la violenza sulle donne

MAGRONE, PALMINA E LE SUE PAROLE HANNO CAMBIATO LA MIA VITA
Casacalenda, 16 novembre 2013 - intervista di Maurizio Cavaliere. Magrone ricorda il giorno in cui palmina martinelli gli parlò in punto di morte, rivelandogli i nomi dei suoi aguzzini. La 14enne di fasano morì data alle fiamme nel novembre 1981, si era rifiutata di prostituirsi.

=LA VIOLENZA ESIBITA=

di Francesca Di Ciaula

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violenza2 [ Leggi tutto]  

DON TONINO BELLO - LA COSCIENZA E IL POTERE

IL POTERE, LA LEGGE, LA COSCIENZA
Don Tonino Bello ricordato dal sindaco di Modugno, Nicola Magrone, a Mola di Bari, il 16 ottobre 2013, con l'assessore regionale Guglielmo Minervini e don Gianni De Robertis.La speranza nel patto tra deboli, se non per rovesciare il potere almeno per attenuarne l'abuso. Tornare alle origini di don Tonino Bello è tornare alle origini del nostro popolo, cioè la Costituzione. Secondo il sindaco di Modugno, oggi la costituzione non deve essere modificata.

cronache dall'interno

=IL SINDACO DI MODUGNO NICOLA MAGRONE E LA SUA GIUNTA INCONTRANO I CITTADINI=
26 settembre 2013 - Filmato integrale dell'incontroPer la prima volta nella vita amministrativa di Modugno, l’amministrazione parla con i cittadini in un incontro pubblico.

Riprese e post produzione di Alberto Covella

Per discutere con il Movimento Italia Giusta secondo la Costituzione, questi gli indirizzi:
sede: via X marzo 88 - 70026 MODUGNO
posta elettronica: [email protected]
[email protected]
rivista: www.sudcritica.it

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